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In un Paese in cui esiste addirittura una "polizia morale" per individuare e punire la violazione delle severe leggi sull'abbigliamento, questa terribile morte ha innescato una serie di grandi proteste, che si sono presto diffuse da nord a sud, dalle città alle campagne. Sarà la volta buona per segnare la fine di un regime dittatoriale che si avvicina a compiere addirittura 45 anni?
Onorando il sacrificio delle donne e degli altri manifestanti che hanno perso la vita in questi giorni, tra le numerose riflessioni se ne possono scegliere almeno tre.
La prima riguarda le donne. Come accaduto nel Rojava, dove la nuova democrazia al femminile è stata stroncata qualche anno fa, complice il silenzio generale del cosiddetto "occidente", anche in questo caso sono protagoniste le donne. E' da segnalare il ruolo sempre più importante da esse rivestito in tutte le grandi azioni che stanno sollecitando un cambiamento radicale dell'andamento del mondo. Da Masha Amina in Iran alla giornalista Caruana Galizia a Cipro, da Marielle Franco in Brasile a Zehra Berhel nel Kurdistan, la resistenza e il martirio delle donne può essere il seme che muore per produrre il frutto della giustizia e della libertà in tutti i paesi del mondo.
La seconda riguarda i giovani. Sono davvero loro la speranza per il futuro, se in tanti lembi del Pianeta Terra sono ancora disposti a rischiare e spesso a perdere la vita per rivendicare i più elementari diritti alla vita, alla libera professione di una fede religiosa o ideologica, all'accesso alle fonti di informazioni planetarie. Anche se un po' tacitati dagli avvenimenti connessi alla pandemia globale e alla sempre più minacciosa guerra in Ucraina, come non ricordare i milioni di giovani schierati in tutte le piazze del mondo con Greta Thunberg nei "venerdì per il futuro"? Hanno richiamato con una forza straordinaria il livello di malattia della società capitalista, sull'orlo di una crisi climatica e sociale dalle proporzioni inimmaginabili.
La terza riflessione riguarda l'Islam. E' una grande religione che offre senso e speranza di vita a quasi due miliardi di esseri umani che vivono in tutti i Continenti. La sua fonte principale, il Corano, suscita sentimenti di profonda spiritualità in chi lo legge con lo sguardo che travalica la lettere, ma anche adesioni dettate da un puro formalismo legato alle tradizioni familiari ma anche, in ambiti fondamentalisti minoritari ma non per questo da sottovalutare, progetti politici impregnati di un falso concetto della Jihad. A ben vedere, non è molto diverso da ciò che accade in ogni religione, compreso il cristianesimo, quando a prevalere non è la parola del Fondatore, ma l'asservimento a bassi interessi politici ed economici. Pur nella difficoltà costituita dall'estrema frammentazione dei movimenti islamici, è auspicabile che i fedeli di questa nobile "via" non si lascino fagocitare dalle tentazioni di scorciatoie politiche già abbondantemente condannate dalla storia.
Peccato che l'argomento del ruolo delle religioni nei conflitti attuali non sia più così "sentito" dall'universo mediatico, confinato in secondo piano da un "pensiero unico" che si sta troppo facilmente schierando dalla parte della guerra e non più della pace. Basti pensare alla differenza tra il risalto offerto alla preghiera delle religioni per il mondo voluta da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986 rispetto al simile incontro interreligioso tenutosi il mese scorso ad Astana in Kazakistan, con la presenza di Papa Francesco.
Insomma, è tempo di svegliarsi. Sosteniamo con forza la lotta delle donne e dei giovani in Iran, combattiamo con le armi della nonviolenza contro tutte le guerre che insanguinano ovunque, spesso senza alcun riflettore, lavoriamo perché la diversità ideologica e religiosa non sia un ostacolo ma favoriscano l'unità e l'amicizia dell'intero genere umano, oltre alla salvaguardia e alla cura di ogni ambiente vitale.
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