mercoledì 3 settembre 2025

Quanto è bella la mostra sul pittore Zoran Mušič in Palazzo Attems!

 

In tempo di genocidio, l'arte può essere veramente una denuncia universale, al di là del tempo e dello spazio, della violenza e della crudeltà che coinvolgono l'essere umano. Ma può essere anche il fondamento di una speranza profonda, derivata dall'immersione nella dimensione affascinante e coinvolgente della Bellezza.

Per questo non si può tralasciare una visita alla stupenda mostra allestita nel Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia, aperta ancora fino al 31 ottobre 2025.

Si tratta di un percorso interiore, nel cuore e nella mente del grande pittore sloveno Zoran Mušič, attraverso la contemplazione delle sue opere, ma anche guidati dalla chiave di lettura delle sue parole, riportate rigorosamente in italiano, sloveno e con la possibilità di audioguida in inglese (messaggio subliminale a un'altra interessante mostra contemporaneamente allestita a Gorizia).

L'artista attraversa tutti gli stili del XX secolo, ma l'originalità dell'esposizione sta nel farci vedere, al centro dell'itinerario, la "stanza di Zurigo" e il suo "Atelier". Sono due strutture completamente affrescate, che rendono possibile al visitatore un'immersione completa, tridimensionale, nel tratto artistico del pittore sloveno. In tali opere, espressione delle relazioni e delle amicizie umane e culturali, emerge una certa serenità nel modo di affrontare la vita. Prevalgono scene tratte dalla natura, delicatissimi nudi femminili e maschili, paesaggi carsici e dalmati, caratteristici animali proiettati in una dimensione metafisica. Le stanze successive tolgono ogni patina di serenità e contestano perfino la riduzione dell'essere alinea e forma caratteristica delle meravigliose imprese dell'astrattismo.

C'è una rottura profonda ed evidente, determinata dall'internamento di Zoran nel campo di sterminio di Dachau. Da quell'esperienza, relativamente breve, durata dall'autunno 1944 all'aprile 1945, nasce un nuovo modo di concepire la realtà e l'arte che la esprime. Se nell'immediato dopoguerra la rappresentazione dell'orrore derivato dal genocidio nazista degli ebrei e di tante altre categorie di inermi, è caratterizzata da un realismo sconvolgente, negli anni successivi il tema si trasforma in una speculazione "oltre la natura", una trasfigurazione della tragedia assoluta in un germe di speranza.

La ricerca si incentra sulla realtà e sul mistero del corpo umano, esaltato e vilipeso non solo dalla violenza dell'uomo contro l'uomo, ma anche dallo scorrere del tempo che tutti ci trasforma, costringendoci ogni giorno a un nuovo compromesso con l'immagine che abbiamo di noi stessi e della nostra abitazione sulla Terra. La percezione della relatività e della fragilità, lungi dall'annichilire la visione dell'umano, la riempiono di una meravigliosa compassione che penetra nelle fibre dell'essere e si manifesta in un inno alla bellezza, alla verità e alla paradossale bontà di tutti ciò che esiste.

Beh insomma, al di là delle mie chiacchiere, una mostra assolutamente da andare a vedere.

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