Il monumento cercato in effetti si trova al centro della frazione, dove c'è un grande parcheggio che prelude alle spiagge ufficiali, quelle organizzate (poche) e quelle libere multicolori ancora facilmente reperibili in questo piccolo angolo d'Italia per ora dimenticato dal gran turismo. Proposto dal Consiglio Comunale, invita giustamente a una riflessione e a un pensiero per le troppe vittime di questa strage e fa un cenno alla necessità di fermare i trafficanti di persone che percorrono le rotte del Mediterraneo. Dimentica gravemente un aspetto, ovvero il risvolto politico. I fatti di Cutro non sono soltanto uno dei tanti episodi di naufragio di poveri che cercano una nuova vita nell'Occidente opulento, sono una grave denuncia sull'inadempienza di una "politica" che dovrebbe risolvere i problemi delle persone e non aggravarli. Un signore del posto sta sistemando la piazzetta con al centro la pietra e la lunga iscrizione. Lo chiamiamo Giuseppe, per non identificarlo. Racconta ancora con le lacrime di quei giorni, dei morti strappati alla sabbia, trascinati per i piedi sulla riva, dei cadaveri da lui stesso recuperati qualche giorno dopo sulle dune vicine, dell'uomo con la jeep che voleva salvare almeno un bambino e che dall'acqua riusciva a tirare fuori soltanto altri morti, delle pietose cerimonie funebri nel cimitero di Cutro e in quelli vicini. "Ma si potevano salvare?" "Certamente sì, forse non tutti, alcuni sono rimasti schiacciati nello schianto dell'onda sul banco di sabbia. Ma se si fosse arrivati prima ad attendere i profughi - anche per terra, visto che il mare era molto agitato, ma che la barca era a pochi passi dalla riva - forse tanti sarebbero ancora vivi. Noi del paese abbiamo fatto tutto il possibile, ma rimane in noi un senso profondo di smarrimento, come di colpa, per non avere fatto di più." E in chi avrebbe dovuto intervenire con i mezzi di soccorso e non lo ha fatto, c'è ancora il medesimo rammarico? Qualcuno sarà ritenuto responsabile dell'omissione di soccorso di centinaia di esseri umani?
I fatti di Cutro, in un Paese normale, avrebbero dovuto suscitare una grande indignazione e, con essa, un sussulto di umanità da tradurre in leggi umane finalizzate all'accoglienza e non al respingimento. Invece è accaduto il contrario. Le responsabilità sono state addebitate ai cosiddetti "trafficanti" - anch'essi peraltro povera gente sfruttata da potentati ben più forti e inarrivabili di quanto non si possa immaginare - e le normative sono state incentrate sul controllo delle partenze attraverso accordi con Paesi tutt'altro che democratici, sull'inasprimento delle pene detentive e perfino sulla penalizzazione delle ong schierate nel Mediterraneo a difesa della vita di migliaia di naufraghi.
Il contrasto tra la bellezza dei paesaggi e la tragicità dei fatti toglie quasi il respiro. In questa sospensione del tempo restano un mesto sorriso di fronte a un mazzo di fiori piantato nella sabbia ardente d'agosto, un respiro di speranza di fronte alla naturale umanità degli abitanti di un villaggio abituato a scrutare il cielo e il mare, un soprassalto di indignazione di fronte a un monumento alla disumanità di leggi chi dovrebbero promuovere la Vita invece di mortificarla.
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