La riflessione sulla Speranza è stata il filo conduttore del momento iniziale, come della Messa presieduta dall'Arcivescovo Redaelli che nella sua interessante omelia ha richiamato i fedeli alla dimensione della remissione del debito, quello contratto con sé stessi e quello degli uni nei confronti degli altri.
In questa apertura dell'anno santo, c'è qualcosa che sfugge. I riti sono molto potenti, quelli presieduti da Francesco in Vaticano e soprattutto a Rebibbia, come il pellegrinaggio per le vie della città compiuto oggi a livello locale. Ma non si riesce a cogliere fino in fondo il nesso tra la dimensione legata alla contemplazione del Mistero del trascendente, come fondamento spirituale assoluto della Speranza e quella immanente, determinata dalla sempre contingente traduzione in gesti e azioni conseguenti.
E così, un evento simbolicamente potente come quello di un Papa che chiede di entrare nella "porta santa" di Rebibbia, rimane sospeso tra lo stupore di una Chiesa che vuole "farsi prossimo" dei detenuti e la constatazione che quell'apertura potrà servire solo a far entrare il pontefice e i suoi collaboratori, non certo per far uscire coloro che sono reclusi. L'annuncio della liberazione dei prigionieri rimane per così dire "imprigionato" nella sfera dello Spirito, mentre non parla alla "Carne" del detenuto. Oppure viceversa, il messaggio assume una forte valenza politica di (irrealizzabile purtroppo) abbattimento dei muri della prigionia, perdendo nel contempo la libertà dello Spirito che "soffia dove vuole".
E' simile l'impressione suscitata dalla sosta davanti alla casa circondariale di Gorizia. Da una parte si è vista una processione che più tradizionale di così non si può, litanie antiche ad accompagnare una croce sballottata di qua e di là dai portatori che non sembravano conoscere il programma del percorso, Arcivescovo in paramenti da celebrazione con mitria sul capo e pastorale tra le mani, monsignori impettiti con tanto di cappelli rossi a pon pon. Dall'altra il semplice tocco della mano del celebrante sul portale di ferro, l'aprirsi e il comparire di un detenuto insieme a don Alberto e a don Paolo, la sua lettura del Vangelo - timido e fragile - sulla liberazione degli oppressi nel Giubileo della misericordia del Signore, un breve saluto e il rinchiudersi secco e risonante del portale, chi è dentro è dentro chi è fuori è fuori. Sarà perché nessuno si è premurato di spiegare l'importanza del momento, sarà perché la cortina dei giornalisti e dei fotografi ha sottratto ai più la partecipazione ai gesti, sarà perché si è voluto mostrare una Chiesa sulla soglia ma non l'uscita di coloro che sono rinchiusi, fatto sta che molti presenti erano visibilmente commossi, ma senza sapere perché.
"Che bel gesto, emozionante e commovente!" "Già, ma cosa cambia?" "E cosa dovrebbe cambiare, mica vorrai che tutti quelli che hanno commesso reati vengano liberati?" "E allora, che senso ha questo gesto?" "Dare a loro speranza..." Ecco alcuni sprazzi dei commenti della "cente".
Ecco, per essere costruttivi e per cercare di tradurre il gesto spirituale in proposta concreta: questo anno santo potrebbe servire per facilitare i permessi d'uscita agli ospiti del carcere goriziano; per favorire la creazione di comunità dove svolgere pene alternative al carcere, necessariamente per pene inferiori ai tre anni, possibilmente anche per quelle superiori; per istituire urgentemente - atto semplicissimo da realizzare, in quanto senza oneri per l'amministrazione! - il GARANTE PER I DIRITTI DELLE PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTA' INDIVIDUALE, con bando pubblico bandito immediatamente dal Comune di Gorizia; per chiudere il CPR di Gradisca d'Isonzo e tutti i CPR Lager presenti in Italia; per creare una piccola comunità di detenuti nell'ex seminario di Gorizia, facendo di loro degli ottimi "hospitaleri" per i giovani in cammino sull'iter goritienese o sui mille percorsi a piedi e in bicicletta che intersecano il territorio.
Insomma, c'è bisogno di riconciliare trascendenza e immanenza, senza confonderle, ma anche senza collocarle una accanto all'altra in modo poco comprensibile. In fondo, è un bel compito che può essere svolto in questo anno giubilare che per Gorizia - non è mai da dimenticare - sarà anche quello della compartecipazione a Nova Gorica, capitale europea della Cultura 2025.
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