mercoledì 21 agosto 2024

Tre giorni in Abruzzo

Paesi abbarbicati sulle rocce, pieni di segni magici sulle chiavi di volta dei portoni. Scalinate di pietra che si succedono l'una all'altra per collegare le diverse vie. Rocche e ruderi di castelli dai quali si possono dominare le montagne e le valli. Tanto verde, pascoli punteggiati di pecore e di mucche, profumo di malghe e sguardi profondi di pastori che sembrano aver fermato il tempo. E poi la pietra immensa, dominante sull'intero Centro Italia, il Gran Sasso, potente, misterioso, invitante.

Questo e molto altro è l'Abruzzo. Ci si riferisce a quello interno, lontano dalle spiagge e dalle località di mare, quello che un tempo era dei pastori - Settembre, andiamo, è tempo di migrar... - e che oggi, come ovunque, è alla ricerca di una nuova sostenibile identità, intorno ai grandi tratturi che tuttora ricordano come un qualcosa di estremamente lontano, le suggestive e faticose transumanze. 

C'è un paese che si chiama Calascio. La strada che proviene da L'Aquila lo lambisce, ma se ci si lascia tentare e ci si inerpica sulle strette stradine si resta incantati. Una casa accanto all'altra, sulla via principale, tutta una sinfonia di archi, piccole gallerie, architetture affascinanti e popolari. Gli abitanti non sono molti, anche se in estate il villaggio si riempie. La gente per lo più vive lontana, chi nel capoluogo, chi nelle valli, molti anche a Roma. Ma in luglio e agosto gli scuri si riaprono, la gente sosta davanti alle porte aperte, la passeggiata nella stretta via principale si trasforma in bella occasione per intessere relazioni sociali. La gente è accogliente, disponibile, simpatica. Racconta volentieri la storia del luogo e le storie particolari dei suoi abitanti. Offre tutto ciò che ha a disposizione, soprattutto un sorriso incoraggiante e l'invito a conoscere il territorio. Sopra Calascio c'è la Rocca Calascio, altro minuscolo centro abitato intorno a un antico maniero, uno dei tanti che forse servivano come torri di avvistamento per far sapere subito agli abitanti delle incursioni provenienti dal mare.

Campo Imperatore splende in una giornata di sole. Le nuvole appenniniche sembrano aver pietà dei coraggiosi che vogliono affrontare le balze rocciose e raggiungere i rifugi e le alte vette. Il piazzale parcheggio ospita l'arrivo della funivia da Assergi, diversi esercizi commerciali e il rosso albergo - in parte in rovina e senza alcun segno di una peraltro sinistra memoria - che ospitò per alcuni giorni Mussolini prima della rocambolesca "liberazione" da parte degli aviatori nazisti. La bellezza del sito oscura e allontana il pensiero da quella cupa storia. Meglio immergersi nella contemplazione delle altezze, degli infiniti fiori multicolori, dei frequentati sentieri che accompagnano gli escursionisti in alto, sempre più in alto.

L'Abruzzo è anche L'Aquila, la sua capitale, ancora evidentemente ferita dal terremoto che nel 2009 la sconvolse, portandosi via oltre trecento vite umane. C'è un'aria di ricostruzione e un desiderio di riaprire le chiese, i monumenti, soprattutto le case ai visitatori. Anche qua tante persone si avvicinano per raccontare, per sottolineare il punto sull'evoluzione dei lavori, per rilevare le straordinarie potenzialità culturali e turistiche. Qualcuno ci invita a ritornare fra breve e a raccontare ovunque dell'impegno, della simpatia e della creatività degli aquilani. Santa Maria di Collemaggio, prima tra le opere ricostruite o restaurate - assai bene! - regala con la nuova illuminazione scorci stupendi sugli affreschi medievali e racconta la vicenda del buon Celestino. Era un monaco intelligente e operoso, che ebbe la sventura di essere proclamato Papa controvoglia. Rinunciò dopo qualche mese alla carica, un raro rifiuto degli onori mondani. Quando morì, molti lo considerarono da subito un santo, altri non gli perdonarono quello che Dante, non molto tenero con lui, definì "il gran rifiuto" che aprì la strada a quel Bonifacio VIII che - almeno sempre secondo il Sommo Poeta - del santo non aveva neppure lo stinco. 

A qualche chilometro di distanza c'è Amiternum, oggi un teatro e un anfiteatro che testimoniano la presenza di un'importante città, dalla lunga storia iniziata dai Sabini e continuata dai Romani. I solerti custodi si affrettano a rivendicare che proprio qui sarebbe stata nominata per la prima volta la parola "Italia", in evidente contrasto con la più accreditata ipotesi riferita a Italo, re degli Enotri, popolazione che nei tempi remoti abitava l'attuale Calabria, prima dell'arrivo dei Greci. Certo che ad andare in giro per la Penisola, si scopre in ogni angolo un pezzo di storia interessante. Quante tribù hanno dato filo da torcere ai conquistadores romani, rivendicando il diritto di essere liberi, prima di essere assimilati dalla soverchiante forza militare dei latini. Sarà l'impressione suscitata dalle rovine solenni o saranno i raggi del sole che picchiano duro sulla nuca, fa sì che, camminando tra le gradinate degli allora amatissimi luoghi di spettacolo, sembra di sentire le voci suadenti e lontane di attori di drammi e tragedie, l'urlo potente della folla entusiasta, gli ordini secchi trasmessi dai capi ai piccoli eserciti di schiavi addetti al funzionamento dei sofisticati macchinari.

Un'ultima impressione fra tante. Proseguendo verso il sud si raggiunge Sulmona, la città di Ovidio. Tra un pensiero all'avvincente Ars Amatoria e alle monumentali Metamorfosi, ci si addolcisce il palato visitando le fabbriche di confetti, presentati in tutte le fogge possibili, una specie di dolcissimo lego con il quale realizzare fiori di campo, casette da presepio, vere e proprie opere d'arte.

Il fugace passaggio nel cuore dell'Abruzzo mi ha riversato nel cuore una sensazione di speranza. La gente, le semplici persone che vivono con passione il loro quotidiano sono ovunque ancora profondamente umane: vogliono la pace e lo dicono ovunque, hanno compassione di chi soffre, desiderano profondamente essere e vivere. Insomma, forse il popolo è generalmente migliore di quanto a volte lo si rappresenti...

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