lunedì 8 agosto 2022

A Melinki, nei boschi che sovrastano lo Judrio

Non tutti sanno dove sia il villaggio di Melinki. Lo conoscono di sicuro il ciclisti perché lo incontrano all'altezza dell'ultimo ampio tornante sulla ripida strada che conduce da Britof, nella valle dello Judrio/Idrija a Lig e al santuario di Marjino Celje. Dalla valle dell'Isonzo/Soča si raggiunge risalendo da Kanal e scollinando nei pressi di Nehovo, ma la via più panoramica da Gorizia è senz'altro quella che attraversa la Brda/Collio, sale fino al Korada per scendere leggermente fino a Lig.

C'è un pittoresco cartello, "Musej Melinki". E' invitante, ma il ciclista boccheggiante non vede l'ora di arrivare alla fine della salita, getta uno sguardo distratto e poi procede. E sbaglia. Sbaglia come tutti coloro che non si lasciano tentare dall'indicazione e tralasciano di raggiungere il "centro" del minuscolo paesino. 

Il "Muzej", avviato nel 2008, contiene infatti una serie di importanti reperti, raccolti con grande pazienza e competenza da Franc Jerončič. Non è lui ad accogliere oggi i visitatori, dal momento che, da novantanovenne assai in forma, ha lasciato questa incombenza al figlio Zoran, reperibile in loco, nella casa di famiglia, ogni domenica e comunque su prenotazione, previa semplice telefonata, in qualunque momento della settimana.

E' indispensabile essere accompagnati perché i reperti, raccolti in una fascia di territorio che va dalla cima del monte Korada al paese di Livek, sopra Kobarid, nel racconto di Zoran ritrovano la loro vita. La prima sala è dedicata alla prima guerra mondiale. 

Insieme ai classici pezzi di granata, elmetti italiani o austro-ungarici, strumenti per l'igiene personale, ci sono numerosi interessanti documenti, storie incredibili avviate nella sofferenza dell'inutile strage o nell'assurdità della dittatura fascista e proseguite attraverso incontri fortuiti che hanno trasformato gli antichi nemici in amici, i discendenti degli usurpatori in componenti della più ristretta cerchia delle conoscenze più intime. Si viene a sapere che il Presidente Pertini ha combattuto proprio in questi luoghi, si partecipa all'epopea di uomini che rientrano a piedi dalla Siberia, si provano gli stessi brividi dei protagonisti, ascoltando la voce della guida che parla di vicende antiche come se fossero accadute l'altro ieri.

La seconda sala viene definita "etnografica" e sorprende subito per l'assoluta semplicità che quasi contrasta con la solennità del titolo. 

In realtà, sempre grazie a Zoran, gli utensili di uso quotidiano narrano una storia di altri tempi, intrisa di sudore, di fatica, di esposizione al gelo e alle intemperie, ma anche di capacità inventiva e creativa, di calorosa accoglienza e di straordinaria umanità. Tra falci, macine da mulino, rudimentali strumenti per riscaldare i pagliericci e i letti, fotografie d'epoca, si risale dall'inizio del XX secolo fino al secondo dopoguerra, celebrando la nobiltà del lavoro, la forza della famiglia, la naturale ribellione contro l'ingiustizia e l'anelito a una duratura fraternità. Si è a poche centinaia di metri, in linea d'aria, dal confine con l'Italia, una linea di frontiera molto particolare, "lo Judrio segna il più antico confine europeo, conta ben cinquecento anni", afferma la nostra guida con una punta d'orgoglio, ma anche con piena consapevolezza degli onori e degli oneri di tale primato.

La terza sala, piano superiore, è dedicata ai lavori in legno di Franc Jerončič. Ha iniziato tale attività relativamente tardi, negli ultimi 30 anni, ma è riuscito a riempire l'intero spazio con centinaia di bellissimi manufatti. Ci sono statue a grandezza d'uomo, ritratti di personaggi famosi e meno noti, ricordi di guerra e di pace. Padre e figlio hanno scritto molti libri, collegando in essi i reperti ritrovati nei boschi circostanti con tante vivaci vicende legate alla piccola e alla grande storia ed elaborate con partecipazione, autentica conoscenza e anche un po' di sano umorismo. Zoran coglie l'occasione per raccontare la vita del padre, nato e cresciuto sotto l'occupazione fascista del territorio, inquadrato nell'esercito italiano all'inizio della seconda guerra mondiale, poi attivista partigiano, successivamente responsabile di cooperative e organizzatore della vita sociale della zona. A solo un anno dal compimento del secolo, è ancora in grado di riconoscere le persone nelle fotografie di gruppo degli anni '50 e ricorda con dovizia di particolari la guerra di Liberazione jugoslava.

A Melinki oggi abitano soltanto pochissime persone, quasi tutte le poche case - in posizione panoramica e con architetture popolari originali - sono di fatto in rovina, il passo pesante della Storia ha abbandonato da tempo queste contrade che per qualche anno sono state "prima linea" nella prima guerra mondiale. Resta solo il tempo di salutare e ringraziare Zoran Jerončič, tra l'altro atletico e appassionato allenatore di pallavolo. Non ha solo permesso di istruirci sul XX secolo nella valle dello Judrio, ma soprattutto ha condiviso la sua esperienza e le sue conoscenze. Sono state due ore ricche di semplice, profonda, autentica Umanità. 

Prima di andare via, al tramonto di una calda domenica estiva, vale la pena alzare lo sguardo e vedere il Krn e il Matajur che chiudono a nord-est la valle, la pianura verso Dolegna e Cividale dalla parte opposta e i villaggi oltre il fiume, sparsi come fiori nel verde dei boschi che hanno occupato gli antichi pascoli. Ovunque si intravvedono i segni del cambiamento di un'epoca e l'oscurità delle nuove foreste, interrotta da qualche fragile luce serale, suggerisce sensazioni intrise di mistero. 

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