sabato 31 agosto 2024

La "fine" del castigo "eterno"

 

Sono ormai pochi i preti che predicano prospettando ai fedeli i castighi inenarrabili che li aspettano, nel caso si trovino in condizione di peccato. Una frettolosa e interessata interpretazione del simbolo - usato secondo i vangeli da Gesù - della Geenna, la discarica di rifiuti nella periferia di Gerusalemme, ha sintetizzato tale rovina con il fuoco inestinguibile. Il grande Dante ha poi costruito con una monumentale opera di fantasia una "summa" dei supplizi che attendono l'umanità reietta. Ci si può sorridere sopra, ma intere generazioni sono state formate da queste immagini che hanno seminato il terrore fin dalla più tenera età.

Se si ascoltano Papa Francesco, la maggior parte dei Vescovi e dei preti, si ha tutt'altra impressione e probabilmente i corsi di catechesi e le omelie successive al Vaticano II sono state in generale ben più confortanti e tranquillizzanti. Sembra che l'inferno non sia più un argomento su cui riflettere, mentre la "salvezza" (di solito non meglio identificata) pare una cosa molto buona non riservata certamente ai soli cristiani e nemmeno soltanto alle persone buone. L'antica lezione del grande padre della Chiesa Origene (II secolo) riguardante la salvezza universale è diventata molto attuale, rilanciata perfino da un teologo sapiente ma assai tradizionalista come Urs Hans von Balthasar che proponeva la formula dell'esistenza di un inferno (possibilità della libertà umana di giungere fino alla scelta della propria dannazione) svuotato dal primato in Dio dell'Amore sulla Giustizia.

Fino a qua tutto bene, solo dei sadici fanatici potrebbero godere dell'eventuale sprofondamento nell'incendio eterno di chicchessia, indipendentemente dalla simpatia o antipatia di ogni soggetto.

La domanda da porsi è tuttavia teologica e deve essere rivolta ai portatori di questo antichissimo e ora rinnovato consolante annuncio riguardante l'amnistia generale alla fine del tempo. La conseguenza di tale affermazione non può che essere la cancellazione dello spazio/tempo della dannazione e lo svuotamento del regno dei demoni. Ciò è presupposto fra l'altro anche nell'articolo del Credo relativo alla "discesa agli inferi del Cristo", con la contestuale liberazione di Adamo ed Eva (cioè dell'intera umanità) dalle "catene che li tenevano prigionieri". Tale "verità di fede" è stata proclamata per la prima volta nella chiesa aquileiese.

Allora, la soppressione dei riferimenti all'inferno e al principe dei demoni è un cedimento al politicamente corretto che imporrebbe di non esagerare con la minaccia di tuoni e fulmini da parte dello Zeus di turno? Oppure la Chiesa cattolica immagina di cambiare il proprio catechismo e addirittura modificare uno dei dogmi che le ha consentito di dominare sule coscienze per quasi 1700 anni, dall'epoca dell'editto di Tessalonica (380) fino quasi ai nostri giorni?

Il dogma del resto è ovviamente insostenibile. Anche il più convinto credente non potrebbe mai accettare razionalmente che il Dio che egli stesso proclama amorevole e misericordioso, preveda il concetto stesso di pena eterna, comminata a reati che per definizione eterni non possono essere in quanto in ogni caso limitati nello spezio e nel tempo. Una pena eterna, che non finisce mai, infinitamente ed eternamente dolorosa! Neppure il più efferato sistema giudiziario umano arriverebbe mai ad immaginare un qualcosa di enormemente più grave della stessa inaccettabile pena di morte (contingente e non certo eterna).

Ma se togliamo a Dio anche la prerogativa del giudizio finale, cosa gli rimane, dopo aver scoperto con la scienza buona parte dei misteri del Creato, dopo aver demolito il concetto di Provvidenza contemplando i bambini inceneriti ad Auschwitz (o a Gaza, a Karthoum o in mille altri luoghi) o sepolti sotto le macerie del terremoto e dello tsunami, dopo aver riscoperto il fascino totalmente umano di assaggiare il frutto proibito della conoscenza del bene e del male?

Non gli rimane niente, a livello razionale, proprio niente. L'unico modo per assolvere Dio da ogni responsabilità rispetto a ciò che accade nella storia è affermare la totale separazione tra il destino dei viventi, determinato dal caso o dalla responsabilità individuale e collettiva, e l'esserci di una divinità, al di là dello spazio e del tempo, raggiungibile soltanto con l'atto di una fede, assolutamente svincolata dalla ragione. Una fede che non toglie all'uomo la necessità di cercare, scegliere e decidere è un'esperienza matura che non fonda l'azione sul desiderio del premio o sulla paura del castigo, ma sull'impegno serio e totalizzante, da "persuaso" direbbe Michelstaedter, con la meravigliosa, drammatica e affascinante avventura della Vita.

Ci può essere un ambito di incontro tra l'alterità assoluta del divino e la storicità dell'essere? Se c'è, non può che collocarsi sul piano del simbolo, come dimostrato dall'iconografia paleocristiana precedente la libertà religiosa sancita da Costantino, o immediatamente successiva, come dimostrano i mosaici teodoriani di Aquileia (314-319), fatti coprire 80 anni dopo forse perché troppo scandalosi nella loro straordinaria naturalità e nel contempo non-razionalità.. La stessa esperienza del Cristo non può che essere intesa sul piano simbolico, là dove la sua parola e la sua azione rivelano la verità sull'essenza dell'umano - sostanzialmente pace, armonia cosmica, perdono, nonviolenza, fraternità, sororità, soprattutto Amore. E là dove la sua risurrezione, del tutto in-comprensibile sul piano filologico o scientifico, non può che essere la conferma, oltre lo spazio e il tempo della vita e della morte, di un appello all'esistenza nell'Amore e alla speranza ineffabile di un qualcosa che è e resta ineffabile, cioè indicibile.

Meditate genti, meditate...

Moja meja je tvoja meja/Il tuo confine è il mio confine. Oglej/Aquileia 1.09.2024


Ad Aquileia, domenica 1 settembre, dalle ore 17 in poi. Con un caldo invito a partecipare, si riporta l'invito-programma degli organizzatori:


Gentilissime e gentilissimi,

siamo entusiasti di invitarvi alla tappa speciale del progetto “e” che si terrà ad Aquileia domenica 1 settembre 2024.
 
“e" è un'iniziativa articolata parte del programma ufficiale di GO!2025 “Moja meja je tvoja meja/Il tuo confine è il mio confine”. Incentrato sulla necessità di promuovere la costruzione di una Europa più unita, questo progetto è guidato dall’associazione culturale vicino/lontano con il supporto di Nova Gorica-Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025 e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
 
“e” è un viaggio in 27 tappe, come 27 sono i Paesi dell’UE, lungo il confine tra Italia, Slovenia, Austria e Croazia; ha preso avvio il 26 giugno a Sankt Peter in Holz, in Carinzia, e si concluderà venerdì 30 agosto, a Trieste.

La giornata di domenica 1 settembre 2024 si articolerà in quattro momenti distinti:
 
ore 17.00 visita guidata al porto fluviale di Aquileia e al Museo Paleocristiano di Monastero a cura di Daniele Pasini con partenza in piazza Monastero
 
ore 19.00 incontro “L’Aquileia afroasiatica” con Andrea Bellavite, Gian Paolo Gri Giorgio Banchig presso la Domus di Tito Macro
 
ore 20.30 rinfresco offerto dagli organizzatori nella piazzetta all’angolo sud-est della basilica
 
ore 21.30 inizio dello spettacolo, in lingua italiana, Sui sentieri per l’Europa, nella piazzetta all’angolo sud-est della basilica, presso l’entrata al cimitero di guerra.
 
