La violenza individuale si mescola con quella sistemica. Mentre tutta Italia si stringe idealmente intorno alla famiglia di Giulia Cecchettin e si interroga sul suo brutale assassinio, in molte lande del mondo si muore in massa a causa della guerra.
In Ucraina si continua a morire, nell'ormai passato in secondo piano conflitto con la Russia. Ciò che era ovvio fin dall'inizio, cioè che l'unica soluzione possibile fosse quella negoziale, ora continua a essere tale, mentre sull'altare delle rigidità di Putin e Zelen'sky e su quello degli interessi di mezzo mondo, si continua inopinatamente a combattere. Troppe giovani vite, civili e militari, sono soffiate alla storia dalla caparbietà di chi non vuole sedersi attorno a un tavolo e a discutere su tutte le risolvibilissime questioni in gioco.
In Palestina prosegue l'invasione di Gaza da parte di Israele. Tra parentesi, in nome del principio dell'inviolabilità delle frontiere degli Stati, si rischia una terza guerra mondiale per contestare l'intervento russo a difesa delle popolazioni russofone in territorio ucraino, mentre in nome della sicurezza, il medesimo principio non viene preso in considerazione, non si riconosce l'autodeterminazione della Palestina e si sostiene Israele nella sua cruenta avanzata nella martoriatissima striscia di Gaza. Migliaia di donne, uomini e bambini stanno soccombendo, uccisi dalle bombe, dalla fame e dalla mancanza di medicinali. Come voltarsi indietro davanti a questo genocidio? La condanna, senza esitazione, degli attentati di Hamas, compiuti lo scorso 7 ottobre, non può impedire un'altrettanto ferma condanna dell'intervento israeliano in Gaza. La guerra scatenata da Netanyahu ha già provocato un numero di vittime immenso e sta contribuendo a valorizzare la strategia criminale di Hamas. Se il giorno dopo gli attentati, una ventata di vicinanza era soffiata da tutto il mondo in direzione di Gerusalemme, i bombardieri israeliani, le uccisioni di massa, gli ospedali e le scuole colpiti, la cancellazione di ogni parvenza di futuro, hanno immediatamente soffocato ogni simpatia. Ovunque si manifesta contro il governo israeliano, le capitali occidentali tremano per la paura di gesti che potrebbero colpirle al cuore, si chiudono le frontiere, cresce addirittura il veleno terribile dell'antisemitismo. E nella stessa Gaza cresce un odio talmente profondo da far ipotizzare che difficilmente nel prossimo futuro si potranno depotenziare uno cento o mille Hamas.
Era questo il modo di garantire la sicurezza di Israele? O di garantire il rispetto dei diritti in Ucraina e in Russia? Certamente no, la violenza e l'uso sistematico delle armi distruttive non porteranno ad altro che a nuovi più allargate sofferenze e lutti. Gli arsenali atomici sono ancora ovunque, pronti all'uso. Non ci si può cullare nel pensiero che si tratti di problemi lontani, perché tutti - nessuno escluso - siamo costantemente coinvolti. L'unica strategia alternativa al piano inclinato che sempre più velocemente sembra portare verso il baratro, non è quella della ritorsione o del massiccio riarmo. E' quella della diplomazia, del dialogo e della trattativa. E' quella della nonviolenza attiva.
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