Ho tanti ricordi di don Sergio Ambrosi, cominciando da quando frequentavo gli affollatissimi campi scuola dell'Azione Cattolica a Bagni di Lusnizza. Eravamo ragazzi, tra i 9 e i 13 anni, ci accompagnavano ottimi educatori, di poco più vecchi di noi e spesso comparivano i giovani preti. Correvano i primi anni '70 e loro transitavano portando una ventata di gioventù e di allegria.
Di lui si dicevano molte cose belle, tra esse la passione per il calcio. Si diceva che avesse dovuto compiere una difficile scelta tra la continuazione del percorso in Seminario verso il sacerdozio e l'accettazione delle proposte niente meno che della Juventus. E si parlava perfino di un impegno diretto con l'associazione calcistica Audax, del Pastor Angelicus di Gorizia, sotto uno pseudonimo che per un periodo gli avrebbe consentito di prepararsi a diventare prete, senza trascurare del tutto il gioco del pallone.
Ritrovato parecchi anni dopo negli imperscrutabili meandri della vita, abbiamo avuto modo di collaborare spesso. L'ho sempre stimato per il carattere apparentemente riservato che lo rendeva naturalmente incline ad ascoltare le persone e a farsi carico - il più delle volte silenziosamente - dei problemi e delle necessità degli altri. Aveva svolto molti incarichi, quelli più strettamente curiali, come direttore dell'ufficio catechistico nei pionieristici anni del dopo Concilio, come economo diocesano e anche direttore dell'Istituto Contavalle durante l'episcopato di Padre Bommarco; e quelli più marcatamente pastorali, come partecipante alla comunità sacerdotale di sant'Anna, subito dopo la complessa vicenda che aveva portato all'allontanamento di don Alberto De Nadai, come assai amato parroco nel Duomo di Gorizia prima, a Cormons e poi ancora a Gorizia e via dicendo.
Al di là dei diversi mandati, svolti sempre con grandissimo impegno, ha brillato per la sua onestà. per la dolce autorevolezza e per una vera e propria religione dell'amicizia. Ovunque ha cercato di stare accanto ai più deboli, senza anteporre la sua persona alla missione ricevuta. Non ha mai proclamato sui giornali le proprie imprese, ma ha sempre saputo collocare parole e azioni nei momenti più adeguati. E ha creduto molto al primato delle relazioni interpersonali rispetto alle dottrine dogmatiche. Ciò è accaduto nella costruzione dei ponti di amicizia e cultura fra sloveni e italiani, in particolare attraverso la realizzazione dell'Associazione Concordia et Pax, ma anche - e soprattutto - nelle quotidiane frequentazioni con preti e laici del Goriziano, da una parte e dall'altra di quel confine che senz'altro ha contribuito efficacemente a smantellare.
Per più di cinque anni siamo stati commensali, tra il 1998 e il 2003, nella piccola cucina della Casa del Clero in Corte sant'Ilario. Erano gli anni successivi al Sinodo diocesano, con lui, mons Simčič e gli altri partecipanti, si discuteva quotidianamente di questioni teologiche e pastorali, ma anche con grande passione, di politica internazionale e locale. E lì avevo scoperto meglio la grande umanità di don Sergio, straordinario amante e conoscitore dei segreti della natura, cacciatore dal cuore d'oro, simpaticissimo compagno di sempre interessanti conversazioni. Era una persona che, pur dimostrando una fede profonda e molto radicata nell'esperienza di vita, non nascondeva l'elemento di un dubbio intelligente, che emergeva spesso in un sorriso ironico e a volte un po' misterioso. Era come se volesse custodire gelosamente una dimensione intima, che richiedeva rispetto e anche un po' di ammirazione. Era la sfera interiore, il centro propulsore di tutto, basato sull'intenso e personalissimo colloquio "io-tu", con quel mistero divino al quale aveva affidato la sua esistenza.
Insomma, un vero uomo e anche, proprio per questo, un bravo prete. Grazie don Sergio!



.jpg)










.jpg)

