mercoledì 11 dicembre 2024

Alla vigilia di EPK/CEC Nova Gorica con Gorizia 2025: impressioni di un cittadino

 

La presentazione del programma della Capitale europea della Cultura ha senz'altro dimostrato l'enorme lavoro che è stato svolto da tutti i vari attori coinvolti. Non si può che ringraziare chi ha predisposto il bidbook, chi ha avviato i progetti nell'ambito del sistema interreg e ha indetto i bandi, chi ha curato finora l'attuazione del tutto.

In questo necessario ringraziamento è compresa anche la possibilità di esprimere qualche opinione, quello che un privato cittadino, presente martedì sera all'Auditorium della Cultura Friulana, può ritenere di suggerire, per così dire da esterno.

Ecco, forse questa è la parola esatta, "esterno". L'impressione è stata quella di ascoltare da una parte gli "addetti ai lavori", dall'altra di non vedere presenti tutti coloro che non sono entrati nella sala, gli "esterni" appunto, che in grande maggioranza forse non sapevano neppure dello svolgersi dell'iniziativa.

I primi hanno raccontato le linee fondamentali e hanno elencato le mille splendide iniziative che si svolgeranno nel corso del 2025. Gli altri sembrano essere toccati ancora molto poco da tutto ciò, c'è indubbiamente molta attesa, ma poca speranza. Ci si aspetta infatti tanto dal concretizzarsi di momenti artistici, musicali, teatrali, culturali, storici, ludici, gastronomici, ma non si ha ancora chiaro cosa si voglia che resti, dopo l'anno della celebrazione. Non lo hanno chiaro soprattutto le cittadine e i cittadini che avrebbero potuto e forse dovuto essere maggiormente coinvolti in un'azione che dovrebbe essere essenzialmente collettiva.

Lo si è detto più volte. La Capitale europea della Cultura non è stata scelta per i suoi monumenti, ma per la straordinaria realtà di culture, lingue e visioni del mondo differenti che, invece di combattersi, decidono di donarsi reciprocamente, le una alle altre. In altre parole, l'attrattiva di Nova Gorica con Gorizia non sarebbe determinata anzitutto dalla bontà degli eventi programmati, bensì dalla straordinaria ordinarietà di una convivenza tesa a diventare congiunzione. Per questo, negli anni precedenti, sarebbe stato necessario investire sulla conoscenza reciproca fra gli abitanti, sull'apprendimento indispensabile delle lingue degli uni e degli altri, sulla creazione di modelli di accoglienza e integrazione tra "vecchi" autoctoni e "nuovi" arrivati, sulla specificità di un laboratorio nel quale creare precisi percorsi e strumenti di pace e di giustizia sociale.

Ciò non significa che non sia necessario proporre avvenimenti che potranno diventare memorabili nella storia del territorio. Ben vengano, ma è importante che non siano fini a sé stessi. Dispiace la sostanziale assenza, in fase organizzativa, dei centri culturali sloveni e italiani che negli ultimi decenni hanno lavorato per abbattere i confini e costruire ponti di incontro e di amicizia. Sono i luoghi in cui, sia pur in piccole dimensioni, l'ideale della comunione nella valorizzazione della ricchezza delle diversità, si è già pienamente realizzato. Chi verrà a Nova Gorica e a Gorizia lo farà per incontrare questo tipo di realtà, dilatata al di là del recinto di tali istituzioni, per assaporare la bellezza di quella che con forte espressione si potrebbe definire "congiunzione fraterna".

Per questo, è bene che siano stati illustrati tanti gesti che sicuramente metteranno insieme le persone, anche se ciò non sarà sufficiente, senza un'approfondita visione d'insieme. Per esempio, Gusti di Frontiera, che - mi si consenta un assolutamente personale "purtroppo" - è stato indicato come uno dei quattro istanti topici della Capitale, non ha mai congiunto nessuno, ha solo affiancato masse di consumatori dediti a ingozzarsi (compatibilmente con i prezzi), cullati da una musica assordante che non ha consentito mai un minimo di approfondimento relazionale. 

