giovedì 26 gennaio 2023

Si può ancora parlare di Dio dopo Auschwitz?

 

Il filosofo Hans Jonas, all'indomani della fine della seconda guerra mondiale, aveva posto un interrogativo divenuto poi molto noto: si può ancora parlare di Dio dopo Auschwitz?

Cambiando il nome del luogo, forse la stessa domanda se la sono posta gli indios o i pellerossa qualche secolo prima. Si sono chiesti probabilmente la stessa cosa gli abitanti di Srebrenica o i tutsi e gli hutu del Ruanda, oppure anche i bambini che stavano per affogare nel Mediterraneo, naufraghi di uno dei tanti cosiddetti viaggi della speranza.

Tutti questi avrebbero potuto porre un quesito abbastanza simile, se cioè si possa parlare ancora di Uomo dopo Auschwitz e tutto il resto, dal momento che tutte le tragedie citate sono attribuibili essenzialmente alla malvagità dell'essere umano e non alle forze della Natura - come potrebbero essere un terremoto, uno tsunami o un'inondazione, senza dimenticare la responsabilità umana anche in alcune di queste catastrofi.

Allora, si può parlare di Dio dopo Auschwitz? La risposta è "no"!". Non si può "parlare" di Dio. La domanda pone in termini drammatici la questione non tanto dell'esistenza di un Dio personale, che la ragione non può in alcun modo dimostrare, quanto la possibilità di "parlarne", ovvero di portare ciò che per definizione è "trascendente" nelle categorie spazio-temporali dell'"immanente".

Il mistero del "male", inteso nel suo duplice significato di dolore provocato da un carnefice e di sofferenza sopportata da una vittima, pone sul banco degli imputati non un Dio misterioso, totalmente altro rispetto a tutto ciò che esiste, bensì il "padre" che tutto può e che tutto vuole. Come sintetizza bene Fred Uhlman nel bel romanzo "L'amico ritrovato", se Dio è onnipotente e non evita lo strazio dell'innocente è un padre malvagio, se invece non può farci nulla, perché invocarlo, se in realtà non gli si può attribuire alcuna influenza sugli eventi della storia?

Il problema non è certo nuovo, è al centro della filosofia, della letteratura e dell'arte da quando la coscienza umana ha iniziato a riflettere sul mistero della vita. Ma Auschwitz impone il crisma della definitività alla riflessione. E' il male assoluto, fondato su nessun altro scopo che quello di annientare tutto ciò che è umano, in nome della presunta superiorità di alcuni esseri umani rispetto ad altri. La soppressione sistematica degli ebrei, dei rom, delle persone con disabilità, dei testimoni di Geova, degli oppositori politici è il frutto di menti perverse che nel nome di ideologie criminali come il nazismo e il fascismo, hanno trascinato dietro a sé interi popoli, nel nome del concetto disumano e irrazionale di razza. La crudeltà inenarrabile, se non nella descrizione sconvolgente dei pochi sopravvissuti, non può permettere a Dio di cavarsela, attribuendo alla libertà umana la potenzialità di una cattiveria illimitata. Cosa c'entra con un "creatore buono" il bambino con il cranio sfracellato da una pallottola, cosa c'entrano milioni di vittime "passate per un camino"? Cosa c'entra con i massacri di ogni tempo? 

Forse, dopo Auschwitz, il modo migliore per "salvare" Dio, per "aiutarlo" - come si prefiggeva l'indimenticabile Etty Hillesum - è proprio quello di non "parlare di Lui", lasciandolo esistere nell'iperuranio, totalmente al di là di ogni limite, oltre il confine labile e mobile fino al quale riesce, timidamente o arrogantemente, a giungere la Ragione. Ammettere che "Dio non c'entra" con la storia, che non esiste una divina Provvidenza, significa rendergli la Libertà assoluta (cioè sciolta da tutto) e piegarsi al comandamento che accomuna - o dovrebbe accomunare - le religioni mediterranee: "Non nominare il nome di Dio e non farti di Lui alcuna immagine (chissà perché nell'apprendimento catechistico si è sempre evitato di riportare la formula completa, compreso il divieto di farsi immagini)". 

C'è un ulteriore vantaggio, nel concepire Dio come il "totalmente Altro" (K.Barth) o "come se non esistesse (D.Bonhoeffer). Ed è che tutto ciò che accade e che dipende dall'Uomo, nel bene e nel male, deve essere riportato solo ed esclusivamente alla scelta e all'immane responsabilità dell'individuo. La storia può essere di salvezza o di rovina, ma ciò dipende dalla concreta e quotidiana decisione - questa sì, umanamente libera - di ogni persona. Dio non c'entra. O meglio, se c'entra, c'entra con ciò che è al di là della vita individuale e della storia collettiva, in un orizzonte fiduciale che riguarda la sfera dell'emozione e del sentimento, non quella della ragione. Insomma, non se ne può parlare, nessun ragionamento lo può dimostrare, il che non significa che non ci sia, ma che, se c'è, può essere conosciuto soltanto nella dimensione irrazionale della spiritualità (cfr. Gv.4).

Ah sì, e di Uomo? Si può ancora parlare di Uomo dopo Auschwitz? Di questo domani, in occasione della Giornata internazionale della Memoria.

4 commenti:

  1. Si può parlare solo del demonio che ha preso il sopravvento, ma poi è stato sconfitti. P. Socci

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  2. Grazie per questa riflessione, Andrea. Anni fa ne ho parlato con Vilma che ha vissuto sulla pelle il martirio dei campi di concentramento. Diceva: Se ci fosse un Dio, non avrebbe permesso che accadesse ciò che è accaduto. L'unico modo in cui riesco a spiegare la brutalità dell'uomo è la sua perdita di fede in Dio e lasciarsi dominare dal demonio. Perché ciò accade non so ancora spiegarmelo.

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  3. E "durante" Auschwitz, si poteva parlare di Dio? San Massimiliano Maria Kolbe ne è un esempio affermativo.

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  4. Mio suocero che da Auschwitz è ritornato a piedi fino a casa, l'unica cosa che diceva a riguardo: "ho riportato a casa solo la Fede". (Ho vissuto assieme a lui pù di quarant'anni)

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