venerdì 29 dicembre 2023

La provocazione del presepio

Il mio "presepio", lo scorso anno, era questo. Il bambino Gesù rischia di essere inghiottito dal mostro marino, che già sta divorando un uomo gettato in mare da una barca.

Al di là delle reminiscenze aquileiesi, il messaggio era abbastanza chiaro. La memoria della nascita di Gesù non può prescindere dalla situazione particolare, cioè dallo spazio e dal tempo in cui si vive. In questo caso, come non pensare alle migliaia di bambini annegati nel Mediterraneo, mentre con le loro famiglie cercavano un avvenire migliore? Oppure, quest'anno, come non inorridire pensando alla strage di innocenti che si sta perpetuando a Gaza?

Cosa sia accaduto realmente duemila anni fa nessuno lo può sapere. Il primo Natale è avvolto nel più completo mistero, una delle infinite nascite di quel tempo e di ogni tempo. I primi cristiani, per la verità, si preoccupavano assai poco di sapere come e dove fosse nato tale Gesù. Gli stessi vangeli costituiscono una singolare interpretazione culturale, una specie di invenzione teologica. Marco e Giovanni non ne fanno alcun cenno, mentre Matteo e Luca raccontano due storie totalmente diverse, in quasi totale contraddizione l'una con l'altra. Come dire che ognuno, fin dal principio, fa il suo presepio e lo adatta alla situazione in cui vive e in cui scrive. Almeno fino al IV secolo non si celebrava il Natale, ma solo la Risurrezione, solo dopo ci si cominciò a chiedere se non valesse la pena di ricordare solennemente anche la nascita di Colui che essi ricordavano ogni "dominica", il "giorno del Signore", vera e propria Pasqua settimanale. Ben prima di Francesco a Greccio, i sarcofagi del IV secolo e le icone orientali rappresentano una scenetta di natività, talmente teologica da risultare quasi astratta, con la grotta che appare come una voragine oscura, il manto su cui riposa Maria gigantesco, l'asino e il bue multicolori. C'è una forte componente polemica e culturale, quasi a voler dire, con gli antichi profeti, che l'asino e il bue sono ben più svegli dell'umanità - ebrei e pagani - che non sa riconoscere il bambino adagiato nella mangiatoia (quasi sempre con la forma di un altare sacrificale).

Tutto questo per dire che non esiste alcuna regola per rappresentare il presepio e ciascuno lo realizza come meglio crede. Certo è che comunque in ogni tempo e in ogni spazio si realizza quell'adattamento creativo che può suscitare una sensazione di dolce emozione oppure un fastidio derivato dalla sovversione di schemi precostituiti. E' più scandaloso ridurre il mistero dell'Incarnazione a una melensa favoletta per bambini, omettendo possibilmente dal presepio Santo Stefano ucciso a sassate e naturalmente la strage degli innocenti? O lo è maggiormente trasformare la capanna di Betlemme in una barca naufragata davanti alle coste della Sicilia oppure ricordare che nel nostro tempo ci sono persone omosessuali che vedono conculcato il loro diritto a esistere, ad amare e ad aiutare a crescere i figli?

Sono solo domande, ma hanno lo scopo di sottolineare come, nell'impossibilità di risalire all'istante di quella nascita, è legittima qualsiasi interpretazione. Come è stata una provocazione infinita la pretesa di un Dio che si è fatto uomo per interpellare la coscienza di ogni creatura, così il presepio deve continuare a essere una provocazione capace di mettere in discussione quella pretesa "normalità" che altro scopo non ha, se non quello di addormentare le coscienze in un infruttuoso e irreale "volemose tuti bén!".

Invece di offendersi, i cristiani dovrebbero gioire del fatto che un simile segno provochi entusiasmo, repulsione, dibattito o incomprensione. Gioire e pensare.

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