Ci sono due schieramenti contrapposti. Da una parte chi ritiene che la pandemia sia una gigantesca tragedia arrestabile soltanto con il vaccino, sostenendo la propria tesi attraverso l'elenco di numeri impressionanti. Da un'altra parte, all'opposto, si relativizza l'impatto del virus proponendo altre cifre o un'interpretazione diversa delle stesse. I primi ritengono che l'unica soluzione possibile sia il vaccino obbligatorio per tutti, i secondi invocano la libertà di scelta nel rispetto delle comunque da quasi tutti riconosciute necessarie prescrizioni ordinarie individuali. I primi richiedono una chiusura generalizzata di quasi tutte le attività umane, nell'auspicio che tale sacrificio affretti la soluzione del problema. I secondi, al contrario, pensano che sia sbagliato serrare tutte le porte, soprattutto ma non solo quelle degli spazi scolastici, immaginando le conseguenze psico-fisiche di una troppo prolungata privazione delle relazioni sociali.
Tra questi e quelli c'è il mistero dei numeri, facile da rilevare a livello microscopico, più difficile a livello nazionale o planetario.
Sempre riferendosi a un paese qualunque del Friuli, ieri il dato ufficiale fornito puntualmente ogni giorno dal Dipartimento di Prevenzione competente proponeva n.4 persone risultate positive al controllo e n.3 in isolamento precauzionale, per lo più parenti. La Protezione Civile, peraltro esplicitamente in ritardo sulla fornitura dei dati di 20 giorni, dava 19 casi conclamati. Nel dubbio, l'ascolto dei medici di medicina generale ha fornito un dato ben più allarmante, indicando in "alcune decine" le persone contagiate, tra sintomatiche e asintomatiche. Come spiegare queste discrepanze? Con la difficoltà di accelerare gli accertamenti attraverso tampone. E' infatti difficile che l'asintomatico, chiamato a verificare la sua situazione dieci giorni dopo aver incontrato una persona contagiata, senza peraltro ricevere alcuna ingiunzione di quarantena, rimanga tranquillamente chiuso in casa per tutto il tempo. In ogni caso, deve almeno espletare le necessità quotidiane, dalla spesa alla posta a tutte le altre incombenze di ogni giorno.
Si può ben capire che una situazione del genere sicuramente non aiuta la lotta contro il virus che si diffonde in questo modo a macchia d'olio.
Ciò vale anche per le decisioni politiche regionali e nazionali, in certi casi anche comunali. Sulla base di quali criteri si stabiliscono i colori delle zone? Dilatando il caso in questione, se avesse ragione il Dipartimento si dovrebbe determinare una zona "gialla", se invece la protezione Civile una zona come minimo arancione. Se invece si ascoltassero le esperienze dei medici di base non ci sarebbe alcun dubbio, occorre decretare la zona rossa. Ci si può immaginare l'umore della gente, nel momento in cui le regole di una zona corrispondono a un livello molto leggero di rischio, mentre gli operatori sanitari dimostrano che in realtà la minaccia è molto grave. Il Sindaco dovrebbe prendere decisioni molto impopolari, almeno sul momento, ma i suoi poteri sono in ogni caso alquanto limitati e più che un controllo sugli spazi di proprietà comunale può esercitare qualche efficace divieto.
Ecco, in questo guazzabuglio è indispensabile che ci sia chiarezza. Altrimenti - esclusi gli "esperti", anch'essi tuttavia molto divisi - le posizioni dei "vax", dei "no vax" e dei "forse vax" non supereranno mai il livello della pura chiacchiera.
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