Scrivo mal volentieri questo post. Sì, perché da convinto sostenitore della democrazia diretta come strumento importante e complementare a quella rappresentativa, mi dispiace molto dichiarare che domenica voterò ovviamente per le amministrative, ma non accetterò le schede relative ai cinque referendum sulla giustizia.
Quello dei referendum proposti dai cittadini è un istituto previsto con lo scopo di consentire a ciascuno di "contare", relativamente all'abrogazione di intere leggi o loro parti, stante l'incapacità o l'impossibilità del Parlamento di esprimersi. Ci sono stati quasi 70 referendum, alcuni di essi con campagne elettorali coinvolgenti e avvincenti, basti ricordare il primo, dedicati nel lontano 1974 alla legge sul divorzio o, tra i successivi, quello del 1981 sull'interruzione volontaria delle gravidanza, quello sull'acqua pubblica, purtroppo sostanzialmente disatteso o quello sull'utilizzo dell'energia nucleare. La maggior parte degli altri vertevano su tematiche molto particolari, quasi sempre inerenti questioni delle quali quasi tutti gli elettori non avevano nessuna competenza. Non è un caso che almeno la metà dei referendum sia stata annullata dal non raggiungimento del quorum del 50 per cento più uno. La domanda che ci si pone è se sia effettivamente un esercizio di democrazia esprimere un parere su un argomento tecnico, dove risulti assai difficile farsi un'idea non solo del contenuto del quesito, ma anche della cause e della conseguenze di un determinato voto. Si può aggiungere un'ulteriore domanda, se cioè la debolezza della democrazia rappresentativa giustifichi di per se stessa un così frequente appello al voto, su materie che dovrebbero essere analizzate, dibattute e trasformate in leggi dai parlamentari ad hoc eletti.
Per questi motivi, a differenza delle elezioni a ogni livello, nelle quali l'astensione è gesto che esprime mancanza di assunzione di responsabilità oppure protesta contro un sistema talmente malato da ritenerlo ormai non riformabile, nel caso di referendum su argomenti ritenuti non sufficientemente chiari, non andare a votare significa semplicemente demandare ai rappresentanti eletti il compito di legiferare.
Nel caso dei cinque referendum sulla giustizia, l'impressione è che la maggior parte degli italiani non solo non sappia di che si tratti, ma neppure di essere chiamata al voto. Molti di coloro che si recheranno alle urne per eleggere i nuovi sindaci e consigli comunali si troveranno in mano altre cinque schede colorate e voteranno secondo l'istinto del momento. Inoltre, anche chi ha fatto il lodevole sforzo di studiare gli argomenti in questione, si sarà accorto di quanto sia difficile navigare tra Scilla del sì e Cariddi del no, non rendendosi ben conto di cosa potrebbe accadere nel caso di vittoria degli uni o degli altri.
Certo, anche la realtà della "giustizia" in Italia ha bisogno di un'urgente riforma. L'astensione dal voto non vuole essere una dimostrazione di disimpegno o di soddisfazione per come stiano andando le cose, ma un atto di fiducia - relativamente a questi specifici e complessi argomenti - nei confronti di un Parlamento i cui componenti sono stati eletti - da tutti noi! - proprio per svolgere questo arduo e importante compito.
Per questi motivi, non ritenendo mio compito esprimere un giudizio decisivo e sufficientemente fondato su questi argomenti, domenica non accetterò le cinque schede relative ai referendum e con questo (non) gesto intenderò invitare deputati e senatori a svolgere il loro servizio.
Ottima delucidazione che condivido pienamente.
RispondiEliminaNeanch'io accerterò le 5 schede
RispondiEliminaÈ un nostro dovere costituzionale. Comprendo le tue ragioni ma non condivido. Se penso che certi quesiti (vogliamo ricordare i quesiti di natura elettorale, quanto erano tecnici...). Rimango sempre dell idea che la democrazia non è mai uno spazio libero.... è e rimane sempre partecipazione. L invito ai parlamentari a lavorare e riformare, presuppone che anche loro abbiano un sufficiente senso dell etica e delle istituzioni! Ma in fondo... Chi li ha "mesi" lì? Questo referemdum, come hanno scritto oggi su Avvenire, è la sconfitta di noi elettori. Il popolo che ha abdicato alla sua sovranità.
RispondiEliminaPer la prima volta nella mia (abbastanza lunga) vita non ho votato. Convintamente. D'accordo con tutta la tua analisi, Andrea.
RispondiEliminaManuela Puntin