sabato 10 dicembre 2022

Nella Giornata dei Diritti dell'Uomo, l'incontro con don Alberto De Nadai al Kulturni dom. Il link all'incontro...

 

Foto Paolo Zuliani

La sala principale del Kulturni dom di Gorizia, ieri sera era quasi del tutto piena. Erano presenti tanti ex parrocchiani di Sant'Anna, insieme a tanti collaboratori delle varie "ore" dei 90 anni di don Alberto De Nadai. Ha raccontato la sua storia, con passione ed emozione, ha fatto sentire il suo segmento di vita quello di ognuno dei presenti che, in un modo o nell'altro, hanno avuto a che fare con lui. Ecco di seguito ancora una riflessione, nel clima dell'assemblea del Kulturni, magistralmente introdotta dal direttore Igor Komel. Nella Giornata dei Diritti Umani, pensiamo alla vita di un uomo che ha cercato, nel suo piccolo, di garantirli a tutti, soprattutto ai più deboli e ai più fragili. Buona lettura... E per chi se la fosse persa, la serata è riprodotta in un video su you tube, curato da Nevio Costanzo. Ecco il link: https://youtu.be/9pna0Zo-BRg Ne vale davvero la pena! 

Nato a Salgareda (TV) il 27 novembre 1932, don Alberto De Nadai è da oltre 60 anni un testimone importante della vita sociale di Gorizia.

Di certo, l’inizio del ministero sacerdotale non avrebbe potuto far prevedere una storia di un prete così radicalmente impegnato nell’attuazione di alcune delle esperienze più innovative e per certi versi più rivoluzionarie della Chesa cattolica italiana appena uscita dal Vaticano II. Lo troviamo infatti segretario dell’Arcivescovo Ambrosi e poi severo vicerettore di un Seminario diocesano ancora molto legato agli schemi preconciliari.

E’ la parrocchia a cambiare il suo punto di vista, in un certo senso a “convertirlo” a una Chiesa diversa, autenticamente popolo di Dio, là dove il prete non è il “capo”, ma il “servitore” di una comunità di base che, confrontandosi con il Vangelo, vuole leggere la storia con gli occhi di chi crede nella libertà, nell’uguaglianza e nella fraternità. Quando don Alberto viene inviato nel nascente quartiere di sant’Anna, si è spenta da poco la voce profetica di don Lorenzo Milani e molti giovani sono ancora influenzati dalle letture di don Primo Mazzolari e dalla testimonianza di dom Helder Camara e dei primi teologi della liberazione. Il giovane parroco comprende subito la sfida di trasformare un agglomerato di persone che non si conoscono fra loro e che cominciano ad abitare la nuova zona, in vera comunità, prima di tutto civile e, per i credenti, anche cristiana. Insieme a tanti altri collaboratori, si creano i primi centri sociali, si rivendicano i più elementari diritti e la realizzazione degli indispensabili servizi alla collettività e prende piede una delle prime comunità di base italiane. Si intessono rapporti con altre realtà, in Italia e all’estero, nomi ben noti come quelli dell’abate Franzoni, di Gerardo Lutte, di don Mazzi e della sua Comunità dell’Isolotto a Firenze diventano “di casa” anche a Gorizia. Si respira un’aria costruttiva di forza creativa, di fermento popolare, di cultura dell’amicizia e della solidarietà. Il “don” diventa punto di riferimento non solo per i cattolici, ma anche e soprattutto per donne e uomini di buona volontà, animati dal desiderio di fare di sant’Anna una realtà accogliente per tutti. Il pensiero sociale comunista e quello cristiano sembrano trovare una straordinaria sintesi dove ciascuno, restando fedele alla propria storia e identità, si rimbocca le maniche e lavora fianco a fianco per edificare una città pacifica e giusta. Naturalmente non tutti guardavano di buon occhio quell’esperimento profetico, le critiche pubbliche, firmate e anonime, non mancavano. La goccia che fece traboccare il vaso fu una questione economica e burocratica, riguardante l’uso delle offerte raccolte nel quartiere che la comunità aveva deciso di devolvere alle esigenze del quartiere invece che versarle nelle casse della Curia diocesana. Apriti cielo. L’Arcivescovo Cocolin compì l’atto forse più doloroso dell’intero suo episcopato. Don Alberto ci rimise non solo la parrocchia, ma anche l’insegnamento della religione nelle scuole. Divenne, pur non avendolo programmato, un prete operaio, mantenendosi facendo il gommista in un’officina gestita da amici, vivendo un periodo in alloggi di fortuna prima di approdare al mitico alloggio di Via Canova 11.

