Nei prossimi giorni si terrà a Gorizia il festival del dialogo interreligioso, con l'accattivante titolo Terre di pace.
Purtroppo non mi sarà possibile partecipare e mi dispiace davvero, perché è una bella e importante occasione per conoscere, riflettere e crescere nelle buone relazioni.
Se ne parlerà molto, in questo contesto interessa offrire un paio di interrogativi che troveranno sicuramente risposta nell'incontro goriziano.
Il primo riguarda i concetti di religione e di dialogo. La domanda fondamentale, alla quale sicuramente l'Oriente risponde in modo più adeguato rispetto all'Occidente, è relativa alla pretesa unicità di ciascuna religione. Le cosiddette vie "del libro" - ebraismo, cristianesimo, islam - ritengono di essere le uniche depositarie della Verità rivelata da Dio. Ciò vale tuttora, anche per lo stesso cattolicesimo, fino al Concilio Vaticano II convinto del fatto che "extra Ecclesiam nulla salus" e anche successivamente abbastanza restio al confronto paritetico con gli altri percorsi religiosi. La pretesa unicità della propria via religiosa è il maggior ostacolo a un autentico dialogo, il quale per definizione dovrebbe presupporre la parità di condizioni di tutti gli interlocutori.
Certo, c'è la possibilità di aggirare l'ostacolo, cercando "ciò che unisce piuttosto che ciò che divide". In questo caso la relazione tra le diversità può effettivamente risultare una ricchezza, ma non toccando il punto fondamentale, obiettivamente lascia tutti nella propria posizione senza modificare alcunché.
Si può porre anche il problema da un altro punto di vista. Le religioni altro non sono che diverse strade per manifestare - attraverso miti, riti e sistemi valoriali - il rapporto con il medesimo e unico Dio. Questo percorso, che libera il mistero trascendente da speculazioni che non possono altro che essere frutto dell'umana ragione, trasforma tuttavia ogni religione in un sistema politico e culturale di natura esclusivamente umana. A questo punto, diventa veramente difficile esercitare il principio del cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. In relazione a concezioni dogmatiche fondamentalmente lontane dalla vita quotidiana si può anche arrivare a stabilire dei principi comuni, come proposto spesso dal per questo criticatissimo papa Francesco e scritto nell'interessante documento di Abu Dhabi. Se invece si mette a tema la realizzazione politico culturale di ogni religione, è necessario misurarsi su temi estremamente concreti, se non si vuole rimanere confinati in un'insopportabile genericità.
Sarebbe bello che il meeting di Gorizia affrontasse i fondamenti teologici e filosofici di un dialogo tra sistemi di rappresentazione della fede. Ma sarebbe importante anche che fossero messi in discussione gli elementi fondamentali della contemporaneità: il ruolo delle religioni - o meglio in questo caso delle confessioni cristiane - nella guerra tra Russia e Ucraina, la questione religiosa nel genocidio del popolo palestinese, i fondamentalismi cristiano islamico ed ebraico e inoltre, per venire a casa nostra, il dialogo interreligioso in ambiti di significativa convivenza, come per esempio la realtà di Monfalcone.
In questo modo, dalla discussione potrebbe nascere un vero e concreto Manifesto per il futuro, non un semplice elenco di buone intenzioni, delle quali, come si sa, sono piene le fosse.

Nessun commento:
Posta un commento