domenica 30 ottobre 2022

Pacifismo e guerra, l'ora di un profondo rinnovamento

 

Ormai sono passati molti mesi dall'inizio della guerra in Ucraina. Lo scenario per il momento non sembra purtroppo essere molto diverso da quello dei primi giorni. Il conflitto si è stabilizzato, nel senso che continua con il suo carico di morte e distruzione. Il mondo cosiddetto occidentale è totalmente schierato dalla parte di Zelensky e per il momento invia vecchi e nuovi armamenti che consentono una resistenza sanguinosa e un prolungamento a oltranza dei combattimenti. L'unica voce autorevole che invita a deporre le armi e a trattare con la forza della diplomazia, è quella di papa Francesco che, mai come in questo momento, sembra essere un profeta inascoltato.

O meglio, è ascoltato da un'area abbastanza composita di sostenitori delle ragioni di una pace che non può essere raggiunta immettendo sul campo armamenti sempre più sofisticati. Ai movimenti pacifisti di area cattolica e comunista, si sono aggiunte frange provenienti dal settore anarchico e libertario, oltre che da isolati settori della politica parlamentare. Fra questi, una parte consistente dei Cinque Stelle sembrano essere più liberi rispetto al tempo in cui, inseriti nel governo Draghi, erano costretti a "tacere e andare avanti". C'è da aspettarsi, per lo stesso motivo, uno spostamento su posizioni pacifiste anche di alcuni settori del Partito Democratico, svincolati dalla necessità di sostenere senza tentennamenti le ragioni di Zelensky (e forse anche, si spera, le politiche migratorie degli ultimi anni).

Detto, o meglio scritto questo, c'è da domandarsi quanta forza abbiano queste voci. In tutta Italia, dallo scorso mese di marzo e poi ancora di più dallo scorso 21 ottobre, si svolgono manifestazioni per una pace senza armi. Il prossimo 5 novembre, a Roma, si prevede un corteo che dovrebbe raggiungere "numeri" di altri tempi. Ma servirà a qualcosa? E' difficile dirlo, per il momento quello dei costruttori di pace sembra essere un recinto tollerato dal sistema, più che uno spazio di rivendicazione in grado di disturbare effettivamente il Potere. Per quanto riguarda le iniziative locali, l'impressione, con tutto rispetto, è più quella di raduni di reduci che di forze giovani e innovative che sappiano farsi veramente e concretamente ascoltare. 

Certo, piuttosto che niente è meglio piuttosto. Tuttavia l'ammissione di una sostanziale inincidenza e di piccoli successi autoreferenziali ("Siamo in tanti!", "C'era anche la RAI", "le musiche erano molto belle", e così via...), nonostante gli sforzi profusi, dovrebbe essere preludio a qualche nuovo passo, su sentieri diversi rispetto a quelli finora battuti. Forse occorre che la generazione dei grandi movimenti contro la guerra in Iraq, successiva a quella "mitica" anti intervento americano in Vietnam, sappia farsi da parte e, come si suol dire, lasciare spazio ai giovani. Le nuove "leve", per usare un termine militaresco, hanno già dato prova di grandi capacità con gli indimenticabili "venerdì per il futuro". Forse è necessario dare loro molto più ascolto e spazio, anche offrendo spunti di riflessione come sta facendo il buon Francesco, ma lasciando a essi la possibilità di esprimersi, di organizzare e di costruire, magari anche in modi e forme molto diversi da quelli ai quali ci si è ormai abituati.

Il rischio del più o meno stanco ripetersi del rito esiste, pur nella piena consapevolezza della necessità di non tacere. Ma se in ogni azione per costruire un "altro mondo possibile" non si percepisce la presenza che di pochissimi giovani e manca la sensazione di un autentico rinnovamento, il grido di pace sarà ascoltato soltanto da coloro che lo elevano. Non toccherà le coscienze e nessuno, nei piani alti della politica e della cultura, si preoccuperà neppure di soffocarlo.

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