La partecipazione agli eventi è gratuita e non è necessaria la prenotazione. Per maggiori informazioni vi invitiamo a consultare il sito https://eforeurope.eu/it/aquileia-oglej

 
Incontro “L’Aquileia afroasiatica”
 
GIORGIO BANCHIG Giornalista pubblicista. È autore di volumi e ricerche sulla storia, la cultura e le tradizioni degli sloveni della Benecia / Slavia friulana nel segno della riscoperta della dignità e della ricchezza di una piccola comunità.
 
ANDREA BELLAVITE Teologo, saggista, giornalista. Goriziano d’adozione, è direttore della Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia. Con il fotografo Massimo Crivellari ha pubblicato testi sull’Isonzo, sul Carso e sui Monti Goriziani. Per Ediciclo ha contribuito alla stesura della guida Il Cammino Celeste (2013) e ha pubblicato la guida La Basilica di Aquileia (2017) e Lo spirito dei piedi (2016, 2023). 
 
GIAN PAOLO GRI Antropologo. Ricerca sul campo e in archivio saperi che fondono pratico e simbolico e rimandano al rapporto fra tradizione e modernità. Il suo ultimo libro: Cose dall’altro mondo (forum 2024). È stato presidente del comitato scientifico di vicino/lontano. 
 
 
Tutti i dettagli dell’iniziativa sono disponibili sul sito www.eforeurope.eu.
 
Vi aspettiamo numerosi a condividere questa esperienza emozionante!

martedì 27 agosto 2024

Mercoledì alle 18 in Giardino Farber, inizia In/Visible Cities: raccontare il confine

 

Archiviato l'assai riuscito tradizionale festival del folklore, inizia domani, mercoledì 28 agosto, la decima edizione del festival In/Visible Cities. E' certamente una delle più originali e interessanti manifestazioni che si svolgono a Gorizia e Nova Gorica durante l'anno. Se per andare avanti occorre ritornare alla nobile arte del "pensiero", ecco che questa iniziativa permette di riconciliarsi definitivamente con esso.

Il ricchissimo programma completo si può consultare al link: https://invisiblecities.eu/invisiblecities24

Mercoledì si inizia alle ore 18 nel Giardino Farber, presso la Sinagoga, con un dibattito sul decisivo tema del confine. Ci si confronterà con Giustina Selvelli, autrice dell'ottimo saggio "Capire il confine", con il drammaturgo Riccardo Tabilia e con l'"anima" dell'intera manifestazione Alessandro Cattunar. Sono modi diversi di guardare la stessa realtà, una straordinaria occasione per entrare sempre più profondamente nel vissuto di una/due città che non sono un'unica realtà e neppure due distinte, ma vogliono diventare "con-giunte". Veramente, da non perdere!

C'è da dire che da qui a fine ottobre - e forse anche oltre - le iniziative culturali si moltiplicano, la prossima settimana Mesto knijge a Nova Gorica, poi la festa della città di Nova Gorica con un programma straordinariamente intenso di iniziative, le proposte nell'ambito dei progetti approvati verso il 2025, incontri, espressioni artistiche, tavole rotonde e chi più ne ha più ne metta. Non c'è che dire, molto si muove e tutto ciò suscita semi di speranza che potranno portare molti e maturi frutti.

Una sera in Primiero

 

Ieri sera, a Fiera di Primiero, provincia di Trento, si è tenuto un bell'incontro culturale. Procedendo dall'etimologia e dal valore simbolico del celebre "ratto" da parte di Giove travestito da mansueto bue, si è fatto riferimento al ruolo di Aquileia nell'edificazione dell'antica e nuova Europa.

Si è parlato di storia, di arte, di diffusione del cristianesimo, di concetto di identità. Si è preso in esame il tema della complessità, con l'impossibilità di ridurre la storia a un unico punto di vista, contestando quindi l'insistenza sulla necessità di sottolineare le "radici cristiane" di un Continente che nel passato ha visto intrecciarsi il mondo greco e quello latino, il mondo arabo con quello ebraico. 

Da queste constatazioni è stato facile procedere all'esempio di Nova Gorica con Gorizia capitale europea della cultura 2025, una terra che ha visto lo spargimento di tanto sangue in guerre fratricide, oggi diventa faro a livello mondiale, prova di come sia possibile risolvere i conflitti e valorizzare le diversità, attraverso la celebrazione della bellezza dello stare insieme e non del combattersi con armi sempre più sofisticate. C'è stato tempo anche per auspicare che l'istanza etica della fraternità e sororità universali possa trasformarsi in precisa scelta politica, attuando anche forme di integrazione reciproca già previste dell'ordinamento statale come per esempio l'ex sprar poi siproimi e oggi sai, Servizio di Accoglienza e Integrazione. La valorizzazione della comunità locale, in particolare del ruolo e della responsabilità di un Comune, è decisiva per poter affrontare in modo equo ed efficace la "sfida" dell'accoglienza umana e globale che caratterizza il tempo attuale.

I circa trenta partecipanti hanno seguito con grande attenzione e hanno preso parte al dibattito con numerose domande e osservazioni. E' stato un bel momento, un'altra prova del fatto che nelle piccole comunità esiste ancora un forte spirito di coesione e di collaborazione, che si esprime anche in una forte sensibilità per la cultura, per l'interpretazione del passato e del presente e anche per l'espressione artistica.

Del resto è un'impressione che ha preso forma anche nelle poche ore pomeridiane in cui è stato possibile visitare qualche porzione della rete di paesi che formano il Comune di Primiero San Martino di Castrozza. A Siror abbiamo contemplato opere d'arte lignee sparse ovunque, soprattutto collocate sulle pareti delle antiche case. Si è vista la chiesa e si è entrati in una sorta di fienile ristrutturato (Tabia), divenuto grazie alla creatività delle persone un'originalissima sala espositiva dove si incrociano l'estro artistico dei pittori e la passione sociale per la costruzione di una comunità viva e coesa. Mentre l'amico Davide Pintar, sloveno di Števerjan trapiantato in questo lembo di Trentino, mi introduce ai segreti delle sue bellissime opere, Gianfranco Bettega mi presenta alcuni aspetti storici molto interessanti. Tra gli altri contenuti di cui è esperto, si è dedicato alla ricerca sui segni - testimonianze di una fede semplice, ma intensa e profonda degli antenati - incisi sulle porte delle case e sulle travi. insomma, una vera e propria biblioteca viva, in grado di far rivivere, almeno in parte, un passato che per la gente vissuta da queste parti, non doveva essere facile, ma sicuramente molto inserito nella natura rigogliosa e maestosa di questo territorio.

Uno dei momenti principali di questo breve viaggio è stata la visita al maso, antica abitazione di pastori che d'estate salivano a quote impensate per pascolare le mucche e con il latte produrre il formaggio. Ereditato uno di questi casolari sparsi sulla montagna, Davide con i suoi familiari ha trasformato con grande maestria e ingegno la casupola di legno in una straordinaria dimora, si potrebbe dire un vero e proprio eremo sprofondato tra il verde intenso dei boschi e spalancato verso le rocce dolomitiche delle Pale di San Martino. I poveri strumenti della vita dei pastori sono diventati oggetti utili alla vita quotidiana dell'oggi, in una singolare commistione tra il fascino un po' idealizzato del tempo che fu e la possibilità di un meraviglioso rifugio dal frenetico tran tran della postmodernità.