Il 2025 e soprattutto il 2026, dovrebbe essere l'occasione per avviare un nuovo modo di sentirsi, goriziani o goričani, locali o migranti provenienti da tutto il mondo e attualmente residenti. Ci si dovrebbe incontrare, conoscere e amare, realmente senza confini, né fisici né mentali. Perché questo accada, accanto alla giusta preoccupazione di offrire all'Europa e al Mondo grandi iniziative, occorrerebbe forse anche la ricerca di qualche tentativo di coinvolgere ogni cittadina e ogni cittadino, perché non si senta spettatore fra spettatori, ma a pieno titolo attore protagonista di una vera e propria trasformazione ontologica di un tessuto urbano.

Un aspetto importante è quello storico, per sentirsi parte di un'unica realtà, è importante conoscere le radici culturali e spirituali dei popoli e delle persone che vivono intorno all'antico confine. Sono ottime le proposte presentate ieri sera, incentrate sulla prima guerra mondiale, sul contrabbando, sul verde cittadino e sull'arte, così come le figure di persone di ieri e di oggi che hanno contribuito a far crescere la coscienza del territorio e, più in generale, della nostra umanità. Dispiace un po' che il Comune di Gorizia abbia di fatto ignorato la possibile grande mostra "dal preromano al postmoderno" - partendo da Aquileia e procedendo attraverso Gorizia, Nova Gorica, Kostanjevica, il Goriški muzej e così via - che avrebbe potuto donare ai residenti e ai visitatori una sintesi generale della ricchissima vicenda storica del territorio. Se ci fosse stata, tutti avrebbero potuto sapere delle popolazioni preromane, della conquista dei legionari, del primo affascinante cristianesimo, dell'allargamento del Patriarcato a confini coincidenti con il centro Europa, della storia del popolo sloveno e della conversione alla nuova fede, della presenza fondamentale del protestantesimo, di quella ebraica, della religiosità popolare, degli staroverci, della complessità del Novecento. In un contesto così ampio, anche i temi "scomodi" - come l'incredibile permanenza di Mussolini tra i cittadini onorari di Gorizia e molto altro - avrebbero potuto essere approfonditi con serenità e scientificità.

Certo e in ogni caso, il 2025 sarà spettacolare e le osservazioni vogliono essere umili suggerimenti, non certo critiche al mastodontico ed efficace lavoro che è stato portato avanti finora e che ancor più dovrà essere svolto nei prossimi mesi. 

Utilizzando un'espressione coniata nel precedente post, l'augurio è quello che non soltanto si riescano a raggiungere numerosi obiettivi, ma che sia soprattutto l'inizio della realizzazione di un meraviglioso sogno.

lunedì 9 dicembre 2024

La drammatica sostituzione dei sogni con gli obiettivi

Inaugurazione del Cammino Celeste, Agosto 2006 (foto A. Pantanali)
 Una conversazione interessante, foriera di numerosi, possibili approfondimenti. Si parte dall'analisi della situazione dei giovani, per constatare una differenza fondamentale: fino ad alcuni decenni fa si avevano dei "sogni", oggi sono prevalenti gli "obiettivi".

Il sogno presuppone una visione complessiva del mondo e si concretizza in una dimensione di speranza. Non si sa bene che cosa si riuscirà a realizzare, non perché non esistano le idee, ma perché si ha un enorme ventaglio di possibilità di realizzazione. I viandanti sanno che, come in ogni sogno che si rispetti, ogni meta raggiunta è soltanto una tappa, dalla quale ripartire verso quella successiva. 

Pensiamo per esempio alla giovane generazione uscita dalle macerie della prima guerra mondiale. In modi diversi i partigiani sognavano una nuova società, dando a essa la forma di una repubblica socialista o di una costituzione democratica. Non sapevano esattamente cosa li attendeva, ma sapevano che avrebbero investito tutte le loro risorse ed energie nell'accompagnare il loro sogno, rinvigorendolo e adattandolo ai diversi momenti dello spazio e del tempo.

Esaurito il momento dei sogni, è stato sostituito da quello degli obiettivi. A scuola ci si va non per coltivare il sogno di una vita e acquisire gli strumenti per dargli forma e sostanza. Si devono invece raggiungere gli obiettivi, o almeno cercare di individuarli. L'obiettivo è unitario, una volta raggiunto si è superficialmente soddisfatti, anche eventuali scopi successivi sono nella stessa direzione: avere un buon voto a scuola, trovare un lavoro redditizio, mettere su famiglia, fare carriera nel proprio campo. Nel trionfo degli obiettivi, manca sempre la domanda che accompagna invece ogni sogno: PERCHE'?

