Quando si organizzano campi o centri estivi per bambini e ragazzi si sa che si può andare incontro a incidenti, più o meno gravi.
Quest'anno - derogando purtroppo a quello che avrebbe dovuto essere compito della scuola chiusa a fine febbraio e non riaperta almeno fino a settembre - decine di migliaia di giovanissimi hanno potuto trascorrere qualche settimana di serenità e di istruzione alternativa attraverso i centri estivi. I Comuni hanno ricevuto un mare di soldi per questo e hanno organizzato attività in proprio, con convenzioni con cooperative specializzate o con accordi con parrocchie e altri enti aggregativi.
Le persone a cui sono stati affidati i partecipanti sono stati educatori professionali ordinariamente sottopagati (salvo poi ritrovarsi con entrate di bilancio impreviste da far rifluire nell'avanzo generale), dipendenti di cooperative regolarmente costituite e a volte anche animatori volontari guidati da esperti in materia.
Non è solo l'anno del covid-19 ad aver visto queste forme di organizzazione. Centinaia di migliaia di ragazzi, invitati da parrocchie, comuni, scout e associazioni d'ogni tipo, hanno potuto usufruire di vacanze al mare, in montagna e in città. Oggi giustamente molte regole inquadrano queste forme di "campeggio" in schemi professionali e assicurativi che garantiscono sicurezza e controllo. Fino a non molti anni fa tutto era basato sulla buona volontà e sul rischio degli organizzatori, un po' fideisticamente affidati all'assistenza degli angeli custodi.
Ecco, tutto questo per dire che qualche volta anche gli angeli custodi si possono distrarre e anche se tutti si impegnano per evitare qualsiasi disagio, può accadere ciò che nessuno vorrebbe, la tragedia irrompe nella naturale allegria del campo o del centro e tutto comincia ad assumere i contorni dell'irrealtà. Dapprima il silenzio attonito circonda un intero territorio e prevale il senso di profonda solidarietà nei confronti dei familiari di chi è stato colpito. Poi subentrano le domande esistenziali e ci si chiede dove fosse finito e che cosa possa centrare Dio con la morte di una sua giovane creatura. poi naturalmente si iniziano a cercare le responsabilità e un po' tutti vengono coinvolti, dalla pubblica amministrazione alle cooperative, dai luoghi religiosi alle realtà associative o di volontariato.
Tutto ciò per esprimere tanta umana solidarietà a chi in questo momento soffre per la spaventosa perdita di Stefano, un ragazzo di 13 anni ucciso in un pozzo nella stagione dei più divertenti giochi; per manifestare vicinanza anche agli animatori - soprattutto quelli più giovani - che saranno per sempre segnati dalla terribile esperienza vissuta ieri e che non meritano di essere in alcun modo coinvolti in sensi di colpa per una disgrazia che avrebbe potuto accadere ovunque e a chiunque; anche per invitare alla totale e leale collaborazione coloro che saranno chiamati dagli inquirenti a spiegare il "perché" e il "per come" di un pozzo molto pericoloso, con una copertura evidentemente insicura, collocato in un luogo tanto frequentato da adulti e bambini, come è il parco Coronini di Gorizia.
Nessuno purtroppo potrà restituire Stefano alla vita e ai suoi familiari. Ma almeno, la verità e la giustizia sulla sua morte, potranno permettere di evitare in futuro altre simili assurde sciagure. Non si impedisca la gioia dello stare insieme a migliaia di piccoli che spesso solo in questo modo possono vivere un momento di vacanza, ma si vigili affinché i centri estivi possano svolgersi in totale sicurezza e serenità.
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