Francesco, vescovo di Roma, ha avviato ufficialmente l'Anno Santo, la notte di Natale, aprendo la porta di San Pietro in Vaticano. E' il "pontefice", cioè "colui che costruisce ponti" e in effetti i suoi gesti e le sue parole sono improntate dal desiderio di costruire ponti di fraternità fra le persone, i popoli e le nazioni.
L'immagine del papa in carrozzina che spinge delicatamente il portale della chiesa cattolica più grande e importante del mondo è molto suggestiva. La debolezza fisica amplifica il messaggio inviato a ogni abitante del mondo, mentre la gigantesca coreografia rinascimentale sembra volerlo soffocare, ridurlo a un flatus vocis incapace di varcare le barriere degli interessi politici ed economici planetari.
Francesco parla del dolore del mondo e la sua voce riesce a raggiungere ogni angolo perché diffusa dai media gestiti dallo stesso Potere che determina le guerre, gli squilibri economici e la divisione tra pochissimi straricchi e una moltitudine immensa di strapoveri. La forza della sua denuncia è indebolita dal pulpito dal quale parla, quello di una cattolicità ancora enormemente impregnata di quello stesso immenso Potere che le ha permesso di sopravvivere e di attraversare 1700 anni di storia.
Probabilmente il papa se ne rende conto e infatti sembra più interessato a inviare accorati appelli al Pianeta minacciato che a trasformare l'istituzione ecclesiale della quale è a capo. In altre parole, parla con la forza della sua debolezza e trascura la debolezza della forza, cioè della struttura sostenuta da un miliardo di fedeli che appare sempre più come la gigantesca barocca facciata di un edificio ormai vuoto.
E' un pastore inascoltato che vuole proteggere il gregge dai lupi del presente? O è una pecora che veste la pelle del lupo per evitare all'umanità di essere sbranata? Si può usare ancora usare la metafora del buon pastore che entra per la porta giusta dell'ovile e del nemico che invece entra dalla finestra per rapire e distruggere? Fino a che punto la parola di una pecora-lupo può essere effettivamente compresa e raccolta, senza rischiare la completa inincidenza? Se fosse davvero solo pecora, sarebbe sicuramente sbranata insieme all'intero gregge?
Tutto ciò per dire che Francesco dice parole da condividere e da comunicare ovunque, ma che la Chiesa della quale è guida suprema e assoluta deve cambiare. Le sue strutture, la visione teologica, il diritto canonico sono aggiornati, nel migliore dei casi, al Concilio Vaticano II. I documenti dell'assise di ormai 60 anni fa sono il frutto di una specie di compromesso tra "progressismo" e "conservatorismo", per cui ciascuno può trovare in quei testi conforto alle proprie tesi. E così la vita pastorale ordinaria scorre per lo più nella stessa direzione di cento anni fa, i sempre meno cosiddetti praticanti partecipano a una messa domenicale noiosa e ripetitiva, seguono schemi stantii dove ancora i sacramenti fungono da antropologici riti di iniziazione in una società ormai totalmente laicizzata, pluriculturale e plurireligiosa.
Il mondo in questi ultimi 60 anni è radicalmente cambiato e non occorre essere sociologi o analisti politici per potersene rendere conto. La globalizzazione, internet, i grandi movimenti di popoli alla ricerca di pane e pace, le guerre tecnologiche, il cambiamento climatico non inducono immediatamente a una visione di speranza. Le religioni e in particolare i cristianesimi potrebbero portare davvero una ventata di trascendenza, un altro punto di vista sulla realtà capace di rovesciare le carte e di aprire nuove inattese porte. Ma occorre superare il rischio della formalità, altrimenti anche l'apertura dei cancelli santi di Rebibbia rischierebbe di risultare un gesto soltanto simbolico se non fosse accompagnato dalla concreta liberazione di coloro che, in ogni parte del mondo, sono paralizzati dalle catene della prigionia e della schiavitù.
Il papa giustamente addita l'anno del Giubileo del 2033, memoria dei 2000 anni dalla Pasqua di Risurrezione, come tappa di verifica degli auspici che l'Anno Santo della Speranza 2025 porta con sé. E' necessario tuttavia che la chiesa cattolica per prima si aggiorni, con la possibilità di trasformarsi fino al punto da mettere in discussione i suoi stessi capisaldi. E' tempo di un nuovo Concilio, veramente "ecumenico" come quelli dei primi secoli. Se ciò accadrà, nella prossima occasione giubilare non si percepirà probabilmente soltanto la forza della debolezza di un uomo anziano in carrozzina che grida al mondo il proprio desiderio di pace, ma quella di una Chiesa che ha rinunciato al proprio potere e alle propri strutture, per testimoniare come un altro mondo sia veramente possibile, la civiltà della pace e della giustizia. E' la riscoperta della forza travolgente del martirio, l'estrema debolezza dell'apparente perdente che mette in crisi, nell'azione nonviolenta impregnata dall'amore, uno dei più grandi imperi che la storia ricordi.
Beh l’impero principale oggi è quello americano (dollaro e potenza militare) e non mi pare Francesco lo abbia mai detto
RispondiEliminaLa rinuncia al potere per la struttura chiesa mi appare fuori da ogni realistico futuro.
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