domenica 19 dicembre 2021

Gradisca chiama Dragogna, in memoria dei "caduti" nelle rotte della speranza

Questa domenica, alle ore 14.30, dopo alcuni mesi ci sarà una manifestazione davanti al CPR di Gradisca d'Isonzo. E' un giusto tributo all'ultima tragedia, la morte, sembra causa suicidio, di un giovane, nella notte fra la scorsa domenica e lunedì. Il silenzio che grava su questa vicenda è incredibile, se non è dato di conoscere neppure il nome di un uomo che ha compiuto un gesto estremo. Forse è stata disperazione o forse, più plausibilmente, il "migrante ignoto" avrebbe voluto gridare al mondo la propria protesta per il trattamento riservato a chi, come lui, è venuto in Italia per cercare lavoro, integrazione, pacifica convivenza e si è trovato rinchiuso in quello che con un eufemismo viene chiamato "Centro per il rimpatrio". Non gli è stato data neppure questa opportunità, il muro di gomma elevato attorno a questa vicenda è più alto del già alto muro di cemento che circonda l'ex caserma Polonio. Non si può turbare il natale degli italiani!

A cercare di rovinare le feste ci ha pensato comunque una delle ormai infinite tragedie che stanno funestando le tristi rotte dei migranti. L'ultima della serie è stata particolarmente impressionante, per le modalità dell'evento, per la giovane età della protagonista, per essersi verificata sul confine tra Croazia e Slovenia, a una manciata di chilometri da Trieste. Una famiglia di curdi, attraversando il gelido fiume Dragogna, ha visto scivolare una figlia nelle acque, senza poter fare nulla per salvarla. L'angoscia è stata moltiplicata dall'atteggiamento delle autorità slovene che hanno provveduto con insolita rapidità a espletare le formalità burocratiche e a respingere in Croazia, senza troppi complimenti, i sopravvissuti. Perché delle persone rischiano e spesso perdono la vita in attraversamenti così pericolosi di frontiere già trasformate in terribili barriere di filo spinato? La risposta è tanto semplice quanto disarmante e trova indiscutibile conferma nell'atteggiamento del governo sloveno. Perché hanno paura del "respingimento", l'atto che vanifica mesi se non anni di incredibili sacrifici, rischi continui per l'incolumità, la perdita di tutti i propri beni investiti nel "viaggio della speranza". I respingimenti, attuati fino a poco tempo fa anche dall'Italia, sono illegittimi, contrastano le normative europee e violano i principi fondamentali della carata dei diritti dell'Uomo. 

Gli obiettivi proposti dagli organizzatori della manifestazione odierna sono due. Il primo è quello di esprimere piena solidarietà a chi è rinchiuso in questi luoghi di detenzione e di grande sofferenza. Il secondo è quello di invocare la chiusura immediata di tutti i CPR, veri e propri campi di concentramento che violano i diritti delle persone, "colpevoli" soltanto di irregolarità amministrative. Contestualmente si invocano nuove politiche europee e italiane. Insistere ancora su visioni ristrette finalizzate alla "difesa" della roccaforte nella quale si è chiuso il mondo dell'estrema ricchezza, significa essere miopi e non accorgersi che questa strada porta direttamente al definitivo tramonto dell'Occidente. E' giunto il momento, anzi forse è purtroppo già troppo tardi, per invertire la rotta e approvare immediatamente politiche di autentica accoglienza, incentrate sul lavoro, sulla casa, sulla facilitazione dei ricongiungimenti familiari. L'Europa ascolti il grido, sempre più forte, che si innalza dal deserto del Sahara, dal Mare Mediterraneo, dai boschi della Bosnia, dalle pianure del Nord Europa, dai muri di Ceuta e Melilla, dai lager libici e turchi, dalle isole greche e dai confini interni di un'Unione Europea dalle troppe parole e dai pochi fatti.

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