Grazie cari amici, è stata proprio una bella serata!

mercoledì 21 agosto 2024

Tre giorni in Abruzzo

Paesi abbarbicati sulle rocce, pieni di segni magici sulle chiavi di volta dei portoni. Scalinate di pietra che si succedono l'una all'altra per collegare le diverse vie. Rocche e ruderi di castelli dai quali si possono dominare le montagne e le valli. Tanto verde, pascoli punteggiati di pecore e di mucche, profumo di malghe e sguardi profondi di pastori che sembrano aver fermato il tempo. E poi la pietra immensa, dominante sull'intero Centro Italia, il Gran Sasso, potente, misterioso, invitante.

Questo e molto altro è l'Abruzzo. Ci si riferisce a quello interno, lontano dalle spiagge e dalle località di mare, quello che un tempo era dei pastori - Settembre, andiamo, è tempo di migrar... - e che oggi, come ovunque, è alla ricerca di una nuova sostenibile identità, intorno ai grandi tratturi che tuttora ricordano come un qualcosa di estremamente lontano, le suggestive e faticose transumanze. 

C'è un paese che si chiama Calascio. La strada che proviene da L'Aquila lo lambisce, ma se ci si lascia tentare e ci si inerpica sulle strette stradine si resta incantati. Una casa accanto all'altra, sulla via principale, tutta una sinfonia di archi, piccole gallerie, architetture affascinanti e popolari. Gli abitanti non sono molti, anche se in estate il villaggio si riempie. La gente per lo più vive lontana, chi nel capoluogo, chi nelle valli, molti anche a Roma. Ma in luglio e agosto gli scuri si riaprono, la gente sosta davanti alle porte aperte, la passeggiata nella stretta via principale si trasforma in bella occasione per intessere relazioni sociali. La gente è accogliente, disponibile, simpatica. Racconta volentieri la storia del luogo e le storie particolari dei suoi abitanti. Offre tutto ciò che ha a disposizione, soprattutto un sorriso incoraggiante e l'invito a conoscere il territorio. Sopra Calascio c'è la Rocca Calascio, altro minuscolo centro abitato intorno a un antico maniero, uno dei tanti che forse servivano come torri di avvistamento per far sapere subito agli abitanti delle incursioni provenienti dal mare.

Campo Imperatore splende in una giornata di sole. Le nuvole appenniniche sembrano aver pietà dei coraggiosi che vogliono affrontare le balze rocciose e raggiungere i rifugi e le alte vette. Il piazzale parcheggio ospita l'arrivo della funivia da Assergi, diversi esercizi commerciali e il rosso albergo - in parte in rovina e senza alcun segno di una peraltro sinistra memoria - che ospitò per alcuni giorni Mussolini prima della rocambolesca "liberazione" da parte degli aviatori nazisti. La bellezza del sito oscura e allontana il pensiero da quella cupa storia. Meglio immergersi nella contemplazione delle altezze, degli infiniti fiori multicolori, dei frequentati sentieri che accompagnano gli escursionisti in alto, sempre più in alto.

L'Abruzzo è anche L'Aquila, la sua capitale, ancora evidentemente ferita dal terremoto che nel 2009 la sconvolse, portandosi via oltre trecento vite umane. C'è un'aria di ricostruzione e un desiderio di riaprire le chiese, i monumenti, soprattutto le case ai visitatori. Anche qua tante persone si avvicinano per raccontare, per sottolineare il punto sull'evoluzione dei lavori, per rilevare le straordinarie potenzialità culturali e turistiche. Qualcuno ci invita a ritornare fra breve e a raccontare ovunque dell'impegno, della simpatia e della creatività degli aquilani. Santa Maria di Collemaggio, prima tra le opere ricostruite o restaurate - assai bene! - regala con la nuova illuminazione scorci stupendi sugli affreschi medievali e racconta la vicenda del buon Celestino. Era un monaco intelligente e operoso, che ebbe la sventura di essere proclamato Papa controvoglia. Rinunciò dopo qualche mese alla carica, un raro rifiuto degli onori mondani. Quando morì, molti lo considerarono da subito un santo, altri non gli perdonarono quello che Dante, non molto tenero con lui, definì "il gran rifiuto" che aprì la strada a quel Bonifacio VIII che - almeno sempre secondo il Sommo Poeta - del santo non aveva neppure lo stinco. 

A qualche chilometro di distanza c'è Amiternum, oggi un teatro e un anfiteatro che testimoniano la presenza di un'importante città, dalla lunga storia iniziata dai Sabini e continuata dai Romani. I solerti custodi si affrettano a rivendicare che proprio qui sarebbe stata nominata per la prima volta la parola "Italia", in evidente contrasto con la più accreditata ipotesi riferita a Italo, re degli Enotri, popolazione che nei tempi remoti abitava l'attuale Calabria, prima dell'arrivo dei Greci. Certo che ad andare in giro per la Penisola, si scopre in ogni angolo un pezzo di storia interessante. Quante tribù hanno dato filo da torcere ai conquistadores romani, rivendicando il diritto di essere liberi, prima di essere assimilati dalla soverchiante forza militare dei latini. Sarà l'impressione suscitata dalle rovine solenni o saranno i raggi del sole che picchiano duro sulla nuca, fa sì che, camminando tra le gradinate degli allora amatissimi luoghi di spettacolo, sembra di sentire le voci suadenti e lontane di attori di drammi e tragedie, l'urlo potente della folla entusiasta, gli ordini secchi trasmessi dai capi ai piccoli eserciti di schiavi addetti al funzionamento dei sofisticati macchinari.

Un'ultima impressione fra tante. Proseguendo verso il sud si raggiunge Sulmona, la città di Ovidio. Tra un pensiero all'avvincente Ars Amatoria e alle monumentali Metamorfosi, ci si addolcisce il palato visitando le fabbriche di confetti, presentati in tutte le fogge possibili, una specie di dolcissimo lego con il quale realizzare fiori di campo, casette da presepio, vere e proprie opere d'arte.

Il fugace passaggio nel cuore dell'Abruzzo mi ha riversato nel cuore una sensazione di speranza. La gente, le semplici persone che vivono con passione il loro quotidiano sono ovunque ancora profondamente umane: vogliono la pace e lo dicono ovunque, hanno compassione di chi soffre, desiderano profondamente essere e vivere. Insomma, forse il popolo è generalmente migliore di quanto a volte lo si rappresenti...

lunedì 19 agosto 2024

Una gita al Divje jezero, il selvaggio lago presso Idrija

Il consiglio viandante odierno è molto valido, in caso di temperature elevate come quelle riscontrate in questa calda estate. Ma potrebbe esserlo ancora di più, se accolto contestualmente al manifestarsi della bellezza dei colori di settembre e dell'autunno.

Nascosto a poche centinaia di metri dalla "statale" che collega Ljubljana a Tolmin, poco prima dell'attraversamento della città patrimonio UNESCO di Idrija, c'è il Divje jezero, il lago selvaggio, minuscolo e pieno di misterioso fascino. A prima vista, sembra un tranquillo specchio d'acqua nel quale si riflettono i boschi e i ghiaioni sovrastanti. Ma già avvicinandosi ci si accorge della profondità abissale dalla quale scaturisce una copiosa sorgente carsica. L'azzurro intenso confinante con il verde scuro del centro, fa pensare a un occhio penetrante che ti guarda senza rivelare il segreto nascosto nelle sue profondità. In effetti anche i sommozzatori più esperti sono rimasti incantati dall'arcano. Sono scesi fino a oltre 160 metri e non hanno ancora scoperto il punto originante l'acqua che viene proiettata costantemente in superficie. Alcuni di loro hanno pagato con la vita la loro curiosità. Il lago ha anche un emissario, il fiume Jezernica che con i suoi 55 metri di percorso, prima di gettarsi nell'Idrijca, è il fiume più corto della Slovenija.

