C'è stato un tempo, neppure troppo lontano, nel quale la democrazia era caratterizzata da un confronto tra diverse concezioni della vita, chiaramente esplicitate, che si riconoscevano in determinati simboli.
I rappresentanti della "Democrazia cristiana", almeno teoricamente, proponevano una concezione delle pubbliche relazioni che tentava di mediare la visione cristiana della vita. Quelli del "Partito comunista" sostenevano le idee di Karl Marx, attualizzate e contestualizzate in una fase ben diversa del capitalismo. Gli appartenenti al "Partito liberale" erano d'accordo con le prospettive del libero mercato, mentre i nostalgici del fascismo, essendo giustamente vietato il nome del partito che aveva portato l'Italia alla catastrofe, fondando il "Movimento sociale italiano", credevano in una destra sociale moderna e - dal loro punto di vista - illuminata. C'erano anche i repubblicani, i socialisti, i socialdemocratici e così via.
Ogni visione ideologica trovava la propria sintesi in un simbolo, fosse esso lo scudo crociato, la falce e martello, la bandiera italiana, la fiamma tricolore, il Sole nascente, l'edera e chi più ne ha più ne metta.
Dall'inizio degli anni '90, dopo il cosiddetto crollo dei muri (peraltro ben presto ricostruiti dalla parte opposta per impedire ai poveri di entrare nell'Europa dei ricchi), c'è stato un fuggi fuggi dalle ideologie. Guai chiamarsi cristiani, comunisti, socialisti o liberali, occorre stemperare i toni e darsi una parvenza di impegno morale, talmente generico da non poter essere che sottoscritto anche dagli "avversari". C'è un partito "democratico", ma quale compagine, almeno in linea di principio, non si autodefinisce "democratica"? Ci sono "Forza Italia", i "Fratelli d'Italia", la "Lega", ma non sono molti gli italiani che, indipendentemente dalle loro convinzioni partitiche, ai mondiali di calcio non tifano "forza Italia!" o non cantano con convinzione le (orribili) parole dell'inno nazionale. E' da riconoscere che i pochi sopravvissuti alla distruzione delle ideologie, proponendo una visione definita anche dal nome, "Rifondazione comunista" e "Sinistra italiana" per esempio, non navigano certo in buone acque, in fatto di numeri percentuali alle elezioni.
Se dall'orizzonte nazionale si passa a quello locale, la situazione si fa ancora più evidente, anche grazie alla nascita di una miriade di liste "civiche" di diverso orientamento, che vogliono portare avanti una politica svincolata da un'appartenenza ideologica e unite da una specie di "filosofia del fare". Non è importante definirsi pubblicamente con un simbolo riconoscibile o con un nome immediatamente identificabile. E' importante che le posizioni siano rese visibile dalle azioni, al servizio di una città o di una regione. La prospettiva può essere in parte condivisibile, anche sul piano strategico, dal momento che l'elettorato sembra aver smarrito buona parte della propria fiducia nei partiti e nei simboli che li esprimono. Inoltre consente di intessere alleanze tra persone appartenenti a diversi gruppi d'opinione, riuniti dalla necessità di avere più forza e convergenti sulla base di linee programmatiche di massima, che non escludono l'autonomia e la libertà d'azione di ciascuno.
Tuttavia, questo timore dell'idea di fondo, della weltanschauung alla base dell'orientamento politico o partitico, del simbolo identificante una concezione precisa della politica, porta con sé anche tanta debolezza. Senza una visione che travalichi l'angusto orizzonte della scelta quotidiana, sia pur involontariamente, si finisce per rendere forte e senza alternative il Potere dominante, ovvero il turbocapitalismo che sta letteralmente soffocando il mondo. Senza l'orgoglio di un'appartenenza, sia pur svincolata da forme di obbedienza acritica e passiva, l'unico cemento in grado di aggregare le persone è quello dell'interesse immediato o nel migliore dei casi dell'amicizia, fattore indubbiamente importante, ma sottoposto ai rischi dell'emozione del momento e comunque non sufficiente per imprimere all'andamento del Pianeta una forza di cambiamento autenticamente alternativa.
Se tutto sembra suggerire il tramonto definitivo dei nomi identificanti e dei simboli, forse ci si dovrebbe fermare un momento e chiedersi se davvero non esistano altre possibilità. E se dietro alla disaffezione clamorosa nei confronti della politica rappresentativa non ci fosse proprio l'impossibilità di riconoscersi nei pur lodevoli percorsi civici? Se cioè ci fosse proprio una nostalgia, non tanto delle ideologie quanto delle idee che trovavano la loro rappresentazione simbolica nella falce e martello o nello scudo crociato? I due esempi non sono a caso, si tratta delle due teorie che hanno proposto le più alte forme di umanesimo, sia nella concezione della persona che in quella delle relazioni sociali. E sono accomunate anche dal frequente tradimento del fin troppo elevato obiettivo, giungendo, "in nomine Christi" o "in nomine Caroli", a fomentare tremende tragedie nel corso della storia. Forse che il valore ideale del Vangelo è stato cancellato dagli orrori delle crociate, della repressione nel sangue delle eresie, delle guerre di religione? E perché l'analisi a suo modo profetica del Capitale non dovrebbe essere ripresa in mano e valorizzata nella sua interezza, invece di demonizzarla e confinarla negli archivi dimenticati della storia? La teoria cristiana e quella comunista hanno posto al centro della loro concezione la suprema dignità di ogni uomo e la liberazione dei rapporti sociali da ogni radicale ingiustizia, anche se l'una e l'altra sono state spesso travisate e tradite.
Certo, si può obiettare che ci sono state ideologie e simboli orribili, che hanno portato all'orrore assoluto, il fascismo e il nazismo. Esse devono essere radiate dalla storia, perché nella loro essenza teorica hanno espresso il razzismo, la violenza, la distruzione sistematica di tutto ciò che è umano e fraterno. Le loro sanguinarie dittature, la seconda guerra mondiale e la Shoah, non sono state un "errore", un "tradimento" o un travisamento, bensì l'esito diretto e inevitabile delle loro teorie. Per questo i loro simboli non possono trovare cittadinanza in un ordinamento democratico.
In conclusione, se strategicamente la politica chiede a volte lo sforzo dell'accordo e del compromesso, è importante non dimenticare la forza potente delle idee costruttive, dei simboli che le esprimono e delle visioni globali, senza le quali il localismo rischia di essere debole e miope.
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