lunedì 13 ottobre 2025

Gaza: gioia per il cessate il fuoco, preoccupazioni e speranze per il futuro

 

Oggi è un giorno di quelli nei quali si emette un sospiro di sollievo. 

Certo, è un respiro profondo, al netto della sicumera dei bombardatori che si trasformano in pompieri e, dopo aver avvallato decine di migliaia di cadaveri, pretenderebbero perfino di ricevere il premio Nobel! Non manca nemmeno una delle preoccupazioni e dei timori sollevati dal cosiddetto "piano di pace Trump". 

Tuttavia sono motivo di grande gioia le odierne buone notizie: la cessazione delle operazioni genocide in Gaza, la liberazione degli ostaggi israeliani sopravvissuti e quella contestuale di una parte delle migliaia di ostaggi palestinesi prigionieri in Israele, il fragile avvio di un dialogo finalizzato a trasformare la tregua in pace vera.

Certo, la parola entusiasmo in questa fase è senz'altro  prematura e i passi che attendono la Terra Santa sono ancora enormi. Tutto dipenderà soprattutto da alcune variabili, inestricabilmente legate al destino politico delle componenti israeliana e palestinese.

Da una parte infatti, condizione previa per una pace giusta e duratura è il riconoscimento dello Stato di Palestina e dei diritti inalienabili alla vita, alla libertà e all'autodeterminazione del  popolo palestinese. Accanto a questa immediata constatazione c'è l'altra, legata allo sfruttamento sistematico dei territori abitati dai palestinesi, sistematicamente perseguitati, umiliati, annichiliti dalla prepotenza dei coloni. Il blocco degli insediamenti dei coloni israeliani, sostenuti finora quasi sempre dalla forza militare, è un'altra conditio sine qua non, nodo certamente non facile da sciogliere per qualunque governo voglia restare in carica a Gerusalemme. Occorrerebbe inoltre uscire dalla logica perversa degli interessi economici che portano a strategie ciniche e a carneficine inaccettabili. E' dimostrato il sostegno di Netanyahu ad Hamas, finalizzato a destabilizzare la Striscia di Gaza e a indebolire l'autorità palestinese. Così come dietro al sorriso soddisfatto di Trump, tutti sanno che ci sono tante prospettive di guadagno, tra l'altro esplicitamente preannunciate dallo stesso presidente USA. In questo senso, anche il rifiuto di liberare Margan Barghouthi, da tanti definito il "Nelson Mandela palestinese" in quanto possibile mediatore e negoziatore tra le parti, non è certo un buon segnale.

Rimane poi una forte componente psicologica. Quanto avranno inciso le operazioni militari che hanno seminato morte nelle famiglie, tra i giornalisti, gli operatori sanitari e tutte le componenti della società Gazawi? Quale rientro "in pace" per centinaia di migliaia di esseri umani che si trovano davanti a montagne di macerie, là dove prima esistevano le loro case? Quale prospettiva di superamento dell'odio per i familiari delle vittime degli attentati del 7 ottobre? Quale disponibilità al dialogo da parte di chi da ottanta anni è stato progressivamente defraudato di tutto, anche della speranza di poter vivere nella pace?

Insomma, ci sono tantissime domande che attendono risposte importanti, dettate dall'equità e dalla necessità di ritrovare un senso al concetto di "umanità". In ogni caso, al di là dei festeggiamenti ufficiali, è bello condividere il sincero riso gioioso dei bimbi di Gaza. Sono loro al vertice dei nostri pensieri, finalmente liberi dall'incubo di essere da un momento all'altro massacrati dalle bombe e dalle mitragliatrici dell'esercito israeliano. L'auspicio è che lo siano per sempre.

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