A proposito di Idrijca ci sarebbe molto da dire. L'affluente dell'Isonzo/Soča offre infiniti spunti storici, naturalistici e culturali. Una visita completa e approfondita richiederebbe senz'altro almeno tre giorni. Oltre al centro minerario, alla visita ai merletti e al gusto degli žlikrofi di Idrija, si pensi alla valle e al centro di Cerkno, con l'ospedale partigiano di Franja, purtroppo attualmente non visitabile, in attesa di restauro dopo i danni delle recenti alluvioni. Dalla parte opposta, presso Vojsko, c'š l'interessante tipografia partigiana ma anche, sopra una roccia sporgente sulla valle, la chiesa di Šebrelje e le grotte selvagge dove fu trovato il famoso strumento musicale utilizzato dai Neanderthal 40mila anni fa. Non deve mancare un salto sulla Šentviška Gora, il monte di San Vito reso celebre dalle vicende legate alla seconda guerra mondiale, ma anche dagli spettacolari affreschi di Tone Kralj e dalla suggestiva architettura di una delle chiese disegnate da Plečnik. Tanti scrittori hanno reso famosa la valle, opportuno è un pensiero a Ciril Kosmač a Slap. Si ammira poi il bel ponte sulla Bača, parte della ferrovia Transalpina, prima di arrivare a Most na Soči, con il lago formato dalla diga di Doblar, la confluenza dei due fiumi, le grotte e gli antichi segni della civiltà di Halstatt e del passaggio di Roma. Insomma, chi più ne ha più ne metta e sono molti altri gli spunti per visitare e conoscere l'Idrijska dolina.

Ma per rimanere nella parte alta, dopo aver contemplato il lago selvaggio, vale la pena di continuare a salire. Si incontrano i caratteristici ponticelli, vere e proprie imprese di ingegneria popolare, proiettati sopra le acque cristalline del fiume, spesso raccolte in ampie pozze che consentono bagni rinfrescanti e tuffi vertiginosi effettuati dai ragazzi della zona. Risalendo ancora, ci sono villaggi e gostilne dove potersi rifocillare, con l'udito sempre rallegrato dalla cantilena del giovane affluente e dallo stormire delle foglie del bosco nonché con la vista stupita dalle singolari forme delle rocce modella te dall'erosione. Grandi boschi circondano le acque pescose dell'Idrijca, in essi sono stati ricavati ampi sentieri, a uso dei pedoni e dei ciclisti, per giungere fino alle numerose "chiuse", geniali e complesse opere realizzate nel tempo per consentire e favorire la fluttuazione del legname ricavato dalla foresta a uso delle miniere di mercurio. Dovevano essere tempi duri quelli, gli uomini impegnati a rischio della vita nelle profondità della terra o a segare i tronchi da inviare a valle, le donne a realizzare magnifici merletti con l'unico e semplice obiettivo della sopravvivenza quotidiana! E' un dono poter vivere da turisti questi gioielli della natura, ma senza dimenticare tutti coloro che in questa terra sono nati e cresciuti, hanno amato, pregato, combattuto e soprattutto tanto lavorato. 

venerdì 16 agosto 2024

CAMBIO GIORNATA: Nuovo appuntamento 1 settembre 2024

 

ATTENZIONE: L'evento previsto ad Aquileia per domenica 18 agosto è spostato a domenica 1 settembre, a causa del probabile maltempo.

Il programma resta lo stesso, a parte la rappresentazione teatrale che si terrà alle ore 21 e non alle 21.30.

Ecco un promemoria:

La proposta si svolgerà ad Aquileia, NON domenica 18 agosto, ma DOMENICA 1 SETTEMBRE con un ricco programma pomeridiano e serale, incentrato sul superamento dei confini e sulla costruzione di un'Europa veramente unita. Di seguito l'invito ufficiale degli organizzatori. Anche questo momento, davvero è imperdibile!

Vi invitiamo alla nuova e importante tappa italiana di Progetto "e", parte del programma ufficiale di GO!2025 “Moja meja je tvoja meja/Il tuo confine è il mio confine”. Incentrato sulla necessità di promuovere la costruzione di una Europa più unita, il progetto è coordinato dall’associazione culturale vicino/lontano con il supporto di Nova Gorica-Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025 e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. Ha avuto il suo avvio lo scorso 26 giugno e si concluderà il 30 agosto a Trieste, dopo 27 tappe, come 27 sono i Paesi dell'Unione Europea.
Il programma della giornata di *domenica 1 settembte*:
👣 *ore 17.00* visita guidata al porto fluviale e al Museo Paleocristiano a cura di *Daniele Pasini*
🎙 *ore 19.00* incontro *“L’Aquileia afroasiatica”* con *Andrea Bellavite, Gian Paolo Gri e Giorgio Banchig* presso la Domus di Tito Macro
🍽 *ore 20.30* rinfresco offerto dagli organizzatori
🎪 *ore 21.00* inizio dello spettacolo, in lingua italiana, *"Sui sentieri per l’Europa"*, nella piazzetta all’angolo sud-est della basilica, presso l’entrata del cimitero di guerra.

La partecipazione agli eventi è gratuita e non è necessaria la prenotazione. Per maggiori informazioni vi invitiamo a consultare il sito https://eforeurope.eu/it/aquileia-oglej

martedì 13 agosto 2024

Il fascismo è già fra noi

 

Il fascismo c’è già. Se ne accorgono in pochi perché lo si cerca dove lo si vuole nascondere, nelle pieghe delle parole e delle azioni della presidente del consiglio e dei suoi imbarazzanti collaboratori. Ma non è lì che il fascismo si manifesta nella sua autentica e inconfondibile essenza.

Il fascismo, quello vero, quello che in passato ha reso possibile l’instaurarsi del regime di Mussolini, è nel modo di pensare e di essere di tantissima gente, infettata dal virus spesso senza neppure accorgersene.

Si annida nei meandri della coscienza e domina gli stili e le concezioni della vita. Non occorre andare a scoprire i gesti eclatanti, quelli che finiscono sui giornali, come il deplorevole e inqualificabile intervento odierno sulla pittura che riprende l’Egonu mentre vola schiacciando il pallone.

Basta scorrere i social media e scoprirlo ovunque. Il fascismo è l’esaltazione della violenza contro chi la pensa diversamente, è l’esplicito razzismo nei confronti di chi ha un colore di pelle diverso o proviene da altre parti del mondo, è l’insulto sistematico, discriminante, mortale, spesso di una volgarità inaudita, è l’esaltazione della guerra in tutte le sue dimensioni, è la richiesta della tortura e della pena di morte nei confronti di chi sbaglia, è l’accettazione supina, se non consenziente, del degrado delle carceri e della stessa esistenza dei CPR.

Ma il fascismo è anche nel perbenismo che fa finta di niente e sottovaluta, che giudica l’altro con espressioni apparentemente gentili, ma proprio per questo ancora più in grado di stabilire distanze e di erigere muraglie tra gli uni e gli altri. Il fascismo è l’abbarbicarsi sulle proprie certezze, l’esaltazione della propria identità come più forte di quella dell’altro, il nazionalismo ai limiti dell’esasperazione che a volte si riscontra perfino negli avvenimenti sportivi. E’ l’accettazione della privatizzazione selvaggia dei luoghi più belli della Natura, della proprietà come status simbol e il rifiuto dei principi della condivisone e della solidarietà.

