sabato 31 dicembre 2022

Da Josef Ratzinger a Benedetto XVI

 

Ho incontrato personalmente Josef Ratzinger in occasione di un corso di esercizi spirituali da lui tenuti a Collevalenza nel 1986. Lo avevo conosciuto indirettamente nel corso degli studi teologici attraverso i suoi numerosi libri, primo fra tutti l'"Introduzione al Cristianesimo", un compendio di teologia fondamentale ispirato ai documenti del Concilio Vaticano II.

Dal punto di vista dei suoi studi e del suo importante servizio alla Chiesa Cattolica, sono da distinguere diversi periodi della sua vita.

Come valente e apprezzato insegnante, ha fatto parte del gruppo di teologi tedeschi che hanno cercato di tradurre in pensiero e riflessione l'esperienza del Concilio. Alcuni, tra essi i più noti sono stati senz'altro prima Hans Kung e poi Walter Kasper, hanno cercato di sottolineare la necessità di rileggere il cattolicesimo attraverso la lente dell'ecumenismo e dl dialogo interreligioso, mettendo in dubbio anche alcuni dei fondamenti della tradizione dogmatica. Ratzinger si è in quel tempo dimostrato sicuramente molto più prudente, senza per questo venire meno all'apprezzamento nei confronti del principio del dialogo e delle acquisizioni dei suoi colleghi.

La seconda fase della sua "carriera" lo vede vescovo nell'importante sede di Monaco di Baviera. alla sapienza intellettuale si aggiunge in questo periodo l'immersione nel vissuto della comunità, sia pur dal punto di vista elevato e un po' distaccato che necessariamente compete alla guida di qualche milioni di fedeli battezzati. In ogni caso l'approfondimento del pensiero coniugato all'impegno pastorale offre al presule la base teorica e pratica dei suoi interventi nei centri più importanti del governo dell'intera chiesa cattolica.

Chiamato da papa Wojtyla alla presidenza della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant'Uffizio), il cardinale si distingue da subito per la ferrea fedeltà all'insegnamento ufficiale della Chiesa, affrontando da subito il tema ritenuto decisivo. L'interesse teologico del Prefetto, divenuto nel frattempo in ogni situazione il principale e più vicino collaboratore di Giovanni Paolo II, si rivolge al rapporto tra fede e ragione, alla relazione tra rivelazione biblica e rivelazione naturale, ai fondamenti teologici dell'etica e ai principi universali della legge morale. Dalla sua ricerca scaturiscono gli appunti trasformati in alcune delle più note encicliche del papa polacco, in primis Fides et Ratio e Veritatis Splendor. E' direttamente firmatario anche di altri discussi documenti pubblicati a nome della Congregazione, tra essi un'istruzione riguardante il rapporto di subordinazione della filosofia alla teologia e una dichiarazione riguardante il dialogo interreligioso, la Dominus Jesus, sorprendente retromarcia rispetto alle indicazioni più "spinte" del Vaticano II.

Scelto per totale continuità come successore di Giovanni Paolo II, il nuovo papa sceglie il nome di Benedetto XVI, forse in memoria e onore di quel Benedetto XV che aveva definito la prima guerra mondiale un'"inutile strage" e un'"orrenda carneficina". Fin dall'inizio si trova in difficoltà. Da una parte non ha la personalità travolgente del predecessore e neppure il sostegno di un giornalista competente e capace di "creare immagine" come fu Navarro Valls con Wojtyla. Dall'altra parte il senso si distacco nei suoi confronti si acuisce in occasione di alcuni interventi pubblici non compresi fino i fondo se non addirittura manipolati dai media non particolarmente compiacenti nei suoi confronti. Il momento cruciale, dal punto di vista dell'impostazione teorica del suo pontificato, è stato il famoso discorso presso la (sua) Università di Ratisbona, nel 2006. La sua riflessione, straordinariamente importante, è stata velata da un'improvvida citazione del profeta Mohamed, raccolta dalla stragrande parte dei commentatori come una, peraltro reale se decontestualizzata, offesa nei confronti dell'Islam.

