Dallo scorso 29 settembre, fino al prossimo 5 marzo, è allestita una mostra personale di Michelangelo Pistoletto, uno dei più grandi artisti del nostro tempo.
Nei due piani a lui dedicati, sono esposte opere che percorrono alcuni momenti importanti del suo percorso artistico, dai quadri specchio degli anni '60 del XX secolo alle sculture della memoria degli anni '80, dall'"arte povera" riproposta nel 2022 sulla base delle prima "Venere degli stracci" realizzata nel 1967, dalle realizzazioni dell'"arte dello squallore", anch'esse datate tra il 1985 e il 1988, fino al "Terzo Paradiso", progetto assai attuale avviato nel 2002.
Quella di un "terzo paradiso" nel quale l'uomo, dopo essere stato dipendente dalla natura e dopo averla dominata con la tecnica, diventerà capace di interagire armonicamente con la natura e con la tecnica, sembra effettivamente essere uno dei motivi conduttori principali della mostra. Non a caso, il contesto è creato da una straordinaria riflessione simbolico matematica sulla creazione, cosmico scontro tra lo spazio/tempo e la massa/energia. L'infinito viene scisso dal contatto e la realtà si ritrova generata per separazione, una specie di buco nero, frammento radicalmente condizionato dalla diversità, sospeso nell'Oceano indistinto dell'Essere senza limite e senza tempo. L'anelito alla ricongiunzione - una specie di de-siderio platonico della neo-simbiosi tra il femminile e il maschile, produce nuove forma, cosicché dall'unione degli opposti si generano altre dimensioni della realtà, le quali suggeriscono e in qualche misura anche oltrepassano, la nostalgia del Paradiso perduto.
In effetti, il dipinto di 70 metri che occupa l'intera parete della Cukrarna, rispecchiato nella sculture, in parte formali, in parte in-formali o de-formi, sembra voler presentare una continua intersezione tra lo spazio cosmico attraversato da linee di luce crepuscolare e la speranza che in questo apparente grigiore, la realtà effettivamente esista, fuga di frammenti condensati dallo spazio, dal tempo, dalla massa e dalla materia. E' questo l'approdo del percorso universale, la riacquisizione della Vita perduta a causa del peccato originale, dello sciagurato furto del fuoco grazie al quale Prometeo ha consegnato all'uomo la tecnica, il vero frutto della conoscenza del bene e del male? Se sì, questo definitivo fondersi del Frammento perduto, recuperato nella Totalità, non può essere detto né rappresentato - "Non nominerai il signore tuo Dio e non ti farai alcuna immagine di ciò che Egli è" - ma soltanto presagito attraverso segni tenebrosi che velano ma non cancellano la speranza che scaturisce dalle fonti inesauribili del Mistero.
Il primo piano è più politico, pone le basi di un'ascesa che deve misurarsi inevitabilmente con la Storia. Pistoletto propone la quotidianità come protagonista dell'arte più sublime. E' chiaro nella scelta dei temi, dai personaggi che vivono esperienze normali di ogni giorno e che accolgono il visitatore come "uno di loro", ai materiali più ovvi e facili da reperire, il cartone, le lampadine, le pagine del giornale, i panni, le cassette della frutta, di legno o di plastica. In questa fase, si è immersi nella tragicità e nel fascino del mondo attuale. Prima del ritorno al terzo paradiso è necessario ritrovarsi nella selva oscura, dove la retta via è inevitabilmente smarrita. Gli inferi non sono riconoscibili dalle Malebolge dantesche o dal fuoco eterno, bensì dall'immersione nella banalità di ogni giorno. La Bellezza, nostalgia di un origine fuori dal tempo e dallo spazio, è soffocata dall'overdose comunicativa del mondo attuale e uno dei suoi simboli artistici, la Venere di Milo, si trasforma in Venere degli stracci che non soccombe, ma neppure redime la montagna di panni disordinati che cercano in ogni modo di sostituirla. In questa luminosa distanza, a mo' di provocazione, c'è una tabella con la scritta che riporta le parole più potenti che si possa non dire e ascoltare nella Vita: TI AMO!
E' la denuncia di quanto anche questa espressione sia subissata dal chiacchiericcio dell'istante o invece è la porta che dal regno artistico dello squallore - così definito dallo stesso artista - invita a salire le scale, la montagna dalle sette balze che conduce Dante nell'empireo? Sì, è proprio così, l'Amore redime la storia e non la riporta al punto di partenza, al presunto Eden del "principio", ma la proietta nell'ultima dimensione, quella in cui finalmente quello della conoscenza del bene e del male non è più il Peccato prototipo, bensì la condizione normale dello spirito universale che in ogni sua forma particolare si manifesta al di fuori delle categorie dello spazio e del tempo. Almeno fino alla prossima Creazione.
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