mercoledì 11 giugno 2025

Monfalcone e la nuova crociata

 

Bei tempi quelli nei quali i simboli della fede erano talmente complessi da richiedere anni di iniziazione per essere compresi e accolti! Bei tempi perché il cristianesimo si inseriva con discrezione nella vita di una società pluriculturale e plurireligiosa, custodendo con un alone di silenzio e segreto le proprie caratteristiche e i propri fondamenti. In questo modo chi aderiva, dopo aver percorso tre o quattro anni di formazione e aver ricevuto insieme i sacramenti del battesimo, della cresima e dell'eucarestia, conosceva molto bene i dogmi e le regole del vivere cristiano.

Poi è arrivato il cristianesimo imperiale, che ha soppiantato gli universi religiosi preesistenti, distruggendo i mitrei e i luoghi di culto, edificando al loro posto le grandi basiliche. La croce, mai rappresentata almeno fino al V secolo, è diventata paradossalmente un segno identitario, da imporre ai sudditi dell'Impero, con le buone maniere o più spesso con le cattive.

Quello che sta accadendo a Monfalcone ricorda le controversie medievali, con una personalità politica che veste i panni di San Bernardo da Chiaravalle e lancia la crociata contro gli infedeli che - secondo lei - vorrebbero infangare la "religione di Cristo". Addirittura arriva a vantarsi di aver scritto a papa Leone XIV, forse pensando al primo Leone che secondo la tradizione avrebbe fermato Attila sul Mincio, presso un paese che ancora oggi, in suo onore, porta il nome di Salionze.  

In una città che potrebbe proporsi a livello nazionale come grande esempio di convivenza e dialogo tra culture, forme religiose e visioni della vita differenti, si è invece creato il muro contro muro. E la responsabilità primaria è di una politica amministrativa che strumentalizza i reali problemi che le persone affrontano ogni giorno, per un mero tornaconto elettorale. Non si è riusciti ad affrontare serenamente la questione delle donne che entrano nel mare vestite, si è di fatto utilizzato un cavillo del piano regolatore per impedire a dei credenti di pregare. Invece di sostenere le cittadine e i cittadini musulmani, si è cercato di ostacolarli in tutti i modi. Invece di creare luoghi di dibattito e confronto nei quali cercare soluzioni condivise, si è preferito calcare l'effimera ribalta nazionale, facendo di ogni erba un fascio e mettendo in discussione la stessa esistenza di una religione che coinvolge più di due miliardi di pacifici fedeli nel mondo.

L'ultimo atto di questa storia è quello che avrebbe convinto la suddetta a scrivere un messaggio accorato al Pontefice, un po' come Caterina da Siena che si rivolgeva al "dolce Cristo in terra" per invitarlo a lasciare gli eretici avignonesi per tornare a Roma.

I parroci di Monfalcone - totale e piena solidarietà! - hanno sopperito alle clamorose mancanze delle amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi anni e hanno messo a disposizione l'oratorio San Michele prima e ora alcuni locali adiacenti la chiesa della Marcelliana. Si è trattato di un gesto di ordinaria ospitalità, tali sale sono normalmente utilizzate da società sportive, gruppi culturali, compleanni o riunioni di condominio. Chi le usa, come è giusto, paga anche un affitto e le adatta alle proprie necessità. Cosa ci può essere di strano se in una riunione di preghiera, i musulmani coprono delle immagini che richiamano la professione di una fede diversa dalla loro? Cosa c'è di offensivo? Forse che le opere momentaneamente occultate sono state danneggiate o vilipese? 

Proprio no e per questo il presunto scandalo non è altro che l'ennesimo tentativo di squalificare una grande religione di pace che la stragrande maggioranza dei cristiani non conosce minimamente. Ma è anche la dimostrazione della completa ignoranza degli stessi fondamenti della fede cristiana, incentrati sull'amore nei confronti del prossimo, sulla nonviolenza attiva e sull'accoglienza fraterna. Come pure è la mancanza di rispetto nei confronti del grande valore che è la laicità dello Stato democratico: date a Cesare quello che è di Cesare, date a Dio quello che è di Dio. 

martedì 10 giugno 2025

I referendum e una sinistra da rifondare

Ho votato i cinque referendum. Mi dispiace che non si sia raggiunto il quorum e che quindi non sia stato possibile ottenere il risultato atteso.

