Molte sono le intuizioni innovative che hanno caratterizzato il Concilio. La più eclatante e immediatamente riscontrabile è stata la riforma liturgica, con l'introduzione delle lingue correnti al posto del latino nei riti. La Costituzione Sacrosanctum Concilium, approvata nel 1963, è stato il primo documento fondante approvato, la altre tre Costituzioni (Lumen Gentium sulla Chiesa, Dei Verbum sulla Rivelazione, Gaudium et Spes sul rapporto tra Chiesa Cattolica e Mondo contemporaneo), sono state promulgate successivamente, accanto a molti altri Decreti e Dichiarazioni dedicati a temi specifici, quali l'unità dei cristiani, il rapporto con le religioni, la formazione sacerdotale, le comunicazioni sociali, la scuola, l'apostolato dei laici e tanti altri.
Le altre grandi prospettive, aperte dal Vaticano II, sono meno conosciute e proposte non senza contraddizioni, dovute soprattutto alla necessità di raggiungere compromessi tra gli episcopati tradizionalisti e quelli progressisti. Il metodo di risoluzione delle controversie, basato sull'affermazione contemporanea di diverse posizioni, ha consentito di raggiungere la sostanziale unanimità di voto sulle prese di posizione ufficiali, lasciando nel contempo aperta la discussione su temi di grande importanza. Per esempio, se è vero il definitivo superamento dell'espressione "extra ecclesiam nulla salus", è altrettanto vero che la Lumen Gentium - a differenza della dichiarazione Nostra Aetate - afferma la presenza della pienezza della Verità soltanto nella Chiesa cattolica. Si parla di collegialità episcopale per ciò che concerne la guida della comunità, ma non viene neppure scalfito l'assoluto primato del Papa, meno che meno viene affrontata la questione dell'infallibilità "ex cathedra", proclamata dogmaticamente cento anni prima dal Vaticano I con un dettato a dir poco anacronistico. Si tratta dell'equiparazione della dignità di servizio tra laici e presbiteri, ma si ribadisce la distinzione addirittura "ontologica" tra sacerdozio battesimale e ministeriale. Si sottolinea il primato della libertà di coscienza sull'obbedienza alla legge, ma si ribadisce che l'unica realtà deputata alla corretta interpretazione della Scrittura e della Tradizione è quella del Magistero dei Vescovi in unione con il "Sommo Pontefice". Si raccomandano la piena partecipazione del cristiano alla vita pubblica e sociale e la scelta di un ripudio costante della guerra come strumento di risoluzione delle controversie tra le persone e i popoli, ma non si avviano processi di allontanamento dai privilegi e collateralismi politici e culturali che hanno spesso infangato il buon nome della Chiesa. Si proclama la libertà nei confronti dei beni materiali e terreni, ma non viene neppure sfiorata l'idea di uno smantellamento della Città del Vaticano, ultimo residuo di un potere temporale che dovrebbe essere considerato ormai definitivamente superato dalla Storia.
L'impressione è dunque che il Concilio Vaticano II abbia preso atto dei grandi cambiamenti che hanno interessato tutte le società planetarie negli ultimi due secoli, ma che non abbia voluto "definire" nulla, lasciando il compito di spostare i confini dell'interpretazione - più a destra o a sinistra, per usare categorie politiche - alle generazioni successive. Il che poi è accaduto, con molte tensioni, verso la Tradizione o verso il progresso, che hanno portato più volte la Chiesa sull'orlo dello scisma. Gli stessi vescovi di Roma che si sono succeduti hanno rilevato nella loro stessa persona tali contraddizioni. Paolo VI è colui che ha voluto continuare e portare a termine il Concilio, dopo la morte di Roncalli. Ha seguito i primi passi della sua applicazione, ondeggiando in modo assai sofferto tra innovazione (Populorum Progressio) e conservazione (Humanae Vitae). Giovanni Paolo I, nella sua brevissima esperienza durata appena un mese, ha avuto il tempo di passare dal plurale maiestatis alla prima persona singolare, ma anche di prendere in esame il dossier economico della Santa Sede, conoscenza che secondo le teorie complottiste ma non del tutto peregrine, sarebbe alla base della sua morte improvvisa. Giovanni Paolo II ha avuto una presenza molto incisiva sul piano delle relazioni ad extra, c'è chi lo riconosce come concausa del crollo dei muri tra est e ovest d'Europa, ma ha confermato con una certa rigidezza le posizioni meno avanzate del Concilio per ciò che concerne la vita interna della Chiesa. La sua posizione è stata enfatizzata dal suo successore, papa Ratzinger che con raffinata visione teologica ha ribadito la chiave ermeneutica della filosofia aristotelica e tomista come unica fondante l'identità teologica dei cristiani, lasciandosi poi travolgere da un'incredibile serie di scandali vaticani che lo hanno portato alle repentine e inattese dimissioni "per motivi di salute". Francesco ha affrontato il pontificato offrendo un campionario di atteggiamenti che hanno suscitato entusiasmo in una parte più avanzata della comunità credente e critiche anche feroci - spinte fino ai dubbi sulla legittimità dell'elezione - nell'altra parte più conservatrice.
In questa situazione, non basta dire che "occorre solo applicare i dettati conciliari", perché questo è già stato tentato negli ultimi sessanta anni, con il risultato di un'incertezza venefica sul cammino da seguire. E' vero anche che affermare tutto e il contrario di tutto può nell'immediato evitare scontri insanabili, ma a lungo andare il dubbio permanente può risultare molto più pericoloso e condurre all'insignificanza di posizioni sempre contraddette da quelle opposte. C'è bisogno invece di un nuovo Concilio, aperto anche alle altre chiese, alle religioni, ai diversi ateismi. Potrebbe essere un'assemblea mondiale di rappresentanti di alto livello, uniti nella ricerca di nuove coraggiose prospettive da offrire alla Chiesa cattolica del Terzo Millennio. Una simile assise avrebbe la legittimazione teologica e sociale per orientare autorevolmente le speranze suscitate dall'alba del Concilio Vaticano II, evitando che l'aurora si trasformi direttamente in tramonto.
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