giovedì 30 giugno 2022

La Risiera senza una guida in lingua slovena. Appunti e proposte di confine...

La scorsa settimana il Primorski dnevnik ha pubblicato un’interessante riflessione, suscitata da una gita scolastica a Trieste organizzata da un Liceo di Lubiana. Era prevista la visita a uno dei luoghi simbolo dell’occupazione nazista nella zona del Litorale, la Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio collocato sul territorio italiano. Nei suoi lugubri locali sono stati rinchiusi e hanno trovato la morte migliaia di persone, appartenenti a numerose nazionalità, tra essi anche tanti sloveni, oppositori politici e cittadini inermi.

Alla richiesta di una guida in lingua slovena, la docente che guidava il gruppo si era sentita rispondere che “no, nella Risiera di San Sabba a Trieste non è prevista la presenza di una guida che conosca lo sloveno”. Ci sono i depliant multilingui e le didascalie sotto le raccolte di reperti, ma proprio non c’è una persona in grado di accompagnare i visitatori, illustrando la complessa vicenda del monumento, parlando nella lingua di tanti triestini oltre che di qualche milione di “vicini di casa” e sottolineando come esso sia collegato alla storia del popolo sloveno nel secolo breve. Docenti e studenti si sono arrangiati ugualmente, e anche molto bene, grazie all’intervento volontario di un giovane esperto autonomamente contattato. Ma è possibile che chi gestisce la Risiera non provveda all’assunzione di una guida specializzata da coinvolgere, a disposizione degli ospiti sloveni?

E’ importante questa denuncia, anche in vista dell’appuntamento di Nova Gorica e Gorizia, capitale europea della Cultura 2025. Come è la situazione nelle città di confine? C’è un adeguato supporto di personale competente – in italiano, sloveno anzitutto e poi anche in tante altre lingue – per gli ospiti che incroceranno i monumenti delle due città e dei dintorni?

La quasi totale ignoranza della lingua slovena da parte degli abitanti italiani di Gorizia – almeno di quelli che hanno più di venti anni – è un dato drammatico, consapevolmente o meno viene dato per scontato che “conoscendo quasi tutti gli sloveni l’italiano”, non sia necessario compiere alcuno sforzo per trattarsi da pari a pari, non costringendo sempre una delle due parti a rinunciare sistematicamente all’uso della propria lingua materna. Qualcuno azzarda il principio di reciprocità, “perché noi dovremmo conoscere lo sloveno o dedicare qualche strada a importanti personalità slovene, quando ciò non viene preso in considerazione a Nova Gorica?”. Anche questa frase esprime la presunzione di chi si sente superiore agli altri, non tenendo in minimo conto di come la vecchia Gorizia sia evidentemente plurilingue e la nuova no. Ciò non esclude che in un rapporto intensificato, anche gli abitanti di Nova Gorica potrebbero riscoprire l’importanza della conoscenza dell’italiano o dedicare qualche luogo a personaggi che si sono distinti nel pensiero e nell’arte, come per esempio Carlo Michelstaedter, la pittrice Emma Galli o lo scrittore Celso Macor… Sembra quasi che la maggior parte degli italiani goriziani ritenga inconsciamente che la Slovenia finisca a Nova Gorica e non sia quindi uno Stato che dalla Transalpina si protende fino all’Ungheria. “Cosa può servirmi una lingua parlata in una zona così limitata e da poco più di due milioni di persone?” si dice, escludendo a priori la possibilità di dialogare con gli abitanti di Ljubljana o di Ptuj, ma anche con i propri conterranei, ciascuno nel proprio idioma.

Questa anacronistica visione contrasta anche con i recenti studi scientifici che dimostrano come la conoscenza di più lingue, imparate nella prima infanzia, moltiplichi a dismisura e non ostacoli le competenze linguistiche delle persone. A essa sembrano ispirarsi anche gli estensori del nuovo bando per l’individuazione del prossimo responsabile del percorso verso la Capitale europea della Cultura, al quale viene richiesta la conoscenza della lingua inglese, ma non necessariamente quella dell’italiano.

Del resto, se nessuno dei due parla la lingua dell’altro, occorre comunicare con un altro mezzo, appunto l’inglese. Certo, è senz’altro giusto che si insegni uno strumento veicolare che consenta di percorrere tutte le strade del Mondo. Tuttavia c’è da porsi qualche domanda, se si procede verso la celebrazione di una capitale della Cultura scelta proprio per la sua collocazione storica e geografica “di confine” e si comincia dando per scontato che sia necessario rinunciare a confrontarsi nelle proprie lingue materne, perché “tanto basta l’inglese”.

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