Il fascismo è l’affermazione della guerra come strumento necessario a far vincere le proprie ragioni soffocando quelle dell’altro, è la pretesa della superiorità – quasi sempre negata a parole ma presente come un tarlo venefico nella mente – della propria cultura su quella di altri popoli e nazioni. Fascismo è dividere i “noi” dai “voi”, scavare abissi che consapevolmente o meno non si vogliono colmare. E’ lo sguardo ammirato nei confronti dei ricchi, dei cosiddetti Vip, dei potenti del mondo ed è il disgusto nei confronti del povero, del debole, di chi è stato collocato ai margini della vita sociale.

Il fascismo è la lettura unilaterale e drammaticamente parziale della Storia, con la dimenticanza e la cancellazione dei torti inferti agli altri e la sopravvalutazione, se non addirittura l’invenzione, di quelli subiti. E’ la contemplazione dell’eroismo degli assassini e il disprezzo nei confronti delle vittime e di chi crede nei valori umani al punto di rifiutarsi di combattere e di affermare il metodo della nonviolenza attiva. E’ l’invocazione di leggi razziste contro chi è costretto a fuggire dalla fame e dalle guerre, è la richiesta di criminalizzare coloro che navigano nel Mediterraneo o percorrono le rotte dei Balcani per portare salvezza a chi rischia in ogni istante di perdere la vita.

Il fascismo c’è ed è già tra noi, forse anche dentro ciascuno di noi, ognuno provi a farsi un esame di coscienza. Ed è questo fascismo che deve essere combattuto in una Resistenza quotidiana, svincolandosi dalle luci e dai suoni, “panem et circenses” che distraggono dalla drammaticità della situazione. Questa Resistenza deve essere capillare ed entrare in ogni luogo, richiede una vigilanza prima di tutto su di sé, deve essere pronta anche a gesti eclatanti e nonviolenti che interpellino le coscienze, disturbino lo status quo, inquietino la sonnecchiosa opinione pubblica.

Non sarà una sinistra impantanata nelle grinfie del politicamente corretto a far sì che il fascismo, da mentalità già troppo diffusa, non diventi vero e proprio regime. Sarà invece la silenziosa – e anche non troppo silenziosa – testimonianza di vita, di libertà e di giustizia che ogni cittadina e cittadino saprà attuare con vigilanza e discrezione nella propria vita. La formazione di nuovi rappresentanti del popolo, esistenzialmente e politicamente antifascisti, ma anche liberi dalle imposizioni delle multinazionali e della Nato, a formare una nuova classe dirigente in grado di ridare fiducia e stabilità alla democrazia. Sempre che non sia troppo tardi.

Due proposte per il fine settimana, a Tualis e ad Aquileia

 

Ecco due interessanti appuntamenti per questo prossimo fine settimana.

A Tualis di Comeglians, il paese di nascita dei fratelli Di Piazza, nell'ambito di Vicino/Lontano mont, sabato 17 agosto alle ore 17 nella piazza della Chiesa, sarà presentato il libro di Pierluigi La profezia del quotidiano. L'incontro sarà incentrato su un dialogo con Vito Di Piazza, con l'inserimento di alcune letture offerte da Aida Talliente. Sarà l'occasione per conoscere meglio alcune delle figure di umanità che hanno maggiormente influenzato la vita e le scelte del fondatore del Centro di Accoglienza e di Cultura Ernesto Balducci di Zugliano. Naturalmente si sottolineerà la figura di un autentico profeta non compreso nella rassegna, lo stesso Pierluigi Di Piazza, la cui mancanza si fa sempre tanto sentire nell'ambito della nostra Regione. E' per me un grande onore sentirmi coinvolto in questa iniziativa e credo valga davvero la pena di prenderla in considerazione, da non perdere anche per la bellezza dei paesaggi della Carnia e degli incontri di giustizia e pace che consentirà.

La seconda proposta si svolgerà ad Aquileia, domenica 18 agosto, con un ricco programma pomeridiano e serale, incentrato sul superamento dei confini e sulla costruzione di un'Europa veramente unita. Di seguito l'invito ufficiale degli organizzatori. Anche questo momento, davvero è imperdibile!

Vi invitiamo alla nuova e importante tappa italiana di Progetto "e", parte del programma ufficiale di GO!2025 “Moja meja je tvoja meja/Il tuo confine è il mio confine”. Incentrato sulla necessità di promuovere la costruzione di una Europa più unita, il progetto è coordinato dall’associazione culturale vicino/lontano con il supporto di Nova Gorica-Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025 e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. Ha avuto il suo avvio lo scorso 26 giugno e si concluderà il 30 agosto a Trieste, dopo 27 tappe, come 27 sono i Paesi dell'Unione Europea.

Il programma della giornata di *domenica 18 agosto*:
👣 *ore 17.00* visita guidata al porto fluviale e al Museo Paleocristiano a cura di *Daniele Pasini*
🎙 *ore 19.00* incontro *“L’Aquileia afroasiatica”* con *Andrea Bellavite, Gian Paolo Gri e Giorgio Banchig* presso la Domus di Tito Macro
🍽 *ore 20.30* rinfresco offerto dagli organizzatori
🎪 *ore 21.30* inizio dello spettacolo, in lingua italiana, *"Sui sentieri per l’Europa"*, nella piazzetta all’angolo sud-est della basilica, presso l’entrata del cimitero degli eroi.

La partecipazione agli eventi è gratuita e non è necessaria la prenotazione. Per maggiori informazioni vi invitiamo a consultare il sito https://eforeurope.eu/it/aquileia-oglej

lunedì 12 agosto 2024

Si vis pacem para pacem! Ovvero uscire dal paleozoico...

 

Solidarietà a Gaza in un murale di Riace
Mentre le Olimpiadi riempivano i giornali, i telegiornali e i commenti sui social, centinaia di giovani hanno perso la vita, combattendo una guerra assurda ai confini tra la Russia e l'Ucraina. 

Gli ucraini hanno attraversato il confine e sono entrati nel territorio russo, sostenuti dagli alleati NATO che hanno teorizzato il diritto di attaccare in funzione difensiva. I russi hanno risposto con i bombardamenti, sganciando la "termobarica", un ordigno diabolico capace di risucchiare l'aria e di seminare morte per soffocamento in una vasta area. Ormai si legge distrattamente il numero degli uccisi, ma ciascuno di essi è un essere umano unico e irripetibile, la cui vita è definitivamente, per sempre "finita quel giorno e non ci sarebbe stato ritorno". Come fermare questa barbarie? Perché i soldati non si rifiutano di andare al macello? Quali pressioni hanno Putin e Zelensky per continuare a lasciar massacrare i rispettivi popoli? Quali interessi hanno gli USA e l'Unione europea nell'invio di armi convenzionali che altro risultato non ottengono che prolungare a tempo indefinito un conflitto del quale non sono chiari né gli obiettivi né le strategie? 

E al sud est niente di nuovo. Lo stato di Israele, oltre che del genocidio di Gaza, si sta rendendo protagonista di regolamenti di conti internazionali, uccidendo a suo piacimento persone in altri Paesi, sostanzialmente senza alcuna reazione da parte del mondo cosiddetto occidentale. Queste operazioni di polizia internazionale scatenano ulteriori grandi violenze. Giustamente si sta premendo - non ultimo il segretario di stato vaticano Parolin - sull'Iran perché non scateni una rappresaglia, ma non risulta una levata si scudi contro Netanyahu per aver provocato così palesemente. E intanto decine di migliaia di persone a Gaza sono morte, tra essi tantissimi bambini, anch'essi privati clamorosamente dell'elementare diritto a vivere e a vivere una vita degna di questo nome.