Si capisce l'esultanza della destra, molto meno quella della cosiddetta sinistra. Come si fa solo a pensare che il raggiungimento di 14 milioni di votanti sia un successo?

In realtà è stato un vero disastro che dovrebbe suscitare molti ripensamenti, invece che arrampicamenti sugli specchi. Il 70% degli italiani non ha votato, il che significa che la destra ha approfittato della ghiotta occasione di attribuirsi una facile e prevedibile vittoria.  E' stato inoltre un contributo alla sempre più evidente disaffezione a qualsiasi forma di votazione, tanto più a quella referendaria che - prevedendo l'obbligo del raggiungimento del quorum - rende di fatto un'opzione legittima e strategica quella dell'astensione (peraltro sollecitata in passato da tutti coloro che non condividevano l'uno o l'altro quesito, destra, sinistra, gruppi sociali e culturali, conferenza episcopale, ecc.).

Anche le percentuali dei sì e dei no sono da brividi e reclamano un'immediata approfondita riflessione politica. I quattro quesiti sul lavoro, come previsto, hanno ottenuto quasi il 90% dei consensi, dimostrando effettivamente che la questione suscita molto interesse, molto probabilmente anche in chi non ha ritenuto di votare, supponendo che in realtà un'eventuale vittoria dei sì non avrebbe modificato granché, stante l'attuale dettato legislativo.

Invece il quesito sulla cittadinanza ha avuto un esito veramente molto preoccupante, al punto da far ringraziare la sorte che ha consentito ai referendum di non raggiungere il quorum. Immaginando che buona parte della destra abbia disertatole le urne, ci si può chiedere che destino avrebbe avuto il quesito sulla riduzione dei tempi per l'ottenimento della cittadinanza da dieci a cinque anni? Questo forse è il dato più inquietante di tutti. A fronte di un quasi plebiscito da parte dei pochi votanti, il 65% di sì nel referendum numero cinque dimostra che la maggioranza degli italiani è di fatto contraria a qualsiasi facilitazione dell'accesso alla cittadinanza da parte dei migranti. 

E questo è un dato su cui riflettere e su cui non impostare più solo campagne "contro" la destra o per destabilizzare un governo che, al di là delle ordinarie schermaglie, sembra ancora ben saldo. Occorre che ci siano proposte di ampio respiro, veramente e profondamente radicate nella tradizione della sinistra sociale, riguardanti le politiche del lavoro, dell'ambiente, dell'accoglienza, della casa. Siano proposte non calate dall'alto, avulse dai reali problemi che portano le persone a votare a destra o a non votare. Siano il rilancio di una visione complessiva del vivere sociale, in una prospettiva realmente anticapitalista, pacifista e internazionalista.

lunedì 2 giugno 2025

2 giugno, il primato della RES-PUBLICA sulla RES-PRIVATA

 

Un augurio a tutte e tutti! La Festa della "res publica" non esclude nessuno, se non chi ritiene che sia molto più importante la "res privata".

Celebrare il 2 giugno significa riprendere in mano almeno i primi dodici articoli della Costituzione: il lavoro come fondamento, quindi la partecipazione di ogni cittadino alla costruzione dello Stato, il potere che appartiene al popolo. Inoltre non si possono dimenticare la libertà di espressione, di culto e di pensiero, poi la protezione di coloro che bussano alle porte dell'Italia fuggendo dalla guerra e dalla fame, insieme al loro diritto all'accoglienza. Soprattutto, dati i tempi, è indispensabile ricordare il RIPUDIO della guerra come strumento di risoluzione dei problemi internazionali.

