Non è la prima edizione in italiano della principale e unica opera pubblicata nella lingua materna prima della morte del poeta sloveno. La precedente, a suo tempo abbastanza diffusa è datata 1976, curata da Francesco Husu. La seconda risale al 1998, curata da Marija Pirjevec e con traduzione di Giorgio Depangher. Questa nuova opera ha molti pregi e può essere un ottimo strumento offerto al pubblico italiano per conoscer non solo la poetica di Prešeren, ma anche a storia culturale e letteraria del popolo sloveno nella prima metà del XIX secolo. Come nel 1998, viene riprodotta opportunamente anche la versione in sloveno, corredata da un approfondito apparato critico che consente di contestualizzare e di comprendere meglio ogni componimento. Tuttavia, a differenza delle precedenti, questa versione vuole mantenere, come scrive lo stesso curatore, "lo zven e il pomen", il suono e il significato, con un linguaggio accessibile e nello stesso tempo innovativo.
Ecco allora che l'opera si sdoppia, pur rimanendo profondamente unitaria. Da una parte emerge il grande poeta sloveno, nati a Vrba nel 1900 e morto a Kranj l'8 febbraio 1849. Si tratta di un accesso molto originale alla poesia romantica dell''800 europeo, che offre alta dignità alla lingua letteraria slovena e nel contempo sottolinea la forte relazione con la vita della comunità popolare e locale. Prešeren scrive di amore e di cultura, di politica e di religione, riesce perfino a regalare un originalissimo mito fondatore, nel "Krst", "Battesimo alle sorgenti della Savica", l'epopea di Črtomir e Bogomila, due anti-eroi collocati all'origine della coscienza identitaria. In questo senso può essere paragonato a Leopardi, anche se la ripetizione quasi ossessiva della rima baciata consente un singolare intreccio fra la tradizione e la novità. Come molti sanno, una strofa del "Brindisi" di Prešeren fa parte dell'inno nazionale sloveno, un canto che inneggia al vino e alle gioie della vita e che si conclude con un forte anelito alla pace e alla giustizia tra tutte le nazioni.
Dall'altra parte è Košuta che dona un sorprendente approccio alla traduzione. Le poesie tradotte in italiano prendono nuova vita. Non tradiscono ma trasmettono nella poetica contemporanea, uniscono il romanticismo con la postmodernità, creano un grande spazio di incontro artistico tra i popoli che si sentono rappresentati dalla lingua slovena e da quella italiana. Il risultato è un affidamento di responsabilità a chi vive intorno a un confine, quello di seguire l'esempio di Miran, diventando capaci di valorizzare da una parte la propria storia e cultura, dall'altra quella del "vicino", disponibili a creare un'ulteriore "forma" di linguaggio, una sorta di mediazione creativa, quella caratteristica di una "cultura di frontiera", intesa come passaggio, compenetrazione, commistione.
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