Non si dimentichino poi le altre decine di guerre che falciano esistenze in tante altre parti del mondo, anch'esse ferite profonde all'umanità. Quante immense risorse vengono cancellate dalla guerra, quanto potrebbero servire a rendere il mondo più umano, equo, accogliente! Perché non lo si capisce? Perché non c'è un soprassalto di verità nell'intelligenza umana? Perché, grazie alle enormi potenzialità tecnologiche, l'umanità non riesce a uscire dalla logica paleolitica della violenza e della sopraffazione, del razzismo e del nazionalismo? Perché? E come fare perché una luce si accenda nelle tenebre e inizi veramente il regno della pace e della giustizia.

Gioacchino da Fiore (1130-1202) riteneva che dopo la cupa età del Padre e la servile età del Figlio, stesse proprio in quel periodo per arrivare l'età dello Spirito, quella dell'armonia cosmica e della pace universale, qui su questa terra e non in un imprecisato al di là. Ha sbagliato di sicuro i calcoli, ma richiama almeno alla possibilità che ciò avvenga. E' necessario che la filosofia fondi una rivoluzione dell'essere, dia un fondamento all'unica possibilità che si ha per andare avanti: dal preistorico "si vis pacem para bellum" si passi all'autenticamente umano "si vis pacem para pacem". Sì, la filosofia... Ma dove è la filosofia oggi, dove sono i filosofi (a parte Slavoj Žižek e pochi altri) in grado di leggere il presente e di indirizzare il pensiero e l'azione verso il futuro?

venerdì 9 agosto 2024

La nostra forza sta nell'incertezza: in dialogo con Mimmo Lucano (Riace, 5 e 6 agosto , 3/3)

Domenico Lucano, classe 1958, è stato eletto sindaco di Riace per tre mandati, dal 2004 al 2018. La sua esperienza è stata bruscamente interrotta dalle cause amministrative e giudiziarie relative al tema dell'accoglienza dei migranti. Nel 2024 è stato nuovamente scelto come sindaco, contestualmente alla nomina a parlamentare europeo. 

Può raccontare come è nato quello che ovunque è chiamato "modello Riace"?

E' necessario partire da lontano. Nel 1996 e nel 1998 ci furono i primi sbarchi sulla nostra costa, da navi provenienti dal Medio Oriente. In entrambi i casi erano curdi che fuggivano dalle persecuzioni, molti di loro erano impegnati anche politicamente. A quei tempi facevo parte di un collettivo molto attento alle problematiche dei migranti e decidemmo di dare una mano a quelle persone, offrendo loro accoglienza e sostegno. Da questi incontri è nata la mia scelta di concorrere alle elezioni amministrative del 1999, risultando eletto come consigliere di minoranza e cercando di trasformare la normale azione umanitaria in preciso disegno politico. 

Come è stato accolto questo "salto di qualità"?

Devo dire che in quel periodo fu decisivo l'incontro con Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. Aveva sentito parlare della nostra vicenda ed è venuto a presentarmi il percorso da lui condiviso a livello nazionale per giungere alla stesura di una legge nazionale sull'asilo. Il suo incoraggiamento e soprattutto la competenza mi hanno spinto a portare in consiglio comunale un ordine del giorno sul tema, che è stato accolto, impegnando il Comune ad agire, anche in vista della possibilità di nuovi sbarchi e nuove presenze.

Quindi il "modello Riace" nasce prima del mandato di sindaco affidato a Mimmo Lucano?

Sì, anzi, posso dire anche la data, 11 aprile 2001, quando la giunta comunale, guidata dal sindaco Comito, approva il progetto "Riace: rivitalizzare il borgo antico attraverso l'accoglienza e l'integrazione dei profughi. Richiesta finanziamento Ministero dell'Interno". Il documento è fondamentale, per due motivi. Il primo è che il progetto è stato approvato e con il finanziamento ottenuto si è avviata la realtà dell'accoglienza strutturata in paese. Il secondo è che esso è stato il modello per arrivare alla prima proposta di legge della Regione Calabria sul tema. Logicamente da quel momento in poi si sono intensificati i rapporti con Schiavone, che ha seguito fin dall'inizio la questione, sottolineando le opportunità e aiutandoci a risolvere i problemi.

Nel 2004 è arrivata la prima elezione a primo cittadino. Cosa è cambiato?

Non è cambiato nulla sul piano delle idealità. Il punto di partenza per me è sempre stato quello della normalità dell'incontro tra persone portatrici di tante diversità culturali, linguistico, sociali. La mia idea è stata ed è che l'accoglienza non è soltanto un servizio che si offre ai migranti che hanno bisogno di casa e lavoro, ma è anche una formidabile occasione di crescita e di sviluppo per i residenti. Ero convinto che un paese come Riace, fortemente colpito da un'emigrazione che lo ha letteralmente svuotato, avrebbe potuto rinascere proprio grazie ai richiedenti asilo e agli altri migranti che avrebbero potuto venire ad abitare qua. Per questo occorreva pensare a strutture di servizio in grado di garantire l'abitare come pure l'inserimento lavorativo.

Un progetto straordinario! Quali sono stati i risultati?

Riace è tornata effettivamente a vivere, con una presenza sempre più ampia di persone provenienti da tutto il mondo. Le case sono state di nuovo abitate e sono state trovate diverse soluzioni sul piano del lavoro. Il tutto è stato reso più semplice anche dalle leggi nazionali dato che, anche grazie all'impegno di Gianfranco Schiavone, sono stati elaborati e approvati i primi sistemi di accoglienza strutturati intorno all'assunzione di responsabilità degli enti amministrativi locali. Abbiamo aderito subito ai bandi previsti, ottenendo i necessari finanziamenti, ma anche rendendoci conto della complessità delle procedure burocratiche. Il successo della nostra iniziativa ha portato in loco giornalisti di tutto il mondo ed è così che la nostra piccola realtà è diventata il "modello Riace", suscitando da una parte molta simpatia, dall'altra forti opposizioni.

Quali difficoltà avete incontrato?

Per quanto mi riguarda, ho trovato sempre complicato corrispondere contemporaneamente all'appello di un'umanità che vorrebbe dare soluzioni immediate ai bisogni delle persone che incontro e la necessità di rimanere all'interno del tracciato fissato dalle regole normative. Occorre distinguere tra la forma e la sostanza. A volte ho avuto l'impressione che l'obbligo di osservare la forma penalizzasse l'obiettivo sostanziale, quello cioè di essere effettivamente di aiuto a persone che per arrivare fino a qua avevano perso tutto ciò che possedevano, fuggendo dalla guerra, dalla fame e dalle persecuzioni. Probabilmente ho compiuto diversi errori a causa di questa difficoltà, a volte senz'altro ha prevalso l'urgenza di soccorrere, piuttosto che la pazienza di attendere i tempi e i modi della burocrazia.

Ed è arrivato il tempo dell'esilio...

Sì, il mutato clima politico dopo le elezioni del 2018 ha portato a un grave ridimensionamento dei progetti di accoglienza legati ai Comuni. Il caso Riace, divenuto ormai noto anche fuori dai confini nazionali, non poteva passare inosservato e così hanno iniziato ad arrivare le denunce. Sono arrivati gli arresti domiciliari, poi il divieto di risiedere a Riace, infine la durissima condanna in primo grado del tribunale di Locri, legata al teorema di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, oltre che di truffa allo stato. In secondo grado saranno smontate praticamente tutte le accuse e successivamente è stato censurato lo smantellamento del sistema di accoglienza di Riace voluto contestualmente alla condanna. 

