mercoledì 1 dicembre 2021

Verso la Capitale europea della Cultura. Appunti al tramonto, sul colle del Castello...

Certo, la prospettiva di condividere con Nova Gorica l'onore di essere Capitale europea della Cultura nel 2025, è per la "vecchia" Gorizia un'occasione straordinaria, assolutamente da non perdere. Già non si è sfruttato abbastanza l'importante appuntamento precedente, l'interminabile centenario della prima guerra mondiale, tra il 2014 e il 2018. Avrebbe dovuto trasformare la città in grande laboratorio di pace, in grado di sostituire l'orrore e la paradossalità di un conflitto iniziato sotto una dominazione e finito sotto un'altra. Invece è stato - con non molte eccezioni, come per esempio l'indimenticabile visita dei presidenti Mattarella e Pahor a Doberdob per l'inaugurazione del monumento ai giovani sloveni caduti sui due fronti - un tentativo di trasformare la tragedia in affari, la riflessione sulla strage in curiosità turistica.

Ora le idee sembrano più chiare e basta una rapida lettura del "bid book" verso il 2025 per rendersi conto di quante potenzialità siano racchiuse nella miriade di progetti già apprezzati dall'Unione europea. I fatti seguiranno i programmi? Cambierà davvero la percezione del territorio? Ovviamente ci si augura di sì, ma occorre accelerare su molti aspetti che rivestono il carattere di "conditio sine qua non". Iniziando a elencarli...

...il primo, il più ovvio e il meno ricordato, è la necessità che in una città che viene insignita del titolo di Capitale della Cultura proprio per la sua specificità "di confine", tutti gli abitanti possano come minimo parlare la propria lingua e comprendere quella dell'altro. E' necessario intensificare l'offerta di corsi di sloveno a Gorizia e di italiano a Nova Gorica. Ma, si sa, per gli adulti è difficile imparare bene una lingua, quindi è indispensabile investire sul futuro, rendendo obbligatorio e curricolare l'insegnamento dei rispettivi idiomi e delle storie culturali, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, collocate nell'area frontaliera.

Un secondo tema riguarda l'evidente diversità delle due parti. Il territorio delle valli dell'Isonzo e del Vipacco è stato effettivamente diviso in due, durante e dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale. Lo stesso non si può dire dei capoluoghi Gorizia e Nova Gorica. La prima ha oltre mille anni di storia documentati, più molti altri che sono ancora sottoposti alla lente di ingrandimento degli studiosi. La seconda invece è stata vista nascere e crescere da coloro che hanno poco più di settanta anni, là dove c'era l'erba, ora c'è una città. Il cosiddetto "muro di Gorizia" ha diviso soltanto i quartieri periferici di Salcano/Montesanto e Šempeter/San Rocco, alcuni isolati di campagna e la piazza dove sorge la stazione della Transalpina. Per il resto, occorre prendere atto che l'obiettivo non può essere quello di "ricostruire" un'unità che non c'è mai stata per il semplice fatto che Nova Gorica prima della guerra proprio non c'era, ma quello di scoprire le grandi possibilità che potrebbe offrire concepirsi come un'unica realtà, distinta in una parte "antica" e in un'altra totalmente "nuova". E' facile comprendere quanto una simile visione possa portare sul piano della Cultura, ma anche della conoscenza storico-artistica e architettonica, del turismo slow, dell'ambientalismo, dell'offerta enogastronomica, dell'imprenditoria e via dicendo. Non sono città "gemelle", essendo nate una più di mille anni prima dell'altra, semmai sorelle, quella giovane chiamata a rinvigorire e risvegliare quella anziana ormai malata e stanca, l'altra a condividere la propria esperienza con la più giovane, incoraggiandola e sostenendola nel suo aprirsi verso la nuova Europa.

Un terzo punto è da riferire alla concezione della vita e delle relazioni tra le persone. Nova Gorica, proprio per la sua relativamente giovane età e per la provenienza dei suoi abitanti dalle diverse repubbliche dell'ex Jugoslavia, è un esempio di pluriculturalità realizzata, ben prima che la questione delle differenze linguistiche e culturali fosse tematizzata altrove. Sono pochissime le famiglia "autoctone", abitanti sulle sponde del Koren/Corno fino all'immediato secondo dopoguerra. Sono invece numerose e ben integrate - almeno fino al terribile periodo delle guerre balcaniche, ma anche attualmente - le presenze serbe, croate, kosovare, macedoni e così via. Ciò che è accaduto potrebbe essere una vera scuola, in vista di un aspetto del cammino verso il 2025 non ancora sufficientemente trattato. In questo periodo di migrazioni forzate dalle tante guerre planetarie ma anche dalla fame che imperversa soprattutto (ma non solo) in Africa, la Capitale europea della Cultura potrebbe costituire un modello di accoglienza di tutti coloro che arrivano e arriveranno sulla linea del vecchio confine, investendo sul lavoro e sulla casa, prima per un'accoglienza dignitosa e poi per una reciproca inclusione sociale e culturale.

Ecco, qualche appunto, raccolto contemplando il tramonto dal castello nella sera di sant'Andrea e offerto volentieri ai miei 2,5 lettori...

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