E' difficile dirlo senza cadere nella retorica osservando le immagini dei bambini trucidati a Gaza, i prigionieri palestinesi orribilmente vilipesi in diretta planetaria o ascoltando le testimonianze degli israeliani sopravvissuti agli attentati del 7 ottobre.
Il problema è che dopo averla invocata, ci si divide radicalmente quando si cerca di trovare un percorso per realizzare la pace. In questo modo, anche nei dibattiti quotidiani, che spesso ricalcano quelli incessanti dei salotti televisivi, ognuno prende una posizione ritenendo la propria "ragionevole" e quella di chi la pensa diversamente "folle". Così non se ne viene fuori, come dimostrano le terribili e sanguinose guerre croniche che seminano morte e distruzione un po' ovunque. Ognuno dei contendenti è convinto di avere tutte le ragioni e che l'avversario abbia tutti i torti e sulla base di questo postulato giustifica ogni sorta di violenza, sopraffazione e umiliazione dei propri simili.
Il bipolarismo sta soffocando due elementi fondamentali del pensiero e della relazione tra esseri umani. Il primo è il dubbio, il secondo è il dialogo che, per essere costruttivo, presuppone contemporaneamente e paradossalmente sia la convinzione che l'incertezza.
E' difficile proporre il dubbio, si viene tacciati immediatamente di stare da una parte contro l'altra. Se si dice, senza per questo giustificarla, che l'invasione dell'Ucraina ha delle ragioni nella sofferenza dei russi del Donesk e del Donbass e che comunque tale guerra non si potrà mai risolvere con l'invio ininterrotto di armi da parte di Europa e USA, si viene immediatamente accusati di essere filoputiniani da azzittire nel più breve tempo possibile. Se si pone in dubbio la crudeltà e l'opportunità dell'azione dell'esercito russo, si viene tacitati immediatamente come guerrafondai incantati dal pifferai magico Zelen'sky. Se si protesta contro contro Israele per il massacro di bambini, donne e uomini a Gaza e si sottolinea il diritto dei Palestinesi a essere liberi e indipendenti, si viene accusati di favorire il terrorismo, se non addirittura di voler risuscitare i fantasmi spaventosi dell'antisemitismo. Se si stigmatizza un atto terrificante come quello del 7 ottobre e si solidarizza umanamente con le migliaia di vittime e con gli ostaggi trattenuti da Hamas, c'è subito qualcuno che ti accusa di essere un sionista peggiore di Netanyahu. In precedenza, se ci si dichiarava di essere a favore dei vaccini contro il covid, subito arrivava la freccia di chi sosteneva che chi la pensava così altro non fosse che un servo del Potere. Al contrario, se si esprimeva anche un minimo ragionevole dubbio, si veniva collocati dalla parte dei novax, additati alla pubblica deplorazione e collocati sulla colonna dell'ignominia.
Insomma, ciò che si vuol dire è che se non ci si comincia ad ascoltare, a compiere l'ammirevole sforzo di comprendere (attenzione, ciò non vuol dire giustificare) le ragioni dell'altro, non se ne uscirà mai. La virulenza del dibattito televisivo si ripercuote nell'incapacità di affrontare serenamente i temi nelle case e questa drammatica impotenza non farà altro che alimentare la sicurezza degli uni e degli altri, gli uni contro gli altri armati. Se non saremo capaci di confrontare i nostri pensieri cercando di trovare delle ragioni comuni che ci permettano di andare avanti, non ne usciremo mai.
Sì, ma per confrontare i pensieri occorre averne e la fatica di trovare soluzioni nobilmente politiche è espressione di quello che sembra essere oggi il problema dei problemi, ovvero la mancanza di una filosofia, o meglio, di più filosofie all'altezza dell'urgenza dei tempi. Solo la Filosofia può salvare il mondo. Ma questo è un altro argomento...
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