lunedì 1 agosto 2022

Un'estate arida e bollente

Cominciamo con un'immagine impressionante, l'Isonzo, la Soča, all'altezza della Mainizza. Non c'è più un filo d'acqua, emergono nella loro imponenza i resti del grande ponte romano sulla via Gemina. Ovunque aleggia un odore di marcio, di morte. Quante volte su queste rive ci si è fermati a contemplare il maestoso scorrere del fiume, si è accompagnato - senza troppa invidia - qualche amico pescatore, si è passeggiato mano nella mano con la futura sposa, ci si è rinfrescati gettandosi nelle gelide acque per sfuggire per qualche istante al calore estivo? Sì, in secca lo si era già visto altre volte, il livello si era pericolosamente abbassato, ma così no, così proprio non si era mai presentato. E' solo colpa del caldo, dell'ormai evidente cambiamento climatico? Forse no, dal momento che nell'alto corso l'acqua scorre ancora e che fino a Gorizia la si può ben vedere. Ma i canali che agevolano lo sfruttamento intensivo della terra, questi si portano via quasi tutto, l'agro gradiscano in particolare perché all'altro, quello che va verso Monfalcone, resta ben poco da raggranellare. 

Parliamo ora del Torre, o "dela Tor" come amano chiamarla i friulani. E' un torrente, famoso per le sue piene improvvise, perfino l'imperatore Carlo I rischiò di lasciarci le penne, proprio a Villesse, nel luogo immortalato dalla foto. Insomma, quando lo superavo sul ponte prima di Ruda all'inizio degli anni '90 il letto era pieno di sassi candidi, lucidati volta per volta dai rapidi ingrossamenti. Nel 2003  si erano visti nascere i primi piccoli alberelli, sembravano cespi di insalata che punteggiavano di verde la bianca pianura sassosa. Mai si erano visti il bosco e la prateria di quest'anno, frutto certamente di mesi di siccità, ma anche dell'incuria umana e delle leggi che (non) regolamentano l'utilizzo corretto degli alvei naturali.

E' stata per il Goriziano e il Carso sloveno l'estate degli incendi. Con un grazie enorme a professionisti e volontari che hanno messo a repentagli la propria vita per salvare case, campi e siti importanti di memorie individuali e collettive, anche in questo caso si è palesata la miopia di uno Stato e di una Regione che investono in tutto, meno che in ciò che è veramente necessario. E così ora, accanto al dolore quasi fisico che attanaglia il cuore quando si vedono le macabre macchie nere sulle colline amate, c'è la preoccupazione su come e dove ci porterà questo tempo impazzito di negazionismi insostenibili e di dimenticanze macroscopiche.
E uno sguardo infine va anche ai ghiacciai, memori della tragedia della Marmolada, ma anche affascinati dalla straordinaria bellezza dei paesaggi, quando nelle belle estati il colore accecante delle nevi eterne si mescola all'azzurro del cielo e del verde scuro dei pascoli. Per quanto tempo sarà ancora possibile godere di questo spettacolo? Per quanto tempo dureranno ancora questi immensi serbatoi di questo dono preziosissimo e delicatissimo che si chiama acqua? Già un fugace sguardo al gruppo del Monte Bianco permette di scoprire che i ghiacciai, in meno di un secolo, si sono dimezzati e che la velocità di ritiro, nell'ultimo decennio, è aumentata a dismisura.
Continuiamo pure con le emissioni di CO2, con i condizionatori che rinfrescano dentro e riscaldano fuori, con un uso spropositato dei combustibili. Continuiamo pure a garantirci l'apparente benessere dell'uomo in panciolle che combatte con il telecomando, mentre un manipolo di personaggi senza scrupoli si dividono, come i soldati le vesti di Cristo sotto la croce, le sorti del Pianeta. Continuiamo pure a far finta di niente, quando chi soffrirà più di ogni altro le nostre scelte, cerca con ansia e passione giovanile di aprirci gli occhi e di costringerci a invertire la marcia. Sempre che non sia già troppo tardi. 

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