E' bello fermarsi un attimo, sedersi su un tronco abbandonato e contemplare i giochi d'acqua. Il canneto vorrebbe soffocare il laghetto, togliere spazio vitale alle anatre che si rincorrono, almeno apparentemente allegre. Ma non ci riesce, lo specchio è profondo e resiste.
Quanta vita, visibile e nascosta, celebra il proprio rituale. Uccelli, insetti, qualche capriolo smarrito, tutti trovano un istante per riposare, per lanciarsi in arditi giochi d'amore sulla superficie o semplicemente per bere. Non ci sono pericoli, non c'è da attendersi il coccodrillo che risale improvviso e inghiotte in un solo boccone un cigno imprudente.
Voci di bambini distraggono i pensieri e lasciando da parte per un po' il mistero dell'esistenza che come un lampo si consuma lungo il fiume e sull'acqua, si concentrano sulla frenesia di un tempo che scorre rapidissimo, senza concedere nulla all'approfondimento e alla riflessione. La tecnica procede a passi spediti, l'informazione celebra ogni secondo miliardi di miliardi di notizie messaggi persuasioni, la comunicazione paradossalmente tra gli esseri umani langue, oppressa dall'interpretazione di sé stessa.
Rinchiusi nella solitudine di un computer o di un telefonino, sbattiamo contro al vicino come un tempo i distratti incocciavano contro il palo oppure ricostruiamo le antiche paratie dei treni, autoisolandoci con lo sguardo fisso su uno schermo, cercando di carpire, nell'oceano pressoché infinito dell'informazione globale, un frammento disperso di verità.
Eppure la coscienza sembra rispondere a impulsi ancestrali ed arcani, la gioia apre ancora le labbra a un semplice sorriso e il dolore - oh sì, il dolore soprattutto - è lo stesso di Edipo e Antigone, di Siddartha e Confucio, della vittima e del carnefice, del fedele e del non credente, del soldato e dell'innocente. E' il dolore di una madre in Mozambico, che alza le braccia al cielo alla ricerca di risposte, guardando il suo decimo figlio annichilito dalla fame. E' il dolore del padre che vede la propria bimba travolta dalle acque del fiume Mirno (già, proprio pacifico), a pochi passi dall'arrivo nella terra di un'effimera speranza. E' il dolore che attraversa il volto emaciato di chi ha il destino segnato da una malattia e sa che il big ben sta per dire stop.
Cosa c'entra tutto questo con il laghetto, le anatrelle, il canneto ondeggiante al vento di gennaio? Non lo so, forse niente, forse tutto. Forse soltanto perché questi momenti di bellezza invitano a riprendere il ritmo della Natura, anche di quella umana. E a riscoprire la semplice felicità di un incontro, di una stretta di mano, di una parola buona. O anche, semplicemente, di guardare l'acqua e dire "che bello!". Prima di alzare lo sguardo e capire dove ci si trova.
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