Foto Paolo Zuliani |
La sala principale del Kulturni dom di Gorizia, ieri sera era quasi del tutto piena. Erano presenti tanti ex parrocchiani di Sant'Anna, insieme a tanti collaboratori delle varie "ore" dei 90 anni di don Alberto De Nadai. Ha raccontato la sua storia, con passione ed emozione, ha fatto sentire il suo segmento di vita quello di ognuno dei presenti che, in un modo o nell'altro, hanno avuto a che fare con lui. Ecco di seguito ancora una riflessione, nel clima dell'assemblea del Kulturni, magistralmente introdotta dal direttore Igor Komel. Nella Giornata dei Diritti Umani, pensiamo alla vita di un uomo che ha cercato, nel suo piccolo, di garantirli a tutti, soprattutto ai più deboli e ai più fragili. Buona lettura... E per chi se la fosse persa, la serata è riprodotta in un video su you tube, curato da Nevio Costanzo. Ecco il link: https://youtu.be/9pna0Zo-BRg Ne vale davvero la pena!
Nato a Salgareda (TV) il 27 novembre 1932, don Alberto De
Nadai è da oltre 60 anni un testimone importante della vita sociale di Gorizia.
Di certo, l’inizio del ministero sacerdotale non avrebbe
potuto far prevedere una storia di un prete così radicalmente impegnato
nell’attuazione di alcune delle esperienze più innovative e per certi versi più
rivoluzionarie della Chesa cattolica italiana appena uscita dal Vaticano II. Lo
troviamo infatti segretario dell’Arcivescovo Ambrosi e poi severo vicerettore
di un Seminario diocesano ancora molto legato agli schemi preconciliari.
E’ la parrocchia a cambiare il suo punto di vista, in un
certo senso a “convertirlo” a una Chiesa diversa, autenticamente popolo di Dio,
là dove il prete non è il “capo”, ma il “servitore” di una comunità di base
che, confrontandosi con il Vangelo, vuole leggere la storia con gli occhi di
chi crede nella libertà, nell’uguaglianza e nella fraternità. Quando don
Alberto viene inviato nel nascente quartiere di sant’Anna, si è spenta da poco
la voce profetica di don Lorenzo Milani e molti giovani sono ancora influenzati
dalle letture di don Primo Mazzolari e dalla testimonianza di dom Helder Camara
e dei primi teologi della liberazione. Il giovane parroco comprende subito la
sfida di trasformare un agglomerato di persone che non si conoscono fra loro e
che cominciano ad abitare la nuova zona, in vera comunità, prima di tutto
civile e, per i credenti, anche cristiana. Insieme a tanti altri collaboratori,
si creano i primi centri sociali, si rivendicano i più elementari diritti e la
realizzazione degli indispensabili servizi alla collettività e prende piede una
delle prime comunità di base italiane. Si intessono rapporti con altre realtà,
in Italia e all’estero, nomi ben noti come quelli dell’abate Franzoni, di
Gerardo Lutte, di don Mazzi e della sua Comunità dell’Isolotto a Firenze
diventano “di casa” anche a Gorizia. Si respira un’aria costruttiva di forza
creativa, di fermento popolare, di cultura dell’amicizia e della solidarietà.
Il “don” diventa punto di riferimento non solo per i cattolici, ma anche e
soprattutto per donne e uomini di buona volontà, animati dal desiderio di fare
di sant’Anna una realtà accogliente per tutti. Il pensiero sociale comunista e
quello cristiano sembrano trovare una straordinaria sintesi dove ciascuno,
restando fedele alla propria storia e identità, si rimbocca le maniche e lavora
fianco a fianco per edificare una città pacifica e giusta. Naturalmente non
tutti guardavano di buon occhio quell’esperimento profetico, le critiche
pubbliche, firmate e anonime, non mancavano. La goccia che fece traboccare il
vaso fu una questione economica e burocratica, riguardante l’uso delle offerte
raccolte nel quartiere che la comunità aveva deciso di devolvere alle esigenze
del quartiere invece che versarle nelle casse della Curia diocesana. Apriti
cielo. L’Arcivescovo Cocolin compì l’atto forse più doloroso dell’intero suo
episcopato. Don Alberto ci rimise non solo la parrocchia, ma anche
l’insegnamento della religione nelle scuole. Divenne, pur non avendolo
programmato, un prete operaio, mantenendosi facendo il gommista in un’officina
gestita da amici, vivendo un periodo in alloggi di fortuna prima di approdare
al mitico alloggio di Via Canova 11.