Ma la Festa della Repubblica è anche l'occasione per rivendicare il primato dell'interesse pubblico su quello privato, oppure - se si preferisce, ricordando intuizioni più che bimillenarie - la finalizzazione anche della proprietà privata alla destinazione universale delle risorse. 

Al di là delle parole e degli spunti retorici che spesso si sprecano in queste occasioni, è veramente urgente che la Politica (con la P maiuscola) si affranchi dalla deriva privatistica che caratterizza l'attuale momento dell'Italia, dell'Europa e del Mondo. Solo per portare due esempi macroscopici, è evidente quanto la riduzione della Sanità e della Scuola a mere occasioni per generare profitti privati, ricostruisca quella divisioni tra classi che solo qualche anno fa si sperava fosse soltanto un brutto ricordo. Chi se lo può permettere, può ricevere un'istruzione adeguata per poter utilizzare le leve del Potere, gli altri dovranno accontentarsi del ruolo di comprimari. C'è il rischio di tornare al dettato della profetica Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana! E chi se lo può permettere, riceverà (o già riceve, ahimé) cure immediate ed efficaci, mentre gli altri dovranno prendere atto della fine della sicurezza dei Medici di Medicina Generale, delle file sempre lunghe per le visite urgenti, della deprivazione dei reparti ospedalieri a tutto vantaggio dei privati.

Ordunque! Se non si vuole rimanere nei soli enunciati di principio, occorre un soprassalto di convinzione e di coraggio. La rappresentanza politica dello Stato e delle amministrazione locali sia in prima fila nel difendere la RES PUBLICA e nel regolamentare quella privata. E le cittadine e i cittadini, chiamati a esercitare la propria sovranità attraverso gli strumenti messi a disposizione dall'attuale momento del sistema democratico, quando votano si ricordino e si interroghino sugli appetiti di chi propone la privatizzazione selvaggi come presunta soluzione di problematiche che appartengono a tutti. 

mercoledì 28 maggio 2025

La Striscia di Gaza

 

La Striscia di Gaza è un territorio molto piccolo, 365 kmq, abitato da quasi 2.500.000 persone. Per rendersi conto delle dimensioni, l'ex provincia di Gorizia, una delle meno estese in Italia, conta 466 kmq ed è abitata da meno di 140.000 cittadini.

Già dalla cartina annessa, tratta dall'interessante e toccante volume di Nandino Capovilla e Betta Tusset, Sotto il cielo di Gaza, si può  intuire che la situazione attuale non è il frutto dei tragici eventi del 7 ottobre 2023, ma di un'irrisolta questione politica e sociale.

Non c'è  un libero accesso al mare, un altissimo muro circonda l'intero confine con Israele, la frontiera con l'Egitto è quasi insormontabile, il terreno è desertico, non si possono costruire industrie, non si può fuggire dall'enclave, un terzo della popolazione è costituita da profughi da altre zone altrettanto devastate.

Come è possibile sopravvivere in queste condizioni? Come trovano il pane quotidiano milioni di esseri umani ai quali è preclusa qualsiasi possibilità di lavoro, di impegno, di contatto con chi vive al di là della barriera di separazione? Come cercare di attirare l'attenzione del mondo, quando i media planetari sono ingaggiati per presentare un unico punto di vista sul reale?

Gli atti odiosi connessi a una guerra interminabile, praticamente a senso unico, hanno portato alla morte di decine di migliaia di persone. "C'è stato un bombardamento anche questa notte, una cinquantina le vittime palestinesi" - gracchia la radio suscitando qualche istante di tristezza nell'automobilista concentrato. Una cinquantina di esseri umani ha finito violentemente la sua vita, non c'è più, è sprofondata nel nulla. E così ogni giorno, ogni notte... Un terrore continuo, fine pena mai.

E poi la storia della dottoressa di Gaza che ha perso in un solo colpo 9 dei suoi 10 figli, l'ultimo nato solo qualche mese fa. E poi le immagini della bambina che quasi con calma rassegnata cerca di lasciare la sua scuola in fiamme. E le case azzerate dai bombardamenti, gli ospedali sventrati, i centri di raccolta colpiti, i mercati distrutti, gli aiuti umanitari impediti...

