Non mi ritengo proprio un "fan" dell'attuale vescovo di Roma, ma questa volta Francesco è stato davvero coraggioso e ha proposto un segno al di là ogni aspettativa. Il viaggio in Iraq, che si svolgerà in questi giorni, è veramente un evento di enorme importanza, sotto molti punti di vista.
E' certamente la visita a un Paese martoriato, devastato da guerre ininterrotte che hanno provocato milioni di vittime e hanno provocato violenza, divisione e stragi senza fine. La visita di un personaggio noto in tutto il mondo, le sue parole di pace che travalicano sempre il confine della cattolicità, si auspica portino un contributo importante alle relazioni tra le persone portatrici di culture, lingue, religioni, visioni del mondo alquanto differenti fra loro.
E' il ritorno alle origini delle religioni del Mediterraneo, con la visita a Ur dei Caldei, il luogo da cui partì Abramo, forse introno a 4000 anni fa, per raggiungere la Terra di Canaan e divenire il capostipite dell'Islam, tramite il figlio Ismaele e dell'Ebraismo, tramite Isacco. Il significato interreligioso della visita in Iraq è immediatamente evidente, si tratta di riproporre ancora una volta il fatto religioso come un protagonista nell'edificazione della giustizia e della concordia fra i popoli e non nella distruzione della vita e del futuro. Ciò avviene non ad Assisi, serena e tranquilla città della pace francescana, ma a Baghdad e dintorni, dopo trenta anni di guerra, attentati, bombardamenti, violenze incredibili d'ogni sorta, dal massacro perpetuato da Saddam Hussein contro i curdi a Erbil al pazzesco conflitto decennale tra Iran e Iraq, dall'embargo internazionale che ha piegato i più poveri alle persecuzioni anticristiane dell'ISIS nella regione di Ninive, dai siluri americani sui rifugi dei profughi iracheni alle mine esplose nei pressi delle moschee, alternativamente scite e sunnite. La speranza è che la voce del papa sia ascoltata, che si portino avanti nuove relazioni, che si approfondisca una via di memoria in grado di oltrepassare le ingiustizie, senza calpestare la Verità.
Ed è il passaggio lungo i sentieri della più antica storia "occidentale", la mezzaluna fertile dell'inizio della civiltà mesopotamica, dei miti legati alla torre di Babele ma anche alla simbolica della formazione dalla terra di Adamo ed Eva, alle vicende del simpatico profeta Giona, costretto suo malgrado ad annunciare la salvezza alla città (non in territorio di Israele!) di Ninive. Lì vivono i Caldei, un popolo numericamente esiguo - circa 600mila persone - che hanno attraversato i millenni fieri della loro appartenenza a un popolo e consapevoli di essere gli unici al mondo a parlare l'aramaico, la lingua parlata da Gesù, la cui versione antica, proprio quella originaria, continua a essere viva nella solennità della liturgia.
Nell'agenda di Francesco non potrà non esserci una parola riguardo ai diritti del popolo curdo, calpestati da tutti gli Stati nei quali è diffuso. Non potrà mancare un appello alla libertà nel Rojava e una sottolineatura della grande esperienza democratica, per lo più al femminile, soffocata nel sangue con la complicità dell'intera comunità internazionale.
Ci dovrà essere infine un richiamo allo svolgersi dei fatti. Ci sono precise responsabilità in ciò che è accaduto in Iraq e nella destabilizzazione dell'intero Medio Oriente seguita alla terribile "guerra preventiva" voluta da Bush. Gli attentati delle Torri Gemelle, l'11 settembre 2001, avrebbero potuto portare una riflessione generale sull'ingiustizia sistemica planetaria. Si è voluto scegliere una strada diversa, quella del "conflitto infinito" che all'inizio del nuovo millennio sembrava essere un'infelice battuta e che si è invece rivelato essere una tragica e permanente realtà.
Il Nord del mondo, i paesi più ricchi e potenti, con la scusa di "esportare" la democrazia non hanno fatto altro che garantirsi gli interessi economici e petroliferi, nonché seminare ovunque morte e devastazione, con una progressione impressionante che ha reso tutto il mondo molto poco sicuro. Ecco, forse questo Francesco in qualche modo dovrà proprio dirlo e se lo dirà il suo viaggio in Iraq potrebbe davvero segnare una pietra miliare nella storia. Il riconoscimento dei disastri provocati dal capitalismo, denunciati in uno dei più significativi luoghi simbolo e in un momento straordinariamente importante come quello segnato dalla pandemia, potrebbe essere davvero il germe spazio-temporale da cui potrebbe fiorire e fruttificare una nuova civiltà. Un po' come accaduto il giorno in cui Abramo decise di lasciare la propria terra (Ur dei Caldei appunto) per dirigersi verso un'altra landa ignota, con il coraggio e il desiderio intenso e profondo di fare della propria vita un'immensa avventura, nel contempo umana e divina.
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