Piove sul bagnato. In una chiesa cattolica colpita da scandali legati ai "misteri" della sparizione dell'Orlandi, del terribile caso dell'assassinio del generale delle guardie svizzere, della ricorrente débacle della gestione finanziaria, della piaga della pedofilia del clero, si affaccia la questione di un noto gesuita. Se il fatto non fosse stato sollevato la scorsa settimana dal sito left.it. non se ne sarebbe più sentito parlare. Invece il primo articolo è stato un cerino che ha acceso il falò della stampa, anche cattolica, internazionale. L'imbarazzo è molto grande, anche perché il personaggio in questione è da titoli cubitali. Valente pittore (secondo chi apprezza la sua arte, compresi gli ultimi Pontefici), predicatore straordinario, fecondo scrittore, è stato accusato di aver usato violenza psicologica nei confronti di alcune suore di una comunità da lui stesso co-fondata, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. Il caso è stato trattato "internamente" dal suo ordine religioso, con una sentenza di "prescrizione" dei reati da parte della specifica Congregazione Vaticana, il che significa con la sostanziale ammissione di atteggiamenti evidentemente poco corretti, anche se attuati circa trenta anni fa.
Pur conoscendo e ricordando molto bene gli avvenimenti di quel periodo - il gesuita in questione era stato ospite della Stella Matutina a Gorizia per alcuni anni, tra il 1988 e il 1991 e per almeno un paio di essi siamo stati strettissimi collaboratori - sento di far mie le famose parole di Francesco: "chi sono io per giudicare?"
Tuttavia vorrei proporre alcuni pensieri particolari.
Il primo riguarda il solito "silenzio vaticano". Perché non essere, come dice il Vangelo, semplici come le colombe e prudenti come i serpenti? Perché parlare di un caso significativo, sempre e solo dopo che per qualche strada è divenuto patrimonio generale? Anche per la dignità delle persone che hanno sofferto, come pure dello stesso protagonista della vicenda, non sarebbe meglio dire pane al pane e vino al vino? Non è proprio il "silenzio coatto" a enfatizzare le normali e umane più o meno gravi debolezze, offrendo in questo modo al tritacarne mediatico il godimento di tagliare a fettine il potente, improvvisamente trascinato giù dal piedistallo?
Il secondo riguarda la storia in sé. Si parla di violenza psicologica, manipolazione e di plagio. Forse tuttavia la "disgrazia" del gesuita è stata quella di essere uomo di successo. A quei tempi era persona capace di incantare le folle, tenendole a bocca aperta per ore ad ammirare il suo eloquio, a far proprie le sue intuizioni, perfino a imitarne l'accento, il modo di agire e di parlare. Era normale che suscitasse simpatie traboccanti fino a sfiorare l'amore spirituale più elevato, come pure cocenti delusioni in grado di scatenare autentici rigurgiti di irrefrenabile odio. Decine di persone avevano scelto a volte con gioia, più raramente quasi costrette, la loro strada nella vita, sollecitate da una capacità non comune di utilizzare la Parola di Dio per determinare i destini individuali. Altre lo avevano tagliato dall'orizzonte della loro esistenza, in preda alla classica disillusione di chi crede di aver trovato il Messia e si accorge di essersi sbagliato.
In fondo, a lui riusciva ciò che alla maggior parte dei preti non riesce, ovvero farsi ascoltare fino al punto da arrivare a controllare le decisioni fondamentali della vita. Il problema è perché o per chi lo si fa. Molto spesso, probabilmente in modo inconsapevole e in piena buona fede, la "presa di possesso" delle anime consente di sentirsi forti, di alleviare e coprire quella solitudine esistenziale profonda che spesso attanaglia chi, per scelta non sempre del tutto libera, vive nell'orizzonte del celibato ecclesiastico. Certo, a volte questo desiderio diventa malsano e si trasforma in manipolazione, soprattutto quando si rivolge a soggetti fragili o che attraversano momenti complessi della loro vita. Del resto, fino a quando non si ha a che fare con il reato di pedofilia, è difficile riconoscere, nei soggetti coinvolti in queste dinamiche, il labile confine esistente tra autentico discernimento spirituale che sostiene le scelte e manipolazione patologica che violenta le coscienze.
Il caso in sé probabilmente si sgonfierebbe da solo o comunque sarebbe riportato nella sua ordinaria dimensione, se esplicitato, per il bene di tutti, in modo meno diplomatico e gesuitico rispetto all'asettica dichiarazione stampa emessa quando proprio non se ne poteva più fare a meno. Ma la domanda sulla cosiddetta "direzione spirituale" è particolarmente importante e delicata. Fino a che punto il consigliere/confessore può spingersi nell'ascoltare e guidare le persone, senza arrivare a violare la loro fondamentale libertà di coscienza? Un eccesso di interferenza porterebbe a un condizionamento venefico, ma un richiamo all'esclusivo primato del giudizio individuale renderebbe sostanzialmente inutile il ruolo stesso di chi ritiene di svolgere un compito educativo.
Non si può negare che tra i due estremi ci sia anche l'equilibrio di tanti personaggi che hanno saputo tenere un meno eclatante ma più rispettoso atteggiamento, offrendo gli strumenti per "pensare con la propria testa", senza per questo abbandonare i soggetti a sé stessi. Si pensi a un don Milani o a un don Mazzolari, per portare qualche esempio del passato o anche alla cara, sofferta testimonianza di Pierluigi Di Piazza, "uno di noi", che ha fatto della libertà e della giustizia - per sé e per tutti - il proprio programma di vita.
E' un discorso lungo e delicato, è giusto lasciarsi interpellare dalla cronaca per cercare nuovi e sempre provvisori equilibri.
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