Qui non c'entrano niente la Shoah o i diritti degli ebrei, la catastrofe dei campi di sterminio è una macchia che oscura la storia dell'umanità e come tale resterà nella memoria per sempre. Qui c'entra la miopia di un governo fascista - anche se votato a maggioranza dagli israeliani - quello di Netanyahu e la soggezione dei potentati del mondo, incapaci di mediare una pace giusta e duratura.

E' terribile sentirsi impotenti, in questa situazione. Non servirà forse a molto, ma il grido di protesta popolare può forse essere  l'unico strumento utilizzabile per cercare di cambiare le cose. Sempre che si sia ancora in tempo, perché non è difficile prevedere che questa drammatica instabilità possa risvegliare forme di violenta reazione - o di resistenza, dipende dai punti di vista - in grado di coinvolgere obiettivi sensibili e civili in tutto il cosiddetto Occidente.

Che ci si fermi, finché si è in tempo!

martedì 27 maggio 2025

Buon compleanno, don Lorenzo Milani (27.05.1923 - 26.06.1967)

 

Avrebbe 102 anni, ma il suo messaggio è ancora tremendamente giovane e attuale.

Don Lorenzo Milani è nato il 27 maggio 1923, è cresciuto in un ambiente culturalmente avvincente, prima di decidere improvvisamente di diventare prete. Tale situazione privilegiata sarà sempre per lui una sfida, sollecitando il desiderio di riuscire a passare "per la cruna dell'ago", cosa che secondo l'insegnamento di Gesù sarebbe quasi impossibile a un ricco. Tuttavia l'ambiente familiare gli è rimasto molto impresso, soprattutto il rapporto con la madre, raccolto in un meraviglioso epistolario nel quale si può scoprire l'anima più profonda e intima del grande sacerdote fiorentino. 

Il suo ministero, improntato fin dall'inizio alla comunicazione del vangelo attraverso l'insegnamento della parola, fin dall'inizio si è caratterizzato per un'originalità e un'intelligenza ancora oggi sorprendenti.

A San Donato a Calenzano ha realizzato una scuola popolare che si è trasformata subito in un centro di Cultura. I giovani hanno lasciato i giochi degli oratori e della case del popolo per ascoltare testimonianze e confrontarsi con i maggiori temi sociali e politici dei primi anni '50. Da quell'esperienza, finita con il trasferimento voluto dall'arcivescovo Florit, influenzato dai maggiorenti della Democrazia Cristiana del mondo fiorentino, nascerà uno splendido libro, "Esperienze Pastorali", ancora oggi straordinariamente attuale. Si potrebbe aggiungere un purtroppo, visto che dalla pubblicazione sono passati 70 anni!

Trasferito a Barbiana, una canonica una chiesa e case sparse sul monte Giovi nel raggio di una quindicina di chilometri, ha superato subito lo sgomento di trovarsi in un apparente nulla. Ha obbedito a un'imposizione assurda, ma ha saputo trasformare il suo esilio in un'occasione straordinaria di rinnovamento e crescita di una delle zone più povere dell'Italia nella seconda metà del Novecento. 

Ha messo in piedi la scuola, 365 giorni all'anno per 24 ore al giorno. C'erano lezioni del priore, incontri con grandi personalità della Cultura, dibattiti su qualsiasi argomento importante, lettura quotidiana dei giornali. Non mancava l'insegnamento del catechismo, secondo un metodo molto efficace, legato alla presentazione storica dei personaggi e alla contestualizzazione delle parole. I bambini camminavano anche quattro ore al giorno per andare a scuola - non c'erano strade ma solo impervi sentieri - molti si fermavano a dormire nella povera canonica, aiutati e sorretti anche da Eda Pelagatti, la brava "perpetua" di Barbiana. La scuola era una semplice stanza, al centro c'era la famosa scritta "I care", "mi interessa, mi sta a cuore, "il contrario del motto fascista me ne frego" - usava ripetere don Lorenzo.