Si possono sognare un mondo migliore, un'umanità affrancata dalle guerre, una fraternità universale e all'interno di questi orizzonti compiere scelte fondamentali, anche se sempre provvisorie perché guidate dalla visione del mondo. Al contrario, una volta raggiunti gli obiettivi, si rimane fermi al pianerottolo raggiunto, perché non interessa conoscere la dimensione e le strutture architettoniche della casa.

I giovani del '68 pensavano che il cambiamento del Pianeta fosse lì, dietro l'angolo e scendevano in piazza per scandire con tutta la loro voce la forza del loro desiderio. Avevano grandi sogni, come i loro successori, almeno fino a quando i loro figli - o forse anche nipoti - si sono visti soffocare il loro sogno nelle terribili giornate del luglio 2001 a Genova. Hanno vinto, almeno apparentemente, gli obiettivi: se la politica non può realizzare una nuova possibile umanità, tanto vale sfruttarla per raggiungere i propri individuali interessi; se la guerra non si può fermare perché "fa parte della natura umana", tanto vale starsene più lontano possibile dai problemi del mondo e curarsi i propri affari; se la famiglia umana non può essere aiutata a crescere in una nuova dimensione di pace e giustizia, tanto vale raggiungere l'obiettivo della tranquillità della propria individuale famiglia.

Ogni grande sogno ha trasformato la società, basti pensare all'esperienza di Basaglia a Gorizia oppure alle grandi opere dell'Arte e della Cultura. Ogni obiettivo rimane fine a sé stesso, paralizzando chi lo raggiunge nella propria ottusa soddisfazione e riempiendo di intollerabile ansia la grande maggioranza di coloro che non ci arrivano e si sentono loro malgrado "non all'altezza" di ciò che il Potere pretende da loro.

Insomma, se vogliamo una nuova generazione capace di costruire un Pianeta migliore, non soffochiamo i sogni sostituendoli con gli obiettivi.

sabato 7 dicembre 2024

Movimento pacifista: largo ai giovani!!!

 

Le guerre infuriano e sembrano allargarsi a macchia d'olio. I processi di pace, presunti o reali, non sembrano certo dipendere dal desiderio di interrompere una tragica catena di sangue e distruzioni, ma dalla realizzazione degli interessi dei Potentati di turno.

Si manifesta. Si manifesta contro la guerra ogni settimana, ogni mese, ogni giorno. Gruppi di persone camminano, vanno in bicicletta, gridano slogan per dire, con convinzione e tenacia, il loro no alla violenza, alla guerra, alle armi. 

L'impressione sull'efficacia non è delle migliori. Partecipano per lo più persone che sono sulla strada e nelle piazze da decine di anni, i capelli da neri e biondi sono diventati bianchi, forse si aggiunge qualche figlio o qualche nipote. Si è sempre meno e gli slogan, scanditi con voce sempre più fioca, si elevano verso il cielo tra l'indifferenza assoluta dei passanti.

Si ha la sensazione di essere come il figlio impertinente, arrivato in ritardo con strepitio e rumore al gran banchetto, al centro del magnifico e abbastanza emarginato film di Ermanno Olmi Lunga Vita alla Signora. Là dove, alla cena del Potere, tutti erano tollerati, anche l'impertinente che alla fine risulta clamorosamente il più amato tra i numerosi discendenti della Padrona.

Che fare allora, se non manifestare? E' effettivamente difficile dirlo e la tentazione della delusione inconcludente e cieca è sempre dietro l'angolo. Ma un tentativo di risposta c'è e forse non è ancora stato abbastanza indagato. Può essere sintetizzato dall'espressione "Largo ai giovani".

Sì, i giovani hanno dato prova di essere non soltanto entusiasti, ma anche capaci di guidare il corso degli eventi. Per qualche anno sono stati l'antenna del cambiamento climatico e oggi, di fatto, sono le prime vittime della guerra in Ucraina e del genocidio di Gaza. Perché sono così pochi alle manifestazioni organizzate in maggioranza dagli adulti, diciamo pure dai vecchi? Perché non trovano spazi nei momenti organizzativi? Perché gli adulti partecipano poco alle loro proposte?

Certo, le idee e soprattutto le strategie delle nuove generazioni - come sempre accaduto del resto - non collimano del tutto con quelle dci chi si è sentito per mezzo secolo  sul "fronte della pace". Forse è giunto il momento di farsi da parte. Non significa sparire o non continuare a esserci nei momenti chiave della protesta, meno che meno andarsene dai luoghi della politica rappresentativa e assembleare. Si tratta invece di cedere senza indugio i ruoli di conduzione e di ideazione, mantenendo una posizione di saggio consiglio, quando richiesto, e di supporto.

