Ciò che è accaduto a Mossa (presso Gorizia) lo scorso lunedì è senz'altro inquietante ma non certo imprevedibile.
Brucia il capannone dell'ex ditta Bertolini, le fiamme divorano tutto ciò che vi è stato accatastato da altre realtà negli anni successivi al fallimento, comprese plastiche e materiali inquinanti. L'incendio avviene dieci giorni dopo un processo conclusosi con la condanna di alcuni personaggi. Il fumo si vede da lontano, piovono le inevitabili polemiche.
Al di là della solidarietà con gli sfortunati abitanti della zona che devono subire le conseguenze di un simile disastro, delle inchieste giudiziarie che dovranno illuminare gli eventi e dei sostenibili richiami alle probabili infiltrazioni mafiose, c'è una domanda alla quale non è facile dare risposte.
In situazioni come quella di Mossa, presenti ormai a centinaia in FVG e a decine di migliaia in Italia, chi e come deve intervenire?
Il percorso è noto. Il Comune, accertato l'abbandono di rifiuti o la discarica abusiva, dovrebbe emettere un'ordinanza contro i proprietari, ingiungendo loro di intervenire entro una data ragionevole.
Già in questo preliminare si incontra la prima grande difficoltà. A chi inviare l'ordinanza se, come capita frequentemente, risulta difficile individuare il responsabile effettivo, a fronte di un susseguirsi di proprietà più o meno fittizie? Se poi, dopo approfondite ricerche, effettuate con denaro pubblico, si riuscisse anche ad arrivare a qualche nome, non sarebbe affatto scontata la ricezione del documento da parte del reo. "Destinatario sconosciuto", "destinatario irreperibile", è scritto spesso sui timbri apposti dalle Poste sulle raccomandate restituite al mittente. In questo modo tutto si blocca, perché, in assenza di materiali dichiarati inquinanti, il Comune, ma anche l'Azienda Sanitaria di riferimento, non può neppure violare la proprietà privata per eseguire gli accertamenti, salvo autorizzazione - da ottenere con un non breve procedimento - da parte della Procura.
Ammettiamo che qualcuno accetti la missiva e che quindi sia stato avvisato dell'obbligo di intervenire quanto prima. Quel "qualcuno" spesso si trova in carcere o si trova in condizioni talmente particolari da non poter o anche ovviamente di non aver alcun interesse a intervenire. In questo caso è il Comune che ha l'obbligo di procedere, allo scadere dell'ultimatum inviato ai colpevoli, investendo denaro dalle propri casse, con la possibilità di ricevere contributi - normalmente dopo aver già svolto il proprio "dovere" - soltanto in caso di presenza di materiali dichiarati potenzialmente nocivi per la popolazione, sempre ammessa la possibilità di definirne la natura. Ovviamente poi ci si dovrebbe rivalere sui proprietari, nel frattempo di solito resisi "uccelli di bosco". Ne consegue che l'investimento cospicuo di denaro pubblico non viene quasi mai recuperato e che perfino la proprietà degli immobili e dei terreni non possa essere trasferita all'ente che è stato costretto a intervenire. Ammesso e non concesso che il suddetto ente sia in grado di anticipare fondi propri o di dilapidare le proprie casse a fondo perduto.
Quindi...
Quindi è necessario e urgente che il legislatore ponga mano alla questione, che non riguarda solo i traffici illeciti di rifiuti o l'inquinamento ambientale - ambiti nei quali, almeno teoricamente, è possibile trovare qualche riferimento normativo - ma anche i sempre più numerosi abbandoni di rifiuti industriali, capannoni dismessi e trasformati in discariche, terreni invasi da materiali ingombranti di ogni tipo, anche se non immediatamente pericolosi. "Non immediatamente" significa che non ci sono pericoli immediati per la salute, ma che un pazzo o un criminale - per dolo o per incoscienza - potrebbe lanciare un cerino provocando una devastazione di ampie proporzioni.
Non sembra che ci sia questa volontà politica e che la proposta dell'"esproprio paesaggistico" la quale consentirebbe agli enti di diventare proprietari delle aree in questione (con conseguente possibilità di accedere a fondi regionali e statali, nonché di riqualificare gli spazi) appare ancora avveniristica, forse perché sposterebbe le responsabilità di intervento e soprattutto il suo finanziamento agli enti superiori che abbiano funzione legislativa e non solo regolamentare.
Stando così le cose, ci si augura, ma con scarso ottimismo, che il rogo di Mossa possa essere un monito a prendere in mano un problema che travalica di gran lunga le competenze di un Municipio. Altrimenti la colonna di fumo non sarà certo né la prima né l'ultima nella nostra Regione e, più in generale, nel nostro Paese.
C'è da chiedersi perché situazioni come quelle successe a Mossa, non potrebbero mai accadere, ad esempio, in Germania o in un altro paese civile d'Europa. L'Italia è vittima della burocrazia, in tutti i settori, e la burocrazia trova terreno fertile dove alberga la malavita e il malaffare..... patrizia socci
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