Le cifre sono spaventose. Solo fino al mese di agosto 2022 ci sono stati 51 suicidi (fonte http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/), il che significa che più della metà dei decessi avvenuti tra le mura di una prigione sono stati determinati da un atto volontario, da una muta protesta verso condizioni di detenzione disumane.
La situazione è drammatica e se ne parla troppo poco. Ci sarà qualche programma elettorale che proporrà una riforma radicale del sistema carcerario?
La disumanità della situazione è infatti tutta politica, dipendendo essenzialmente da questioni di ordine organizzativo e dalla non piena applicazione di leggi illuminate come la famosa "Gozzini" (663/1986). Quella normativa era basata sulla concezione della pena riabilitativa come superamento e cancellazione della pena punitiva. Tra le intuizioni più importanti c'era l'avvio di un programma di pene alternative al carcere e di sostegno al rientro del detenuto nella vita ordinaria, lavorativa e familiare.
Queste ottime prospettive si sono infrante contro il sovraffollamento delle strutture, provocato anche da leggi insensate o comunque malintese, come quelle relative al piccolo spaccio di stupefacenti e soprattutto alle conseguenze delle ancora purtroppo vigenti norme sull'immigrazione. Si aggiunga a ciò l'inadeguatezza della maggior parte delle case di detenzione, spesso vetuste, prive di spazi vivibili, con camerate strette senza alcuno spazio di privatezza. E si aggiunga anche la carenza di personale, con turni massacranti che non giovano certo al bene-stare di chi in carcere è costretto a starci e di chi ci lavora.
Occorre un grande salto di qualità. Anzitutto occorre depenalizzare i reati che prevedono pene inferiori ai tre anni, liberando così una parte assai cospicua della popolazione carceraria. Naturalmente occorre investire in convenzioni efficaci con gli enti locali, le cooperative e il privato sociale, in modo da garantire efficaci percorsi di riabilitazione e di reinserimento nella vita sociale. Constatata la numerosa presenza di detenuti stranieri, è necessario anche prevedere un'efficace mediazione culturale, oltre che un'armonizzazione delle leggi esistenti. Un amico orientale, dopo aver vissuto due anni in una prigione italiana, è uscito ed è stato portato direttamente nel Centro per il Rimpatrio. Ricevuto il foglio di via, con l'intimazione ad andarsene nel suo Paese entro brevissimo tempo, ma non potendo rientrare per normativa covid, si è trovato sulla strada senza alcuna possibilità di sopravvivenza legale. Per fortuna, nel suo caso, è intervenuto don Alberto e lo ha ospitato in casa sua fino a nuovo ordine. Ma se non ci fosse stato questo straordinario personaggio, vero "apostolo dei detenuti", cosa sarebbe stato di quel povero giovane? E cosa è stato ed è di migliaia e migliaia di quasi ragazzi che si trovano nella sua stessa situazione?
Qualcuno ha detto che "il livello di civiltà di una Nazione è rivelato dallo stato delle sue prigioni". Avendone visitate parecchie, dall'Africa all'Asia e molto soprattutto in Italia, posso testimoniare che questo aforismo corrisponde senz'altro a verità. Ma, se è così, c'è poco da stare allegri. Occorre mettere mano subito alla riforma del sistema carcerario. Solo così potremo dare un senso alle 51 persone che hanno deciso di togliersi la vita in questi ultimi otto mesi.
Il loro grido terribile e silenzioso non resti inascoltato.
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