L'opinione pubblica si indigna a comando, quando chi controlla i media decide di far passare una notizia piuttosto che un'altra. Per qualche giorno i bambini che muoiono di freddo sul confine tra Bielorussia e Polonia - cioè là dove si entra nell'Unione europea - penetrano nelle coscienze e provocano un sentimento di compassione. Sparisce qualche giorno dopo, sostituito dai volti disperati di Lesbo o da quelli degli sfortunati ospiti dei lager libici. Per qualche tempo si parla anche di Bosnia e Croazia, il gelo di Lipa ogni tanto riesce a far capolino tra un telegiornale e l'altro, poi qualcuno si ricorda dell'Etiopia e della tragedia del Tigray. Ci sono ottimi giornalisti - purtroppo non molto ascoltati - che rischiano la pelle per raccontarci questi nuovi fronti di una guerra che sostanzialmente è fra i ricchi che non vogliono essere disturbati e i poveri che vogliono sopravvivere e cercano in qualche modo di valicare le reti e i muri di Ceuta, di Samos, di Bihac, dei cpr, dei cpt e così via.
E' un conflitto trasversale, non più soltanto tra Nord e Sud del mondo, ma anche tra i Sud nel Nord e tra i Nord nel Sud, un confine a volte fisicamente invalicabile, altre volte invisibile, ma ancor più radicato nelle menti e nei cuori. C'è chi giustamente ricorda che non esistono solo i migranti, occorre tuttavia notare che di solito che si interessa delle sorti di chi fugge da fame e guerra, si è sempre preoccupato - e continua a farlo, nonostante l'incredibile criminalizzazione delle organizzazioni solidali da parte dei forze politiche e culturali xenofobe e razziste! - anche di chi non ha una casa e dorme all'addiaccio, un popolo di senza tetto sempre più numeroso e senza prospettive.
Il diritto a una Vita degna di questo nome riguarda le piccole vittime dimenticate fra i boschi della Bielorussia quanto quelle costrette a tendere una mano lungo le vie delle capitali europee, le famiglie divise dalla necessità di cercare accoglienza oltre a un grande mare o a un immenso bosco quanto quelle che hanno perso casa e lavoro e sono costrette ad albergare in una 500. Riguarda coloro che non possono accedere ai servizi della pubblica sanità come coloro che hanno commesso piccoli reati e devono passare tre anni della oro esistenza in minuscole celle sovraffollate senza poter svolgere alcuna attività utile alla loro crescita umana e al servizio della comunità civile. Riguarda chi muore sotto tortura nelle prigioni di Paesi intrallazzati fino al collo in affari con l'Italia e chi perde la vita nei Centri per il Rimpatrio e sembra addirittura non avere neppure il diritto di essere chiamato con un nome.
Insomma, è un momento drammatico per i Diritti Umani. Se il ricordo nell'annuale "Giornata" permette almeno di riconoscersi in una "Carta" approvata da quasi tutti i Paesi del mondo, dall'altra parte richiama la necessità di passare dalla "carta" alla "realtà". Non ci si può scandalizzare "a intermittenza", a seconda del telegiornale della sera prima - è necessario che ciascuno - secondo le proprie possibilità e competenze - si senta investito della responsabilità. E' proprio vero che "non ci si può salvare da soli"!
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