Ieri sono stato a visitare la Biennale di Venezia 2022.
Molto interessante. Particolarmente originale risulta essere il taglio femminile e femminista dell'esposizione, le artiste sono la stragrande maggioranza e certamente questa particolarità incide fortemente sulla forza e la linearità dei messaggi. C'è inoltre una significativa accentuazione sociale e politica che rinvia in parte alla fine degli anni '60 e alla prima parte del successivo decennio, quando l'arte non era mai considerata fine a sé stessa, ma rinviava a una visione essenzialmente rivoluzionaria del presente.
Il tema dominante sembra essere proprio la possibilità stessa di un futuro. Scorrono immagini terribili, la cui trasformazione in opera poetica non diminuisce ma acuisce l'orrore. I macelli dove si compie il destino di milioni di animali cresciuti negli allevamenti intensivi si alternano alla distruzione sistematica del suolo e alla perdita di ogni rispetto nei confronti della madre terra.
Inutile dire che ci sono intensi richiami all'urgenza di un pacifismo in grado di contestare in ogni modo il proliferare delle armi, direttamente proporzionale alla crescita delle più assurde ingiustizie e di una spaventosa disumanità. Il punto di arrivo di questo percorso della societas globalizzata del Capitale e del Consumo è la catastrofe nucleare, non provocata tanto dall'insipienza degli strateghi del terrore quanto dall'inevitabile declino della stessa natura di homo sapiens. Il padiglione centrale, in diversi modi e attraverso le "forme artistiche" più diversificate, trasmette questa inquietante sensazione in ogni suo angolo. E' introdotto da un'enorme statua di un'elefantessa verde che sembra voler rappresentare il pachidermico viaggio nella cristalleria dell'antropologia e della biologia, il rischio di un'estinzione non certo determinata dalla volontà degli animali. Le esposizioni dei singoli Paesi riecheggiano l'argomento fondamentale, proponendo artiste individuali capaci di aggiungere qualche granello di speranza a una situazione riconosciuta comunque deprimente.
Come in ogni sua edizione, anche quest'anno la Biennale provoca e fa pensare. L'inquietudine valorizzata dalla bellezza del gesto artistico non è una masochistica e fatalistica chiusura dentro la propria malinconia. E' invece l'unica possibilità di essere e sentirsi pienamente umani, consapevoli dell'abisso vicino al quale si cammina, preoccupati per la generale incoscienza e nello stesso tempo ancora convinti che qualcosa, magari poco, sia ancora possibile salvare. La responsabilità umana è enorme, occorre assumere come compito l'assunzione del "latte dei sogni", titolo della rassegna. "Bere il Sogno" è accogliere la concretezza di un'utopia che non è il luogo impossibile, ma l'unica, ultima chance per la sopravvivenza di tutti.
La Biennale sarà aperta fino al 27 novembre. Vale davvero la pena di spendere una giornata per coglierne il potente appello.
Nessun commento:
Posta un commento