13 anni e 2 mesi di carcere per aver compiuto il reato di solidarietà?

Sì, proprio così. Oltre a ciò è stata comminata anche una condanna a corrispondere un'enorme somma finanziaria. Tuttavia questa durissima sentenza ha avuto almeno due effetti positivi. Il primo è il movimento di solidarietà che mi ha riempito di affetto e di vicinanza. Da tutta Italia e dall'estero è partito un movimento di compartecipazione che ha permesso di far conoscere ovunque il modello Riace, così come la storia personale del sottoscritto. Il secondo è che, per iniziativa dell'amico Luigi Manconi - un altro dei protagonisti della legislazione italiana sull'accoglienza - è partita una raccolta di fondi finalizzata inizialmente a pagare la sanzione che mi era stata inflitta. Non avrei mai accettato quei fondi, ma oggi, in accordo con chi li ha raccolti, dopo l'assoluzione piena da tutte le accuse, quei soldi saranno utilizzati per far ripartire l'accoglienza smantellata, con la creazione di borse lavoro, pagamento affitti, sostegno all'integrazione a tutti i livelli.

Insomma, non tutto il male viene per nuocere...

In realtà, è stato un periodo di sofferenza enorme, non solo per me ma anche per chi mi era vicino. Ho perso affetti e amicizie, ho provato la solitudine e la delusione, soprattutto vedendo cancellare tutto ciò per cui mi ero impegnato e avevo lavorato. I processi sono stati essenzialmente politici, la condanna come l'assoluzione non hanno riguardato le singole azioni contestate, bensì le motivazioni per le quali erano state compiute. E l'assoluzione definitiva sancisce fondamentalmente che le attuali leggi sull'asilo e sulla protezione dei rifugiati devono essere cambiate e migliorate, per poter consentire alla solidarietà di essere attuata senza eccessive regole e pastoie burocratiche che in fin dei conti non fanno altro che appesantire la vita delle persone e rallentare le soluzioni ai problemi della gente.

Ora un nuovo mandato di sindaco e l'elezione al parlamento europeo...

Logicamente sono molto contento di essere tornato a Riace e di poter riprendere il cammino interrotto. L'immersione nella vita di un paese non contraddice l'impegno europeo, nel parlamento e nelle commissione delle quali faccio parte. Spero di poter aiutare a rivivere il nostro "modello", con il "villaggio globale" che è stato creato nel cuore del paese e che oggi è purtroppo quasi disabitato. Nello stesso tempo cercherò in tutti i modi di portare all'attenzione dell'Europa la necessità di ripensare i modelli attuali di accoglienza, offrendo anche la nostra particolare esperienza: là dove c'è integrazione, non si realizza un bene solo per le persone accolte, ma si verifica una vera e propria trasformazione del paese che accoglie. Ciò vale senz'altro sul piano morale, ma anche su quello delle opportunità di crescita e sviluppo, perfino sul piano economico e materiale. Zone in difficoltà possono tornare a fiorire, in una dimensione di umanità e di coesione sociale finalmente ritrovata.

Auguri allora, per questo nuovo tratto di cammino, onorevole...

Oh, quello che già non riesco a sopportare in questa condizione di parlamentare europeo è l'incredibile serie di privilegi riservati a chi occupa tali posizioni. Farò di tutto per contrastare questo distacco tra i cittadini e i loro rappresentanti eletti. E' pazzesco che chi dovrebbe essere al servizio di tutti, approfitti della condizione per arricchirsi o comunque per sentirsi più in alto di tutti gli altri.

Cittadine e cittadini si avvicinano al nostro tavolo. Per ognuno c'è una parola e un saluto. Dalla porta del Municipio fanno ampi segni. Prima di salutarci, Lucano chiede un foglio, lascia il suo indirizzo mail e scrive: "LA NOSTRA FORZA STA NELL'INCERTEZZA".

giovedì 8 agosto 2024

Riace, 5 e 6 agosto 2024 (2/3): l'incontro con Alex

 

L’appuntamento è un po’ generico, la mattina del 6 agosto, “mi troverai in Municipio o in giro per il paese”. Alle 9 si arriva al bar della sera prima ed eccolo di nuovo lì. Mi vede e mi propone di scambiare due parole alle 10. E’ bello vederlo lavorare, il vero sindaco di paese. Prima è con i collaboratori, con i quali discute animatamente i problemi del momento, poi gli si avvicinano tante persone per un saluto, un augurio e un abbraccio, infine due cittadini che gli presentano il problema della mancanza d’acqua. Mimmo Lucano risponde con calma alla coppia inizialmente un po’ agitata, spiegando come la carenza d’acqua dipenda in parte dai cambiamenti climatici mondiali, ma anche da una poco oculata azione dei suoi predecessori che hanno venduto i diritti di utilizzo delle falde agli imprenditori agricoli. Non promette soltanto a parole, ma imbraccia il telefono e spedisce immediatamente i funzionari a verificare esattamente la situazione.

Tra una giunta e un saluto, tra una protesta e una spiegazione, all’improvviso compare tra i tavoli del caffè una figura inconfondibile. Padre Alex Zanotelli trascorre qualche giorno di vacanza a Riace, per stare vicino al suo amico Mimmo Lucano. Ci salutiamo, scambiamo qualche parola in amicizia e il discorso cade inevitabilmente sulla situazione del mondo attuale. “Sono preoccupatissimo – dice padre Alex – è un momento gravissimo quello che stiamo vivendo. C’è il rischio di un’escalation che dobbiamo in qualsiasi modo fermare.” Insomma, la vita non va mai in vacanza e il grande comboniano non può staccare il pensiero dalle guerre imminenti e dalla realtà dei quartieri più difficili di Napoli, con gli abitanti dei quali condivide la vita da diversi decenni. Un abbraccio, un saluto e finalmente il sindaco di Riace si avvicina e si siede con noi.

E’ impossibile riportare in un testo le emozioni, il tono di voce, la mimica degli occhi e delle mani. Posso soltanto riportare le parole, consapevole di essere un privilegiato, perché il racconto di una storia di vita non può essere sintetizzato soltanto con dei concetti. In ogni caso, è giusto provarci…

Riace, 5 e 6 agosto 2024 (1/3): Riace

 Fino a non molti anni fa, il nome di Riace era noto nel mondo per lo straordinario ritrovamento, avvenuto nel 1972, dei “bronzi”, le due magnifiche sculture scoperte nel fondale dello Jonio, oggi in mostra nel Museo Archeologico di Reggio Calabria. Il luogo della scoperta era qualche centinaio di metri distante dalla spiaggia di Marina di Riace, un tempo villaggio di pescatori, oggi piccola stazione turistica balneare. Il capoluogo del Comune si trova sui colli alla base della Sila, circa dodici chilometri all’interno, facilmente raggiungibile grazie a una strada che si inerpica tra gli ulivi e i fichi d’india.

Oggi il paese di Riace è universalmente conosciuto grazie all’esperienza umana, politica e amministrativa che ha trasformato un borgo ormai quasi del tutto abbandonato in un vero e proprio modello di villaggio globale. I protagonisti di questo cambiamento sono stati i migranti che hanno accettato l’invito ad abitare le case lasciate vuote da chi era stato a sua volta costretto a emigrare per sopravvivere, ma il regista di questa storia è stato Domenico Lucano, attualmente al quarto mandato di sindaco e da poco più di un mese parlamentare europeo.

