mercoledì 17 novembre 2021

In cammino, nella fragile speranza di un mondo migliore

In questa fotografia, scattata a Velika Kladuša tre anni fa, si può vedere l'inizio di un game. Circa in venti, hanno lasciato il misero campo in Bosnia per camminare verso il confine. Percorrono un breve tratto insieme, poi si sparpagliano nella boscaglia e cercano di entrare in Croazia. Sanno bene che è difficile, ma ci provano. Per alcuni è la prima volta, altri hanno tentato di più, qualcuno conta decine di prove. Qualcuno miracolosamente riuscirà ad arrivare in Slovenia, quasi nessuno in Italia o in Austria. La stragrande maggioranza viene fermata dalle guardie confinarie, riceve maltrattamenti denunciati ormai da organizzazioni governative e non governative, viene respinta e rimandata nel campo. Non c'è altra prospettiva, se non quella di incamminarsi di nuovo, il giorno seguente, la notte seguente, una settimana dopo, il tempo di curarsi le ferite. Qualcuno non ce la fa e viene trovato, schiacciato dagli stenti e a volte dalle percosse, a lato del sentiero lungo il quale pensava di conquistare un impossibile futuro...

Quanti esseri umani sono in cammino in questi tempi difficili! La scena della foto si è ripetuta centinaia, migliaia di volte. Purtroppo parlando del game non si può che usare il tempo presente, si è molto lontani dal trovare una soluzione, o anche semplicemente un'umana spiegazione.

Lo "spirito dei piedi" è quello che consente a milioni di donne, uomini e bambini, di lasciare la propria casa per cercare di vincere altrove l'impari battaglia contro la fame, la guerra, le persecuzioni. Camminano verso l'Unione Europea e il loro desiderio di Vita si infrange contro i fili spinati e i soldati schierati in assetto di guerra sul confine tra la Bielorussia e la Polonia. Camminano verso i Balcani e finiscono nei campi di concentramento di Erdogan in Turchia. Camminano nella Grecia e sono rinchiusi tra alte mura a Salonicco, deportati a Lesbo e nelle isole, prima di essere respinti in Turchia. Camminano attraverso il Sahara, quando e se arrivano in Libia, vengono ammassati nei lager. Camminano anche nelle Americhe, in  Asia, in Australia... E ovunque trovano mari da attraversare, boschi gelidi e inospitali, alte mura a fermare il loro slancio. Camminano disarmati e i loro volti segnati dalla stanchezza e dalla delusione gridano.

Chi li può ascoltare? "Se questa è l'Europa", titolava ieri in prima pagina l'Avvenire, presentando una copertina con la foto della bandiera europea nella quale, al posto delle stelle, c'erano i nodi del filo spinato. Ottimi giornalisti, prima fra tutti Nello Scavo, hanno riportato testimonianze terribili e hanno invocato il ripristino di condizioni minime di rispetto dei diritti, la forza di essere, almeno un po', umani. Sì, ma chi ascolta i pochi giornalisti "sul campo", se neppure l'urlo delle moltitudini riesce a valicare la nebbia ottusa di un'indifferenza che è maggiormente rassegnazione che cattiveria. Forse un po' come... la banalità del male.

Sono passati tanti anni da quando sono iniziate le migrazioni del tempo della post modernità. Eppure, nonostante le parole e i "bla bla bla" - come direbbe Greta Thunberg - una politica sistematica di accoglienza non è mai stata proposta, né dall'Europa nel suo insieme, né in ciascuno degli Stati membri. Ed è questo il vero problema, perché al di là del momentaneo sollievo che qualche individuo o gruppo "rimasto umano" cerca di portare ai singoli o a sparuti gruppetti di sfiancati richiedenti asilo, ciò che latita del tutto è la Politica (con la P maisucola). Senza un grande investimento sul diritto al lavoro, alla casa, all'istruzione multiculturale, alla sanità, tutto resterà così come è. Non si tratta soltanto di un impegno finalizzato a migliorare la situazione di qualcuno, ma di lottare per un radicale cambiamento del Sistema, per il bene di tutti, per raggiungere quel giorno, nel quale non ci si muoverà più per la necessità di sopravvivere, ma per il gusto di incontrarsi, condividendo le proprie potenzialità.   

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