martedì 7 dicembre 2021

O Gorica tu sei benedetta!

O Gorizia tu sei maledetta. Non sono solo le parole di un celebre canto pacifista ispirato dagli orrori della prima guerra mondiale. Queste o altre simili sono le ultime pronunciate da poveri esseri umani mandati al macello sulle nostre montagne da politici disumani e generali psicopatici. 

Il clima che si respira oggi, se non fa dimenticare tale tragedia, almeno tempera il dolore e permette di contemplare nuovi sprazzi di bellezza, sia per ciò che concerne la maestà della Natura che per quanto riguarda gli sforzi delle persone in carne e ossa che hanno trasformato questi luoghi di divisione in luoghi di comunione e in messaggi di pacificazione planetari. La tappa del 2025, la capitale europea della Cultura, segna forse l'inizio del capovolgimento... Renato Elia dice sempre che per invertire la rotta occorre pensare ai bambini, a quelli di domani, di dopodomani e a quelli che vivranno fra cento o mille anni. Pensando a loro, senza dimenticare il passato ma protesi a vivere il presente, si potranno finalmente cambiare le parole al canto... O Gorica, tu sei benedetta! 

Tra i percorsi verso la cima del Sabotin in territorio sloveno, la južna pot, dal ponte di Salcano è la più diretta e consente di attraversare la grande scritta TITO e soprattutto di visitare i suggestivi ruderi dell'antico eremo di san Valentino. La via del "corridoio" inizia invece subito dopo il rientro in Slovenia, sulla cosiddetta "strada di Osimo" e potrebbe essere definita la "direttissima", quasi in linea retta fino a pochi passi dalla vetta, ammirando in primavera una straordinaria fioritura. In territorio italiano, oltre alla facile ma un po' noiosa strada asfaltata, si possono affrontare o il sentiero che attraversando il bosco e "tagliando" i tornanti della rotabile conduce fino alla caserma e poi alla cima, oppure quello, abbastanza ardito e recentemente sistemato dai volontari del CAI, che da San Mauro sale perfettamente parallelo a quello sloveno, piuttosto ripido ma anch'esso molto interessante. La cresta nord, verso il Korada, permette anche di raggiungere l'ospitale rifugio e museo sloveno, sia in bicicletta che con l'auto. Da lì in un quarto d'ora di marcia si arriva agevolmente in vetta.

Tanti dunque sono i cammini, ce ne sono anche altri e il monte ha molti segreti da svelare, sia sul piano storico che su quello naturalistico. Ovviamente ognuno ha le sue preferenza e personalmente sono sempre molto affascinato dalla "severna pot", che inizia dalla bella ciclabile Solkan - Plave, poco dopo la diga sulla Soča.

Perché questa scelta, dal momento che non soltanto è la più ripida ma anche quella con maggiore dislivello (niente di trascendentale, circa 550 metri!)? Per molti motivi. Prima di tutto, si ha la più bella e ravvicinata visuale sullo spettacolare ponte ferroviario sull'Isonzo, costruito, come da lapide commemorativa incisa sulle pietre, nel 1906. Si potrebbe addirittura raggiungerlo e attraversarlo a piedi, ma ovviamente è vietato, oltre che molto pericoloso, dato che il traffico dei treni non è indifferente. Poi, salendo sul bellissimo sentiero, ciò che resta di un'armoniosa mulattiera costruita dai soldati austro-ungarici, il panorama cambia a ogni svolta. Oltre agli scorci suggestivi sul dirimpettaio Monte Santo, si contempla il colore straordinario del fiume che scorre placido, forzato dalla diga, nel fondo della valle. Si aggirano arditi speroni di roccia fino a quando si arriva nel canalone che conduce alla cresta. Le pareti di roccia sono strapiombanti e - se non fosse per le proporzioni - sembrerebbe di essere nel cuore delle Dolomiti! Nel punto più impervio, gli alloggi degli ufficiali imperiali stanno sotto il sistema di grotte e trincee che ha visto soffrire e molto spesso morire decine di migliaia di giovani nel corso della prima guerra mondiale, uccisi dalle pallottole, ma anche dal freddo, dalla fame e dalle malattie provocate dai morsi dei topi e dall'umidità. Non sembra vero osservare tanti segni di una guerra terribile e assurda, camminando in un ambiente così naturalmente orientato alla bellezza e alla pace. Qui transita la Pot miru, la "Via della pace" proposta negli ultimi decenni con felice intuizione, per marciare in pace e in concordia là dove è stato sparso inutilmente tanto sangue fraterno.

Non resta che raggiungere il punto più alto, con il sentiero di cresta che conduce alla quota 609, divertendosi a contare i pilastrini di un confine che quassù ora, per fortuna, sembra giocare con gli escursionisti che celebrano, saltellando qua e là, la gioia di essere brez meja, across the border, oltre le frontiere.

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