Siamo "Fratelli tutti", sottraendo al Vescovo di Roma il titolo della sua più famosa enciclica? Certo che lo siamo, se ci consideriamo tutti appartenenti allo stesso genere umano. Oggettivamente, siamo "fratelli tutti". Ma questo significa che ci si tratti reciprocamente come fratelli? Forse anche sì, se pensiamo che non sempre i fratelli si vogliono bene e che a volte si scontrano fra loro quando vogliono far prevalere l'interesse dell'uno o dell'altro. Fratelli tutti sì, ma fratelli che si vogliono bene proprio perché parte della stessa famiglia?
Non è facile affermarlo, vedendo le scene che si stanno svolgendo sotto i riflettori televisivi in questi giorni, al confine tra Bielorussia e Polonia. Non è facile affermarlo, guardando con apprensione diverse altre aree del mondo, anche a noi vicine, dove i reticolati impediscono alle persone di circolare.
Non è facile affermarlo, nella crescente divisione che si va creando su qualsiasi argomento politico e culturale, nei litigi più o meno pilotati dei salotti televisivi, nella tensione tra Destra e Sinistra, tra vax e non vax, tra opposte tifoserie calcistiche, tra schieramenti partitici.
Siamo "Fratelli tutti" fino al momento in cui non aggiungiamo, come i porci della Fattoria degli animali, "ma qualcuno è più fratello degli altri".
E questo lo facciamo molto spesso. Capita quando guardiamo con indifferenza, come se non ci riguardasse, coloro che soffrono e che muoiono, quando riteniamo di possedere il 100% della Verità e che gli altri siano al 100% nel torto, quando riteniamo che "quelli" dell'altro partito siano degli imbecilli con i quali non vale la pena di porsi in atteggiamento di dialogo, anche quando ci infastidiscono le persone che urlano al telefono nello scompartimento del treno.
Con questo sistema, anche se con buone intenzioni, approfondiamo il divario tra quelli che riteniamo "buoni" e i "cattivi", ci impediamo all'ascolto delle "ragioni" dell'altro e rendiamo sempre più difficile trovare delle soluzioni.
"Cosa fa la politica per affrontare i drammi dei migranti? Perché il Parlamento europeo non si muove compatto?" - si chiedono in molti, forse senza pensare che i seggi della più importante assise continentale sono occupati da rappresentanti eletti dal popolo e che se nessuno o pochi esprimono un soprassalto di umanità, la maggioranza ritiene che non esistano in questo momento altre soluzioni alle migrazioni che non siano gli orribili fili spinati e le forze di polizia armate a presidiare i confini.
E' anche vero che la parte più sensibile dell'opinione pubblica, che propone di "restare umani", reagisce fin troppo immediatamente alle provocazioni mediatiche. Del confine tra Bosnia e Croazia si è cominciato a parlare a livello più generale tre o quattro anni dopo l'inizio dei "game", dopo la tragedia dell'incendio del campo di Lipa. Degli altri nodi della rotta balcanica pochissimi se ne curano, così come del muro di Ceuta e Melilla, altro confine caldo, tra il Marocco e la Spagna, altro spazio di speranze disilluse e spesso contrastate con la violenza, in quest'ultimo caso nel silenzio quasi generale.
In un sistema di potere fondato sul popolo che lo esercita attraverso la democrazia rappresentativa, per cambiare le cose e avviarsi verso un sistema più equo, con la decisa scelta di innovative ed efficaci politiche di accoglienza, basate soprattutto sul diritto al lavoro, alla casa e alla libera circolazione delle persone, c'è un'unica strada possibile. E' quella della convinzione e della creazione del consenso, "combattendo" una vera e propria guerra non con le armi ma con la forza della nonviolenza gandhiana.
La critica all'"avversario" sembra rafforzarlo, quello che può portare a sconfiggerlo, o meglio a fargli cambiare, parzialmente o totalmente idea, è una proposta alternativa, chiara, radicale, convinta. ma è anche la capacità e la creatività di trovare mezzi per amplificare la voce di chi non ha voce e quella di chi vuole salvaguardarne il diritto alla vita, alla giustizia e alla libertà.
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