Dalla scuola sono nati due degli scritti più noti, Lettera a una professoressa e l'obbedienza non è più una virtù (ma la più subdola delle tentazioni). Nel primo si è messo in discussione il sistema scolastico italiano, sottolineando come l'incapacità di usare la parola sia lo strumento utilizzato dai potenti per schiavizzare i poveri. Nel secondo, che prende le mosse dal processo subito per vilipendio alle forze armate, si parla dell'eroismo dell'obiezione di coscienza al servizio militare e del coraggio dei disertori che in guerra preferivano morire piuttosto che uccidere dei giovani come loro. Molto interessante è il tema della nonviolenza e la condanna di ogni "guerra giusta", esclusa quella partigiana che ha portato la libertà e la cancellazione del veleno nazifascista.

E' incredibile quanto abbia influito la figura di don Milani nella società, nella chiesa e nella scuola. La sua testimonianza è stata breve, la malattia lo ha colpito nel pieno della sua gioventù e lo ha condotto alla morte a soli 43 anni, il 26 giugno 1967. Ma la sua memoria è più viva che mai. La sua canonica spersa sui monti è diventata meta di pellegrinaggi, recentemente ci sono passati il presidente Mattarella e papa Francesco. Chissà cosa avrebbe pensato don Lorenzo, se qualcuno gli avesse detto che nel luogo in cui era stato inviato per punizione, sarebbe passato perfino il vescovo di Roma, la guida della Chiesa cattolica universale!

Tutto questo e molto altro ricorderemo domani, presso Fondazione Friuli a Udine, alle ore 18, per iniziativa di quella bella associazione che è quella dei Toscani in Friuli. Veramente una bella occasione per ricordare e conoscere meglio il Priore di Barbiana, colui che ha scelto di essere sempre "dalla parte dell'Ultimo".  

martedì 20 maggio 2025

Quando una luce di pace?

 

Sembra proprio che l'umanità sia finita dentro un tunnel e, pur vedendo la luce, non riesca a venirne fuori.

Quello che sta succedendo a Gaza è assolutamente inaccettabile e ingiustificabile. No, non si dica che la causa è Hamas o che non si condannino sufficientemente gli attentati del 7 ottobre 2023. No, perché ciò che sta accadendo è totalmente sproporzionato e la sofferenza di migliaia di persone, soprattutto di tantissimi bambini, è uno scandalo che sconvolge lo stesso concetto di essere "umani". No, perché quasi tutti coloro che non possono accettare il genocidio in atto, hanno senz'altro deplorato la violenza che ha portato alla morte tanti giovani innocenti.

Ma come si può accettare il massacro in corso? Cosa si può fare per fermarlo? E' terribile l'impotenza della Comunità Internazionale, non nuova peraltro, ma tragicamente coerente con il sostegno dato a Israele anche di fronte alla distruzione dei villaggi palestinesi, agli insediamenti dei coloni e a ogni forma di persecuzione attuata non da oggi o da ieri, ma da almeno ottanta anni. 

L'altro fronte assurdo è quello dell'Ucraina, dove gli sforzi (?) di pace sembrano voler portare a una soluzione già prospettata ancora prima dell'inizio di questa guerra. Se così fosse, centinaia di migliaia di giovani sarebbero stati sacrificati assolutamente per nulla. Interessante è stata la proposta di negoziare la pace in Vaticano. Certo, sarebbe un bel segnale, anche se bisognerebbe vedere quali prezzi diplomatici dovrebbero poi essere pagati a Trump e agli altri pretendenti padroni del mondo.

Senza volergli dettare l'agenda, forse sarebbe meglio che il nuovo Papa Leone trasformi le parole in azione. Un suo viaggio - o almeno tentativo - a Gaza potrebbe veramente contribuire a rimescolare le carte e a fermare il genocidio. E un suo intervento presso i vescovi e il popolo cattolico di Ucraina potrebbe certamente aiutare a cercare delle soluzioni che vadano oltre al livello prettamente diplomatico. Il suo predecessore sembrava aver intuito che le parole ormai non bastano più, che occorrono i gesti eclatanti. E cosa più sconvolgente di un Papa che si macchia la veste bianca tra le macerie di Gaza?

