domenica 26 febbraio 2023

Una strage senza fine. Che fare?

 

Ennesima strage. Davanti alle coste della Calabria si spezza un barcone strapieno di persone e si teme che ci siano più di cento morti.

Non ci sono parole adeguate, davanti a questa nuova, fin troppo prevedibile catastrofe. Si possono solo immaginare il terrore, l'ansia e il dolore. E non si può fare a meno di porsi domande, purtroppo senza risposta. Anche perché, siano cento o sia soltanto uno, ogni bambino, donna o uomo, sprofondato nell'abisso del mare, è parte della stessa, comune umana famiglia.

C'è chi grida "assassini!". Sì, ma a chi? C'è chi si scandalizza per l'indifferenza di fronte a ciò che accade. Sì, ma di chi? 

Il rischio di cadere nel "cambiare tutto per non cambiare nulla" è molto simile a quello del dichiarare "tutti colpevoli perché nessuno lo sia". Eppure, se non c'è un reale cambiamento di rotta, non è difficile supporre che quello odierno non sia l'ultimo dramma.

In realtà, cercando di uscire dall'inevitabile clima emozionale, si possono individuare responsabilità e forse anche soluzioni. In Italia non esiste una normativa sulle migrazioni che sia in grado di affrontare i problemi contemperando legalità e umanità. I governi - di destra o sedicenti di centro sinistra - che si sono succeduti negli ultimi decenni non si sono discostati molto da una schema incentrato sulla deterrenza invece che sull'accoglienza. Non si tratta solo della (famigerata) lotta contro le ong o del finanziamento dei lager libici e turchi. In realtà, con o senza il supporto delle navi che incrociano nel Mediterraneo proprio per salvare più possibile i naufraghi, i migranti continuano ad arrivare e meno navi stabili incontrano, più è probabile che giungano su barche fatiscenti come quella affondata tra ieri e oggi. Inoltre, anche per chi è riuscito a eludere i controlli, la vita non è stata per nulla semplice, sospesa tra i preannunciati ma mai per fortuna attuati cannoneggiamenti della destra e la creazione di immensi ghetti autogestiti nelle periferie o nel centro delle grandi città. Chi rischia attraversando il mare, si trova spesso considerato come merce da lavoro e avviato dai diversi caporalati a un lavoro nero più propriamente definibile vera e propria schiavitù.

Allora? Allora il compito della Politica è quello di cambiare strada e passare dalla deterrenza all'accoglienza. Perché ciò accada è indispensabile la collaborazione con tutte le realtà dell'Unione europea, cercando insieme una nuova via, legata essenzialmente a quattro grandi urgenze. La prima è la redistribuzione del lavoro, in modo da consentire a tutti coloro che vogliono lasciare la propria terra per motivi di guerra o di fame, di poterlo fare, inserendosi in modo trasparente nei processi produttivi del cosiddetto "occidente ricco". La seconda urgenza è quella dell'abitazione, per consentire a chiunque arrivi un dignitoso inserimento all'interno della comunità sociale che lo dovrebbe accogliere, favorendo in ogni modo percorsi adeguati di reciprocità, inclusione e vicendevole integrazione. La terza urgenza è relativa ai ricongiungimenti familiari, da sostenere e valorizzare con tutti i mezzi possibili, per consentire una sempre più rapida normalizzazione delle relazioni tra le persone e i gruppi di appartenenza. La quarta e conseguente urgenza è quella di gestire direttamente i flussi migratori, investendo risorse finanziarie e umane sulla sicurezza delle rotte marittime e balcaniche, in modo che nessuno debba mai più affidarsi ai criminali mercanti di uomini, questi sì, veri assassini che utilizzano la disperazione delle persone per arricchirsi in modo indescrivibile e spregiudicato.

Se il compito della Politica (con la P maiuscola) è quello di trasformare il grido che si innalza da questa tragedia in un nuovo modo di concepire e intendere l'accoglienza, quale può essere il compito del cittadino che non sia rappresentante eletto dal popolo? E' difficile comprendere quanto sia importante, in un momento come questo, il punto di vista di ogni soggetto. Eppure lo è. Lo è nell'impegno di attenzione nei confronti di ogni migrante che si trovi per qualsiasi motivo in difficoltà, lo è nelle parole che si proferiscono quotidianamente e che possono contribuire a creare accoglienza o diffidenza, lo è nella scelta dei propri rappresentanti e nel voto a coloro che garantiscano con sufficiente credibilità la costruzione di un'Italia e di un'Europa eque, solidali e accoglienti. E lo è anche nella capacità di mettersi insieme per studiare un nuovo sistema sociale, alternativo a quello attuale. Sì, perché le migrazioni forzate altro non sono che una delle più macroscopiche conseguenze del capitalismo planetario, basato essenzialmente sulla necessità di incrementare la già spaventosa distanza tra i pochissimi straricchi e l'immane folla degli strapoveri che cercano di sopravvivere, con fatica e in qualche modo, ogni giorno.

Nessuno è "assassino" o "indifferente". O forse, tutti siamo assassini o indifferenti, il che è la stessa cosa. Piuttosto è necessario risvegliarsi dal torpore dell'impotenza e cominciare a costruire, a ogni livello, la civiltà della solidarietà e della totale condivisione.

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