Inizia così la terza fase della vita di un prete che è sempre rimasto fedele alla sua vocazione, anche quando tutto lo avrebbe indotto a lasciar perdere tutto e a dedicarsi in modo laico ai suoi progetti di bene. Questa nuova “conversione” avviene per opera di una categoria per lo più dimenticata in città, quella rappresentata dai più poveri e più fragili. Andando ad abitare in via Canova, don Alberto scopre la realtà di cittadine e cittadini che dormono all’aperto, trovando spesso rifugio negli anfratti dei resti del monumento ai caduti dell’antistante parco della Rimembranza. La sua casa diventa subito un rifugio per chi non ha dimora, ma don De Nadai si accorge subito di non poter dare risposte sufficienti a un bisogno riconosciuto come molto ampio e diffuso. Nasce così la Comunità Arcobaleno, esempio di buone pratiche tra volontariato e istituzione pubblica, in particolare il comune che mette a disposizione un alloggio in via San Michele. Ma anche questo non è sufficiente, non basta fornire un alloggio, per garantire rispetto e dignità alle persone è necessario dare loro l’opportunità di lavorare. E si avvia la Cooperativa Arcobaleno, inizialmente finalizzata a creare piccole e grandi occasioni di impiego per chi frequentava la comunità. E’ la volta poi della Tempesta, centro terapeutico originale e anche in questo caso innovativo, per l’uscita dalle tossicodipendenze senza dover abbandonare i propri luoghi di crescita e di vita. Non poteva mancare una speciale attenzione alla salute mentale, sulla scia degli insegnamenti di Franco Basaglia. Si crea così l’Oasi del Preval, nelle intenzioni un piccolo paradiso di convivenza e di impegno. Ma l’amore più grande è per don Alberto la Casa Circondariale di Via Barzellini, frequentata per decenni quasi quotidianamente, come semplice volontario e poi anche come Garante provinciale delle persone private della libertà individuale. Anche oggi, a 90 anni suonati, ogni giorno le porte della prigione si aprono per lasciare entrare quest’uomo che porta una parola di conforto a detenuti e agenti di custodia, una preghiera laica e rispettosa delle diversità di religione e di culto, soprattutto tanto aggiornamento culturale e tanto aiuto nel momento dell’”uscita”.

Certo, intendiamoci, lo spirito di un “fondatore” non sempre si adatta alle banali necessità del quotidiano. Don Alberto, con il suo carattere forte e le sue a volte ferree convinzioni, ha spesso sperimentato e a volte ha anche lui stesso dimostrato momenti di fatica e incomprensione da parte e nei confronti di chi ha avuto occasione di stargli accanto e di lottare insieme a lui. Non sono mancate le rotture, i cambiamenti di rotta, gli abbandoni e i ritrovamenti, così come si addice a qualsiasi esperienza profondamente e autenticamente umana. Tuttavia, anche quando alcune delle realtà da lui fondate sono andate avanti su strade diverse da quelle previste originariamente, la stima è sempre rimasta intatta, anche per una rara capacità del “don” di superare con pazienza e spirito di tolleranza ogni crisi, nella convinzione che la salvaguardia della relazione interpersonale sia più importante dell’incaponirsi sulle proprie pretese e visioni del presente.

Tutta questa attività non ha impedito ad Alberto di svolgere anche una sua particolare missione di vicinanza a tutti i goriziani, trovandosi vicino a ogni famiglia nei momenti del dolore e in quelli della gioia. Questo suo particolare modo di essere prete, fuori dagli schemi e dai mandati ufficiali, l’ha portato a essere forse la prona in assoluto più conosciuta e in buona parte amata della città. Chi non l’ha visto sfrecciare con il suo vespino lungo il Corso o le vie centrali e periferiche? Chi non si è sentito chiamare per nome o chiedere informazioni sullo stato di salute? Chi non si è sentito trattare pienamente da “persona”, indipendentemente da ogni lingua parlata, concezione della vita o classe sociale di appartenenza?

Ecco, questo e molto altro è don Alberto De Nadai, un “uomo” prima di qualsiasi altra definizione. Un uomo al quale, dopo aver raggiunto il traguardo dei 90, auguriamo di cuore ancora tanti ma tanti anni di vita e di servizio alla nostra città, che mai come in questo momento ha bisogno di valorizzare e imparare dai suoi più qualificati testimoni.

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