La “mia Riace” si è svolta in due giorni ed è stata preceduta dalle solite domande interiori: è giusto capitare in un municipio, senza preavviso, per incontrare una persona chissà quanto impegnata? Chissà se lo si troverà, magari è impegnato nelle sedi del Parlamento europeo oppure semplicemente si sta godendo un periodo di meritata vacanza. Fatto sta che la sera del 5 agosto ci si fa un breve giro, scoprendo la parte antica della cittadina, visitando la chiesa e scoprendo che i santi patroni Cosma e Damiano sono veneratissimi da rom e sinti che, provenendo da tutto il Sud Italia, in maggio e settembre stazionano tre giorni in paese per partecipare e animare le processioni locali. Il tempo per una bibita nel bar in piazza ed eccolo lì, impegnato a discutere con una cittadina. Un saluto un po’ imbarazzato e ci si accorda per incontrarsi la mattina dopo. Ci sono altri avventori nel baretto, sembra di riconoscere qualche volto noto, certamente non sono tutti abitanti del luogo.

La sera si scende sulla riva del mare, c’è lo spettacolo in piazza di Mimmo Cavallaro e della sua band, un gruppo musicale folk molto popolare in Calabria e anche oltre. Si balla la tarantella per oltre due ore, con il coinvolgimento di tutti, gran parte dei partecipanti sono giovani. I pezzi travolgenti non offrono solo divertimento, ma anche messaggi di pace e di accoglienza. Viene chiamato sul palco Mimmo Lucano che riceve un’ovazione, anche se non tutti sembrano entusiasti della sua presenza. Del resto, lo spettacolo è organizzato dal Comune per residenti e turisti ed è giusto ringraziare chi lo ha reso possibile “per riportare la Cultura nel nostro territorio”, citando le parole dette con molta emozione da chi, dopo essere stato espulso da una sentenza assai discussa e discutibile, ritorna a essere primo cittadino dopo cinque anni di assenza.

Mi sento chiamare per nome. C’è anche una famiglia di Goriziani, che trascorrono le vacanze in Riace alta, incontri veramente graditi e inattesi…

lunedì 5 agosto 2024

Sulla spiaggia di Steccato di Cutro (KR)

Cutro. Nella memoria collettiva questo nome evoca una tragedia, quella di un nave carica di oltre 200 persone. proveniente dalla Turchia e schiantatasi su un banco di sabbia, a 50 metri dalla riva. Cutro è in realtà il paese capoluogo di comune, che si trova qualche chilometro all'interno della Calabria jonica. La zona sul mare si chiama Steccato di Cutro. Non è semplice arrivare al punto del disastro. Dopo varie strade con asfalto precario, occorre imboccare un viottolo polveroso che conduce fino a una spiaggia. Il panorama è meraviglioso, la sabbia candida fa pensare ai Caraibi e la solitudine quasi assoluta contrasta con i racconti delle ordinarie ferie di piena estate. Tanta bellezza non impedisce di cercare qualcosa, almeno un segno, di ciò che è accaduto... Ed ecco, quasi mimetizzato tra le dune, un mazzetto di fiori ormai secchi. Sembra quasi il gesto delicato di un bambino, un'alternativa colma di umanità al classico castello di sabbia. Ci si domanda come sia stato possibile, il 26 febbraio  2023, che circa cento persone - soprattutto donne e bambini - abbiano perso la vita qua, lo ripeto di nuovo, a 50 metri da una riva agognata per giorni e giorni di precaria navigazione a mare aperto. Si vedono ovunque barche e barchette, lontane e vicine e la distesa delle acque è costantemente monitorata. E' possibile immaginare che non ci si fosse accorti di un barcone in difficoltà con duecento persone a bordo? E' possibile supporre che una simile primitiva imbarcazione non chiedesse già di per sé stessa soccorso, senza avere neppure i mezzi tecnologici per domandarlo ufficialmente? Quanti morti si sarebbero potuti evitare, con un intervento tempestivo e competente? Quanti si sarebbero potuti salvare, oltre agli ottanta che sono riusciti a vincere il mare a forza 8 e le alte onde, anche grazie all'incredibile opera di soccorso messa in atto dagli abitanti del paese?

Il monumento cercato in effetti si trova al centro della frazione, dove c'è un grande parcheggio che prelude alle spiagge ufficiali, quelle organizzate (poche) e quelle libere multicolori ancora facilmente reperibili in questo piccolo angolo d'Italia per ora dimenticato dal gran turismo. Proposto dal Consiglio Comunale, invita giustamente a una riflessione e a un pensiero per le troppe vittime di questa strage e fa un cenno alla necessità di fermare i trafficanti di persone che percorrono le rotte del Mediterraneo. Dimentica gravemente un aspetto, ovvero il risvolto politico. I fatti di Cutro non sono soltanto uno dei tanti episodi di naufragio di poveri che cercano una nuova vita nell'Occidente opulento, sono una grave denuncia sull'inadempienza di una "politica" che dovrebbe risolvere i problemi delle persone e non aggravarli. Un signore del posto sta sistemando la piazzetta con al centro la pietra e la lunga iscrizione. Lo chiamiamo Giuseppe, per non identificarlo. Racconta ancora con le lacrime di quei giorni, dei morti strappati alla sabbia, trascinati per i piedi sulla riva, dei cadaveri da lui stesso recuperati qualche giorno dopo sulle dune vicine, dell'uomo con la jeep che voleva salvare almeno un bambino e che dall'acqua riusciva a tirare fuori soltanto altri morti, delle pietose cerimonie funebri nel cimitero di Cutro e in quelli vicini. "Ma si potevano salvare?" "Certamente sì, forse non tutti, alcuni sono rimasti schiacciati nello schianto dell'onda sul banco di sabbia. Ma se si fosse arrivati prima ad attendere i profughi - anche per terra, visto che il mare era molto agitato, ma che la barca era a pochi passi dalla riva - forse tanti sarebbero ancora vivi. Noi del paese abbiamo fatto tutto il possibile, ma rimane in noi un senso profondo di smarrimento, come di colpa, per non avere fatto di più." E in chi avrebbe dovuto intervenire con i mezzi di soccorso e non lo ha fatto, c'è ancora il medesimo rammarico? Qualcuno sarà ritenuto responsabile dell'omissione di soccorso di centinaia di esseri umani?

I fatti di Cutro, in un Paese normale, avrebbero dovuto suscitare una grande indignazione e, con essa, un sussulto di umanità da tradurre in leggi umane finalizzate all'accoglienza e non al respingimento. Invece è accaduto il contrario. Le responsabilità sono state addebitate ai cosiddetti "trafficanti" - anch'essi peraltro povera gente sfruttata da potentati ben più forti e inarrivabili di quanto non si possa immaginare - e le normative sono state incentrate sul controllo delle partenze attraverso accordi con Paesi tutt'altro che democratici, sull'inasprimento delle pene detentive e perfino sulla penalizzazione delle ong schierate nel Mediterraneo a difesa della vita di migliaia di naufraghi.

Il contrasto tra la bellezza dei paesaggi e la tragicità dei fatti toglie quasi il respiro. In questa sospensione del tempo restano un mesto sorriso di fronte a un mazzo di fiori piantato nella sabbia ardente d'agosto, un respiro di speranza di fronte alla naturale umanità degli abitanti di un villaggio abituato a scrutare il cielo e il mare, un soprassalto di indignazione di fronte a un monumento alla disumanità di leggi chi dovrebbero promuovere la Vita invece di mortificarla.