Il movimento pacifista non è in crisi perché mancano i motivi per urlare contro la guerra, ma perché non si è saputo rinnovare, lasciare le redini in mano a chi ha forse ed energie per riempire di nuovo le piazze, non in uno scontro generazionale, ma in una nuova collaborazione, resa possibile dall'umile accettazione di un cambio urgente di leadership.

Altrimenti il rischio è quello di una triste deriva della protesta, ridotta sempre più a colorati momenti quasi folkloristici, per nulla temuti, anzi, forse guardati con particolare affetto e tenerezza dal Potere.

giovedì 5 dicembre 2024

Con rispetto e senza nulla togliere...

 

Una notizia passata un po' in sordina. Papa Francesco ha ricevuto in dono un'automobile nuova, un fuoristrada adattato a "papamobile".

Tutte le testate evidenziano la scelta green, è una macchina con quattro motori elettrici, evviva il Papa dell'enciclica Laudato sii!

Solo in una rivista, specializzata in automobili, si trova la quotazione della vettura, costo pulito, senza gli accessori per la legittima comodità del vescovo di Roma sofferente: 215mila euro.

Non è certo questo il criterio di valutazione di una persona che sta in prima linea, sul fronte della pace, dell'accoglienza dei migranti, della condanna senza remissione degli armamenti, della denuncia delle pecche del capitalismo neoliberista. E neppure interessa troppo l'aspetto oggettivo, si capiscono benissimo le ragioni dell'accettazione di una macchina comodo e all'altezza dei tempi.

Tuttavia, ammesso che la cifra del giornale sia corretta, è da ritenere giunto il tempo di accantonare alcune agiografie papali che lo hanno dipinto come "l'uomo qualunque" che si porta da solo la borsa sulla scaletta dell'aereo o che viaggia in Topolino in mezzo a dodici auto blu della scorta.

Niente di male, o forse un pochino sì, però quei 215.000 non avrebbero suscitato l'interesse di nessuno se non si fosse propagandata prima la retorica delle scelte semplici (stiche) e pauperistiche.

Ingorghi goriziani. Un'unica soluzione, Gorizia ciclabile

 

Finalmente Gorizia è diventata una metropoli. In questi ultimi giorni, i tempi per entrare e uscire dalla città sono stati degni della Via Aurelia a Roma o del viale Monza a Milano.

Blocco in uscita del ponte per la rotonda di Vrtojba, senza segnalazioni previe e con caterve di santi e madonne tirate giù dal cielo, asfaltatura in via Duca d'Aosta, asfaltatura e sistemazione della strada di accesso da Lucinico, concomitanza con fiera di sant'Andrea e giostre residue, piazzale stazione sempre precluso, ecc. Insomma, un mix di colonne d'auto, fumo da tubo di scappamento, stress da macchine in fila.

Le proteste ci sono state un po' ovunque, sui giornali e sui sociale, ma a tutto stasera la situazione non è molto cambiata.

Certo, passati i giorni critici, tutto tornerà alla normalità e la lezione non sarà ancora una volta stata imparata. C'è un'unica soluzione - strategica, salutare, politica e soprattutto culturale - per evitare nel presente e nel futuro simili black out: rendere Gorizia una città ciclabile.

Ciò significa almeno tre decisioni, da prendere insieme alla già più avanzata Nova Gorica, in vista dell'Evropska prestolnica kulture. La prima è quella di riempire la città di piste ciclabili, moltiplicando i sensi unici e proponendo percorsi coerenti per le automobili. La seconda è quella riservata alla cospicua parte della popolazione che se lo può permettere, cioè utilizzare sempre la bicicletta per gli spostamenti all'interno dei centri cittadini, incrementando anche il buon servizio di bike sharing in questo periodo gestito da Nomago. La terza è la stesura di un piano di trasporto pubblico enormemente rafforzato, con percorsi che intersechino le zone di entrambe le città.

Sembra una frase del conte Lapalisse: solo diminuendo drasticamente il traffico automobilistico, la città potrà rivivere e i suoi cittadini potranno respirare, spostandosi più velocemente, in modo più sano e sicuro.

O no?