Uno scorcio delle Marche dal "Colle dell'Infinito" |
Tramonto da Recanati |
Giacomo Leopardi |
Nell'era mediatica sembra che sia importante - o addirittura vero - soltanto ciò che viene trasmesso e la manipolazione generale giunge fino a costruire i "luoghi della bellezza" attraverso un passa parola radiotelevisivo e informatico. il turismo è espressione massima di questa nuova forma di consumo, appaio dunque sono e tutto ciò che non appare non esiste.
Tuttavia non si può dire che questa sia una caratteristica del nostro tormentato tempo. Quando infatti Giacomo Leopardi scriveva L'Infinito trasformando per sempre il suo natio borgo selvaggio in un simbolo universale del desiderio ardente e insolubile di trascendenza, i compaesani lo guardavano con aria di commiserazione. E duecento anni i loro discendenti dopo passano all'incasso, Recanati diventa meta del turismo internazionale. Contemplando la pianura dal Colle dell'Infinito, sviati dalle mille insegne che invitano a visitare i principali siti leopardiani, non si immaginano più sovrumani silenzi e non è più dolce naufragare in questo mare.
La stessa sorte non è toccata a Santa Maria la Longa, un tempo dolce villaggio ai confini della Bassa e ora trafficato incrocio di strade che intersecano il Friuli. Pochi infatti sanno che proprio attraversandolo, con l'umore che poteva caratterizzare chi si avvicinava al campo di battaglia sul Carso, Giuseppe Ungaretti scrisse l'immortale M'illumino d'immenso. Nessuno se ne era accorto e si era domandato che rapporto ci fosse tra un agglomerato di case apparentemente identico a mille altri nella stessa regione e l'intuizione folgorante, divenuta in seguito parte dell'universale comprensione degli istanti decisivi di ogni esistenza. A differenza di Recanati, il piccolo comune friulano non è entrato nel circo turistico della post-modernità.
Risalendo molto indietro nel tempo, forse anche l'ignoto pittore delle grotte di Lescaux, qualche manciata di millenni fa, aveva trascurato l'impegno di procacciare a sé stesso e ai componenti del suo clan il cibo con la caccia, per dedicarsi alla totalmente inutile attività di riprodurre sulle rocce lisce l'eterna lotta tra l'uomo e la natura. Lo stesso si può dire degli incredibili scultori della ValCamonica che hanno inciso le enormi pietre rese lavagne dai ghiacciai con decine di migliaia di graffiti ancora misteriosi, anche se molti studiosi suggeriscono interpretazioni che travalicano il mondo sensibile per proiettarsi nei meandri di una profonda, complessa e duratura spiritualità. Ebbene, probabilmente nessuno di questi antichissimi artisti avrebbe mai immaginato di diventare talmente celebre da vedere protette con leggi planetarie le sue opere.
Cosa ricavare da questa riflessione? Come dimostra Yuval Noah Harari nel suo assai interessante saggio Sapiens. Da animali a dèi, ciò che ha permesso all'essere umano di scendere dagli alberi e di giungere fino al dominio incontrastato sul mondo è stata la potenza incredibile della sua immaginazione. Siamo ciò che siamo - nel bene e nel male - non perché più forti degli altri animali o perché più fortunati, ma perché dotati di questa straordinaria, divina capacità di creare una nuova realtà con la nostra intelligenza. Tutto ciò che oggi sembra così ovvio e normale - dai sistemi politici alle scoperte della scienza, da internet alle multinazionali, dai vaccini alle diplomazie internazionali che risolvono pacificamente conflitti apparentemente inevitabili - dipende essenzialmente dalla nostra immaginazione, esiste perché lo abbiamo inventato noi.
Allora, camminando nelle suggestive, ma anche tanto normali vie di Recanati, sostando sotto la goffa statua del poeta nella piazza principale, si comprende che non esiste nulla di ordinario nello sguardo di chi porta nel cuore questa immensa potenzialità e da una scarna collina identica a tante altre, nelle Marche e altrove, riesce a costruire un'indimenticabile verità, che l'Uomo non può autocomprendersi se non in una prospettiva immensa ed eterna, che lo sfida, lo affascina, lo accoglie e lo determina.
In altre parole, se qualcosa potrà cambiare nel mondo, ciò avverrà con la creatività della poesia e della pittura, l'arte ha accompagnato l'evoluzione e la porterà verso orizzonti ancora essenzialmente sconosciuti. L'artista dovrà accettare il proprio destino, offrire la via di uscita da qualsiasi crisi, senza essere compreso nel suo sguardo sempre più in là, come scriveva Montale. Dovrà sopportare scherno e incomprensione, a volte morire nella più squallida povertà. Ma sarà poi ricordato come l'iniziatore di quella "novità" della quale tutti sempre parlano ma che nessuno riesce mai a realizzare.
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