giovedì 29 dicembre 2022

Tanti auguri...

 

E' bella la montagna. Come negarlo in una giornata limpida?

Sono affascinanti gli abitanti dei monti, quelli di una volta o quelli che ancora resistono nei villaggi sparsi, non del tutto travolti dalla civitas della comodità. Come negarlo, quando si pensa all'aria pulita, ai prati verdi, alle nevi che coprono come un manto silenzioso i campi?

In realtà, ordinariamente, la vita tra i monti è assai difficile. Basti pensare alle donne della Carnia, che rientravano con le gerle immense sulle spalle, dopo ore di duro lavoro per strappare alla terra il fieno con il quale alimentare il proprio povero bestiame. O ai pastori nelle malghe del Krn o del Montasio, nella loro lotta quotidiana per la sopravvivenza. O al continuo combattimento con il gelo nelle povere case riscaldate da qualche tronco superstite dalla buona stagione. 

E anche chi la incontra solo per una gita, spinto dalla passione per la natura incontaminata, conosce spesso il terrore del fulmine caduto a qualche metro di distanza, il fragore sinistro della valanga, le uggiose settimane ininterrotte di pioggia, condite dal rumore secco di qualche masso staccato dalla vicina parete rocciosa, quando non dalla minaccia dei fiumi ingrossati dalle acque.

Tutto ciò per dire che la realtà sfugge sempre alle semplificazioni e che la vita stessa non può essere inquadrata nelle categorie del successo e della sconfitta, della realizzazione o del fallimento, della soddisfazione o della frustrazione. Chi viveva e in qualche caso vive ancora nelle valli alpine, quelle più lontane dagli impianti sciistici e dai resort turistici, conosce la mescolanza del pianto e del sorriso, radicato come è nella terra arida della sua atavica tradizione. E chi percorre i meandri delle Metropoli, dormendo in caseggiati di lusso o sulle panchine che punteggiano i viali, conosce il sapore amaro della disperazione, come pure quel tepore interiore che caratterizza i rari momenti di una felicità, che non ha tempo né radice. 

Insomma, quando ci si rivolge un augurio di buon anno, non si fa niente di straordinario, se non rendersi presente all'altro, dirgli sommessamente "io per te ci sono". Si sa bene che non c'è alcun motivo valido per credere che davvero l'anno che verrà sarà migliore del precedente, anzi, dato che tutto ciò che esiste apparentemente tende verso una fine, si può con buone ragioni supporre che accadrà il contrario. tuttavia fa piacere sentirsi dire "tanti auguri", perché ci fa superare il senso di solitudine e malinconia esistenziali che caratterizzano, stranamente, ogni momento di festa. E' vero che nel tempo dell'informazione globale, il saluto particolare del vero amico è travolto e soffocato da migliaia di like. Come accade quando si cammina in una grande città, piena di traffico e di gente indaffarata, ci si sente invisibili e non sempre questa sensazione è spiacevole. Tuttavia l'inatteso "ciao" sincero fa emergere dalla nebbia della folla indistinta un volto umano, si percepisce la forza di un legame che trascende le onde su cui viaggia internet e riempie di colore perfino un modesto tweet.

Insomma, sui mari e sui monti, con il bel tempo o nella tempesta, nell'estrema povertà o nel lusso, nel pianto o nel riso sfrenato, l'unico augurio che veramente conta è che si affievolisca l'immensa sofferenza che trabocca dalle falle di ogni istante. E che ogni essere umano si convinca che solo in questo modo qualcosa può ancora cambiare, se si accetta di essere in questo mondo, per togliere almeno una piccola porzione dell'immenso mistero del Dolore, quello creato dall'iniquità, dalla violenza, dalla guerra e quello naturale che comunque ci attanaglia e ci determina.

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