In realtà quel discorso conteneva il piano complessivo del pontificato. Ratzinger, con profondo acume filosofico e teologico, contempla un'umanità in crisi e ritiene di avere una risposta ai problemi che attanagliano il mondo. Su questo progetto getta tutte le sue carte, impegnando completamente più sé stesso che la chiesa nel suo insieme. Il punto fondamentale è l'asserzione secondo la quale non è possibile comprendere il cristianesimo, se non dentro le categorie culturali che gli hanno consentito di affermarsi nel contesto dell'Impero Romano. Il Vangelo di Gesù Cristo deve essere quindi riletto e interpretato anzitutto, se non esclusivamente, all'interno del pensiero filosofico greco ed ebraico. Solo un ritorno alle origini, non solo dell'evento Cristo, ma anche del suo prolungamento nella Chiesa, consente una piena comprensione e fonda la corretta inculturazione della fede anche nei nuovi contesti missionari. Di fronte all'avanzare del pensiero debole e della liquida post e ultra modernità, Benedetto XVI chiede all'umanità contemporanea di compiere una specie di passo indietro, aggrappandosi alle solide mura dell'impianto aristotelico tomista, caratteristico del medioevo cristiano. Si tratta di ripresentare e di rivalutare l'oggettività del pensiero logico, etico ed estetico, radicato nella certezza incrollabile della rivelazione naturale e di quella biblica, affidata alla corretta interpretazione autorevole e in certi casi infallibile del Magistero della Chiesa. Solo così, la ragione umana potrebbe avere la meglio sulla destabilizzazione prodotta dal relativismo etico, che rende ciascun individuo, unico padrone del proprio destino e come tale non essere libero, ma facile preda degli appetiti incontrollabili dei Potenti.

Si tratta insomma di un progetto grandioso di restaurazione di un tempo indicato come ideale, nel quale la Verità era immediatamente percepita come "una", la Bontà era chiaramente distinta dalla malvagità e il Bello piaceva incontestabilmente, sottratto alle deboli persuasioni di "ciò che piace".

Si sa che l'orologio della storia non può esser riportato indietro e il programma ratzingeriano, per quanto affascinante e motivato, era destinato a fallire. I consueti intrallazzi Vaticani, giunti fino al furto di documenti dal cassetto papale da parte del classico maggiordomo e alla pubblicazione di carte decisamente inquietanti da parte di acuti giornalisti, hanno sicuramente dato il colpo di grazia alle aspettative del pontefice. Ma la vera grandezza del suo atto di dimissioni - reali al 100%, checché qualcuno ne dica aggrappandosi a cavilli canonici marginali - sta nell'intelligenza e nell'umiltà di un uomo che ha preso atto del fallimento del suo progetto, della mancata realizzazione del sogno del ritorno al cristianesimo imperiale, della necessità, per il bene della da lui tanto amata Chiesa, di farsi da parte lasciando ad altri il compito di aggiornare l'agenda, in tempi di enormi urgenze e decisive scelte.

La strada del dialogo e di un nuovo accordo tra tradizione e modernità è di nuovo aperta, da perseguire con amorevole e preoccupata passione, consapevoli - grazie alla sofferta storia di Josef Ratzinger teologo vescovo prefetto e papa - che ormai non è più possibile tornare indietro. 

Riposi in pace, dopo questi suoi ultimi dieci anni, vissuti relativamente ai margini della storia della Chiesa, con l'inedito e poco appropriato titolo di papa "emerito".

2 commenti:

  1. Io credo che la sua cultura e la sua intelligenza non siano state capite fino in fondo. Un Papa per piacere a tutti ed essere popolare, deve avere altri connotati che si limitino più all'apparenza che non alla sostanza. Credo che un papa come lui sia più unico che raro.
    Patrizia Socci

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  2. La sua grandezza, per quanto mi riguarda, è stata la volontà di offrimi una risposta in un tempo durante il quale tutti si affannano a distruggere. Spesso non ho avuto gli strumenti per capire il suo messaggio, talvolta non ho condiviso le sue prese di posizione ma un pastore così saldo nella fede mi mancherà veramente. Per me oggi è un giorno triste.
    Simonetta Vecchi

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