domenica 21 marzo 2021

La consolazione della filosofia


E' da oltre un anno che la pandemia sta dominando la nostra vita. Le relazioni tra le persone sono limitate all'essenziale, intere categorie lavorative sono costrette a casa e guardano come a un incubo il prossimo futuro. Ai ragazzi e ai giovani, insieme alla scuola "in presenza", sono sottratti anche la normale socializzazione, l'intensificazione delle prime amicizie, i primi battiti del cuore che si apre all'affetto. Agli anziani nelle case di riposo, dopo le stragi autunnali che ne hanno coinvolte così tante, sono ancora vietati gli incontri con i propri cari. Migliaia di persone hanno lasciato questo mondo senza un saluto, un abbraccio, un sorriso. 
Si è appesi alle notizie, che si succedono una dopo l'altra, rassicurazioni, raccomandazioni, prescrizioni. I Governi lanciano messaggi contraddittori, la speranza nel vaccino, la paura del vaccino, i numeri ormai fuori controllo, l'impossibile tracciamento. I contagi aumentano e il senso di impotenza cresce, gli scienziati fanno a gara per confondere ulteriormente le idee, parlano di "scienza" come di una nuova "religione", come se fosse possibile la "certezza" di una "comunità scientifica" continuamente richiamata come la sede della "Verità", salvo poi dimostrare anche alla più superficiale analisi un'impressionante frammentarietà di posizioni. Chi ci può guadagnare ci guadagna con introiti astronomici. E chi ci perde, cioè quasi tutti, deve fare come i soldati nel canto del Piave: "tacere bisognava e andare avanti".
Anche le proposte di un sguardo trascendente sembrano latitanti. Le religioni sono dilaniate tra una totale immersione nelle problematiche mondane e un violento rifiuto della "nuova società". Si preoccupano di sostenere, assistere, accompagnare, ma spesso non riescono ad aiutare una riflessione più alta, sul senso della vita e della morte.
Anche le filosofie non sembrano trovare il posto che meriterebbero. Il pensiero sembra incantarsi nel tran tran che accelera clamorosamente lo scorrere del tempo e omologa l'intuizione dello spazio. Perché viviamo? Perché amiamo? Perché comunichiamo? Perché soffriamo? Perché moriamo?
Ecco, tutti i perché soffocati dalla necessità di sopravvivere, di sperare nel vaccino, nel tampone, nel tracciamento, nell'estate imminente. Tutto viene riportato all'unica battaglia contro il virus e nel frattempo, si perdono l'orizzonte del senso, la dinamica esistenziale del desiderio, la gioia dell'incontro, il dramma della solitudine e dell'abbandono, anch'esse ridotte a un particolare del generale, non al mistero dell'essere in quanto tale.
La paura della morte impedisce la gioia della vita. C'è il rischio di essere come zombie, morti viventi incapaci di respirare una nuova primavera.
Uno dei sintomi del contagio avvenuto è l'incapacità di percepire i profumi e i sapori. Ecco, sembra una metafora di ciò che ci potrebbe accadere, se non impariamo a resistere: tutto diventa uguale, sono cancellate le emozioni, come nel film L'invasione degli ultracorpi di Don Siegel o nel 1984 di George Orwell.
Se questa è la situazione, l'unica forza che potrebbe essere in grado di rovesciare il banco è quella dell'Amore, in tutte le sue dimensioni e le sue forme. Mai come oggi, l'amore è rivoluzionario, mette in gioco sistemi consolidati e la cultura che da esso deriva fonda una nuova visione della persona e della società, un incrocio di Etiche e - derivata - una grande Politica.  

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