Inizia così la terza fase della vita di un prete che è
sempre rimasto fedele alla sua vocazione, anche quando tutto lo avrebbe indotto
a lasciar perdere tutto e a dedicarsi in modo laico ai suoi progetti di bene.
Questa nuova “conversione” avviene per opera di una categoria per lo più
dimenticata in città, quella rappresentata dai più poveri e più fragili. Andando
ad abitare in via Canova, don Alberto scopre la realtà di cittadine e cittadini
che dormono all’aperto, trovando spesso rifugio negli anfratti dei resti del
monumento ai caduti dell’antistante parco della Rimembranza. La sua casa
diventa subito un rifugio per chi non ha dimora, ma don De Nadai si accorge
subito di non poter dare risposte sufficienti a un bisogno riconosciuto come
molto ampio e diffuso. Nasce così la Comunità Arcobaleno, esempio di buone
pratiche tra volontariato e istituzione pubblica, in particolare il comune che
mette a disposizione un alloggio in via San Michele. Ma anche questo non è
sufficiente, non basta fornire un alloggio, per garantire rispetto e dignità
alle persone è necessario dare loro l’opportunità di lavorare. E si avvia la
Cooperativa Arcobaleno, inizialmente finalizzata a creare piccole e grandi
occasioni di impiego per chi frequentava la comunità. E’ la volta poi della
Tempesta, centro terapeutico originale e anche in questo caso innovativo, per
l’uscita dalle tossicodipendenze senza dover abbandonare i propri luoghi di
crescita e di vita. Non poteva mancare una speciale attenzione alla salute
mentale, sulla scia degli insegnamenti di Franco Basaglia. Si crea così l’Oasi
del Preval, nelle intenzioni un piccolo paradiso di convivenza e di impegno. Ma
l’amore più grande è per don Alberto la Casa Circondariale di Via Barzellini,
frequentata per decenni quasi quotidianamente, come semplice volontario e poi
anche come Garante provinciale delle persone private della libertà individuale.
Anche oggi, a 90 anni suonati, ogni giorno le porte della prigione si aprono
per lasciare entrare quest’uomo che porta una parola di conforto a detenuti e
agenti di custodia, una preghiera laica e rispettosa delle diversità di
religione e di culto, soprattutto tanto aggiornamento culturale e tanto aiuto
nel momento dell’”uscita”.
Certo, intendiamoci, lo spirito di un “fondatore” non sempre
si adatta alle banali necessità del quotidiano. Don Alberto, con il suo
carattere forte e le sue a volte ferree convinzioni, ha spesso sperimentato e a
volte ha anche lui stesso dimostrato momenti di fatica e incomprensione da
parte e nei confronti di chi ha avuto occasione di stargli accanto e di lottare
insieme a lui. Non sono mancate le rotture, i cambiamenti di rotta, gli
abbandoni e i ritrovamenti, così come si addice a qualsiasi esperienza
profondamente e autenticamente umana. Tuttavia, anche quando alcune delle
realtà da lui fondate sono andate avanti su strade diverse da quelle previste
originariamente, la stima è sempre rimasta intatta, anche per una rara capacità
del “don” di superare con pazienza e spirito di tolleranza ogni crisi, nella
convinzione che la salvaguardia della relazione interpersonale sia più
importante dell’incaponirsi sulle proprie pretese e visioni del presente.
Tutta questa attività non ha impedito ad Alberto di svolgere
anche una sua particolare missione di vicinanza a tutti i goriziani, trovandosi
vicino a ogni famiglia nei momenti del dolore e in quelli della gioia. Questo
suo particolare modo di essere prete, fuori dagli schemi e dai mandati
ufficiali, l’ha portato a essere forse la prona in assoluto più conosciuta e in
buona parte amata della città. Chi non l’ha visto sfrecciare con il suo vespino
lungo il Corso o le vie centrali e periferiche? Chi non si è sentito chiamare
per nome o chiedere informazioni sullo stato di salute? Chi non si è sentito
trattare pienamente da “persona”, indipendentemente da ogni lingua parlata,
concezione della vita o classe sociale di appartenenza?
Ecco, questo e molto altro è don Alberto De Nadai, un “uomo” prima di qualsiasi altra definizione. Un uomo al quale, dopo aver raggiunto il traguardo dei 90, auguriamo di cuore ancora tanti ma tanti anni di vita e di servizio alla nostra città, che mai come in questo momento ha bisogno di valorizzare e imparare dai suoi più qualificati testimoni.
Bellissimo, grazie don Alberto e grazie Andrea!
RispondiEliminaAndrea, complimenti !!!
RispondiElimina