sabato 31 agosto 2024

La "fine" del castigo "eterno"

 

Sono ormai pochi i preti che predicano prospettando ai fedeli i castighi inenarrabili che li aspettano, nel caso si trovino in condizione di peccato. Una frettolosa e interessata interpretazione del simbolo - usato secondo i vangeli da Gesù - della Geenna, la discarica di rifiuti nella periferia di Gerusalemme, ha sintetizzato tale rovina con il fuoco inestinguibile. Il grande Dante ha poi costruito con una monumentale opera di fantasia una "summa" dei supplizi che attendono l'umanità reietta. Ci si può sorridere sopra, ma intere generazioni sono state formate da queste immagini che hanno seminato il terrore fin dalla più tenera età.

Se si ascoltano Papa Francesco, la maggior parte dei Vescovi e dei preti, si ha tutt'altra impressione e probabilmente i corsi di catechesi e le omelie successive al Vaticano II sono state in generale ben più confortanti e tranquillizzanti. Sembra che l'inferno non sia più un argomento su cui riflettere, mentre la "salvezza" (di solito non meglio identificata) pare una cosa molto buona non riservata certamente ai soli cristiani e nemmeno soltanto alle persone buone. L'antica lezione del grande padre della Chiesa Origene (II secolo) riguardante la salvezza universale è diventata molto attuale, rilanciata perfino da un teologo sapiente ma assai tradizionalista come Urs Hans von Balthasar che proponeva la formula dell'esistenza di un inferno (possibilità della libertà umana di giungere fino alla scelta della propria dannazione) svuotato dal primato in Dio dell'Amore sulla Giustizia.

Fino a qua tutto bene, solo dei sadici fanatici potrebbero godere dell'eventuale sprofondamento nell'incendio eterno di chicchessia, indipendentemente dalla simpatia o antipatia di ogni soggetto.

La domanda da porsi è tuttavia teologica e deve essere rivolta ai portatori di questo antichissimo e ora rinnovato consolante annuncio riguardante l'amnistia generale alla fine del tempo. La conseguenza di tale affermazione non può che essere la cancellazione dello spazio/tempo della dannazione e lo svuotamento del regno dei demoni. Ciò è presupposto fra l'altro anche nell'articolo del Credo relativo alla "discesa agli inferi del Cristo", con la contestuale liberazione di Adamo ed Eva (cioè dell'intera umanità) dalle "catene che li tenevano prigionieri". Tale "verità di fede" è stata proclamata per la prima volta nella chiesa aquileiese.

Allora, la soppressione dei riferimenti all'inferno e al principe dei demoni è un cedimento al politicamente corretto che imporrebbe di non esagerare con la minaccia di tuoni e fulmini da parte dello Zeus di turno? Oppure la Chiesa cattolica immagina di cambiare il proprio catechismo e addirittura modificare uno dei dogmi che le ha consentito di dominare sule coscienze per quasi 1700 anni, dall'epoca dell'editto di Tessalonica (380) fino quasi ai nostri giorni?

Il dogma del resto è ovviamente insostenibile. Anche il più convinto credente non potrebbe mai accettare razionalmente che il Dio che egli stesso proclama amorevole e misericordioso, preveda il concetto stesso di pena eterna, comminata a reati che per definizione eterni non possono essere in quanto in ogni caso limitati nello spezio e nel tempo. Una pena eterna, che non finisce mai, infinitamente ed eternamente dolorosa! Neppure il più efferato sistema giudiziario umano arriverebbe mai ad immaginare un qualcosa di enormemente più grave della stessa inaccettabile pena di morte (contingente e non certo eterna).

Ma se togliamo a Dio anche la prerogativa del giudizio finale, cosa gli rimane, dopo aver scoperto con la scienza buona parte dei misteri del Creato, dopo aver demolito il concetto di Provvidenza contemplando i bambini inceneriti ad Auschwitz (o a Gaza, a Karthoum o in mille altri luoghi) o sepolti sotto le macerie del terremoto e dello tsunami, dopo aver riscoperto il fascino totalmente umano di assaggiare il frutto proibito della conoscenza del bene e del male?

Non gli rimane niente, a livello razionale, proprio niente. L'unico modo per assolvere Dio da ogni responsabilità rispetto a ciò che accade nella storia è affermare la totale separazione tra il destino dei viventi, determinato dal caso o dalla responsabilità individuale e collettiva, e l'esserci di una divinità, al di là dello spazio e del tempo, raggiungibile soltanto con l'atto di una fede, assolutamente svincolata dalla ragione. Una fede che non toglie all'uomo la necessità di cercare, scegliere e decidere è un'esperienza matura che non fonda l'azione sul desiderio del premio o sulla paura del castigo, ma sull'impegno serio e totalizzante, da "persuaso" direbbe Michelstaedter, con la meravigliosa, drammatica e affascinante avventura della Vita.

Ci può essere un ambito di incontro tra l'alterità assoluta del divino e la storicità dell'essere? Se c'è, non può che collocarsi sul piano del simbolo, come dimostrato dall'iconografia paleocristiana precedente la libertà religiosa sancita da Costantino, o immediatamente successiva, come dimostrano i mosaici teodoriani di Aquileia (314-319), fatti coprire 80 anni dopo forse perché troppo scandalosi nella loro straordinaria naturalità e nel contempo non-razionalità.. La stessa esperienza del Cristo non può che essere intesa sul piano simbolico, là dove la sua parola e la sua azione rivelano la verità sull'essenza dell'umano - sostanzialmente pace, armonia cosmica, perdono, nonviolenza, fraternità, sororità, soprattutto Amore. E là dove la sua risurrezione, del tutto in-comprensibile sul piano filologico o scientifico, non può che essere la conferma, oltre lo spazio e il tempo della vita e della morte, di un appello all'esistenza nell'Amore e alla speranza ineffabile di un qualcosa che è e resta ineffabile, cioè indicibile.

Meditate genti, meditate...

2 commenti:

  1. "Accada di me secondo la Tua parola"...

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  2. Bravo! È esattamente ciò che volevo dire, l'atto di fede è del tutto indipendente dal controllo della ragione e la relazione con Dio non si pone sul piano dell'utilità, ma del rispetto dell'assoluta libertà.

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