sabato 28 marzo 2020

Nella solitudine di Francesco, un nuovo inizio...

E' stato molto impressionante il gesto di preghiera promosso e attuato ieri dal Vescovo di Roma Francesco. Sarà difficile dimenticare le immagini del suo incedere, sofferente e zoppicante, solo, sotto la pioggia, in una piazza San Pietro vuota come nessuno l'ha mai vista. Il crocifisso bagnato dall'acqua che si mescolava alle tracce di colore e il silenzio assoluto della preghiera universale hanno trasmesso un messaggio potente, recepito da credenti e non credenti, uniti nel momento del timore, dell'eroismo e del dolore.
Dentro le emozioni, sembra emergere anche un altro aspetto, un segno di trasformazione radicale. Francesco ha accennato, nel suo discorso, alla "nostra" incapacità di comprendere i segnali di un mondo malato, richiamando la speranza che da questa prova l'umanità ne esca rafforzata, nella certezza che "non ci si può salvare da soli" e in una nuova stagione di giustizia e amore planetari. In questo senso la sua fragilità, il peso degli anni e il dolore all'anca, la fatica nel tenere in braccio il pesante ostensorio dorato, stridevano misteriosamente con la magnificenza dell'atrio della Basilica di San Pietro. Il colonnato del Bernini, costruito più che per abbracciare, come ha detto il papa, per accalappiare e riportare nella casa cattolica i fedeli riluttanti, questa volta stringeva soltanto il vento, come se l'umanità fosse riuscita a sfuggire dalla sue sgrinfie.
Forse questo grande gesto assumerà un valore davvero storico, almeno per due grandi motivazioni socio-religiose.
La prima è la fine del cattolicismo, inteso come sistema di potere che per 1700 anni, da Costantino e Teodosio in poi, si è intrecciato e per lungo tempo ha dominato le sorti di una parte del mondo. Al di là delle intenzioni dello stesso protagonista, sta nascendo un nuovo cristianesimo, non più confinato negli spazi delle singole confessioni, fuori dalle alte e ormai inutili mura vaticane, libero dai legami di potere politico ed economico, una visione spirituale ecumenica, spalancata al dialogo costruttivo, paritario e simpatetico con le religioni e le filosofie, per il bene del Pianeta intero.
La seconda, non meno importante, è la fine della centralità culturale e spirituale dell'Occidente. Francesco è l'ultimo "pontefice" della cattolicità greco-latina e con la sua solitudine nell'immensa e vuota agorà, chiude il tempo della Chiesa trionfante, "anima" o "ospedale da campo" di un Capitalismo al tramonto. Il così solenne rito di invocazione di aiuto colpisce enormemente e si ripercuote sull'enorme potenza mediatica della terra dell'opulenza: il coronavirus osa penetrare nel cuore dei Paesi straricchi e non fa come le quasi sconosciute malattie dei più poveri, come la malaria, l'ebola o il colera, prudentemente confinati e dimenticati nei luoghi in cui si muore quotidianamente da sempre, con gli stessi e ancor più intensi tragici ritmi di questa primavera europea.
Francesco, parlando con il Dio di Gesù Cristo, sposta l'attenzione e presenta a lui tutte le geografie della sofferenza. Raccomanda inoltre la condivisione e la solidarietà fraterna come il fondamento etico di una religione che non nega il diritto di dare al divino o all'umano il nome che ciascuno ritiene più consono alla propria concezione della Vita.
Non c'è più bisogno di stati, banche o mezzi di comunicazione sociale "targati" Vaticano. Può nascere da qua un nuovo mondo, nel quale papa, mufthi, dalai lama o filosofo, insieme a ogni essere umano, saranno forse insieme costruttori di un'altra Realtà, alternativa al Regno iniquo del Capitale.   

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