Anche Nova Gorica e Gorizia, se vogliono davvero essere anche capitale europea della pace, devono darsi una mossa e proporsi come ideale luogo di trattative nel cuore stesso dell'Europa. Dicono di averlo già fatto, ma perché non ripetere la proposta - da parte dei sindaci Turel e Ziberna - di invitare i negoziatori proprio nella Capitale europea della Cultura?

Oppure anche ad Aquileia, crocevia tra nord e sud, este e ovest, pianure sarmatiche e Mediterraneo?

giovedì 15 maggio 2025

IO ANDRO' A VOTARE E VOTERO' SI'

Sì. 

Io voterò con convinzione SI' ai cinque quesiti del referendum che si terrà in Italia l'8 e il 9 giugno. 

Mi sembra giusto sostenere leggi che garantiscano il lavoro, scongiurino i facili licenziamenti, custodiscano il diritto alla sicurezza.

Mi sembra molto giusto che si dimezzino gli anni necessari per l'ottenimento della cittadinanza.

Voterò SI' perché ogni quesito è in linea con le mie idee, la mia concezione della vita, la mia posizione politica.

Detto questo, darei un consiglio d'amico, per far arrabbiare anche i miei compagni di strada.

Concentriamoci in ogni modo possibile sull'invito a votare SI', offrendo tutti gli strumenti necessari per una conoscenza approfondita dei temi e delle conseguenze dell'accettazione o del rifiuto dei quesiti referendari.

Ma non cadiamo nella trappola di identificare l'astensionismo con la mancanza di democrazia. 

Tale accusa, rivolta a chi fa propaganda per il non voto, favorisce proprio ciò che non si vorrebbe: dal punto di vista strategico, i già convinti non hanno bisogno di essere convinti, gli astensionisti apriori ovviamente resterebbero fedeli alla loro idea e gli incerti, infastiditi dall'insistenza sull'andare a votare, probabilmente deciderebbero di non andarci.

Dal punto di vista legislativo, quello del voto referendario non è mai stato un obbligo costituzionale o morale, a differenza di ciò che concerne le elezioni politiche e amministrative. Il "non voto" è di fatto considerato una scelta possibile e democratica quanto votare SI' o no, quella cioè di cassare una proposta referendaria attraverso il non raggiungimento del quorum (che esiste proprio per questo).

Dal punto di vista morale, attenzione a dare lezioni: in ogni referendum c'è stata una posizione astensionista, sostenuta dalla destra o dalla sinistra o dal mondo cattolico, a seconda del quesito referendario. Per esempio, perfino la Conferenza Episcopale Italiana "obbligò" ufficialmente i fedeli cristiani a non andare a votare, in occasione dei referendum relativi alla procreazione assistita! In altre parole tutti - anche Levica in occasione del referendum in Slovenia della scorsa domenica - hanno usato l'astensione come strategia e proposta politica in occasione dei referendum.

Procediamo dunque con decisione e creatività nell'invitare gli elettori a votare SI', ma lasciamo perdere il rilascio di patenti di democrazia. Queste potranno essere revocate a un numero sempre maggiore di cittadine e cittadini, ma per ben altri motivi rispetto all'invito a non partecipare a questo specifico voto.

domenica 11 maggio 2025

Gorici, le/la capitale europea della Pace? Sì, ma come?

 

Mettete dei fiori nei vostri cannoni! Cantavano i Giganti nei gloriosi anni '60. 

Ma come rendere concreta la parola "pace"? Come far sì che "la pace sia con voi" non sia molto più che un saluto all'inizio di una celebrazione?

E' difficile dare risposta a queste domande, ma una realtà concreta da proporre c'è, eccome!

Nova Gorica con Gorizia capitale europea della Cultura. Lo si è detto molte volte, ma dal punto di vista pratico, al di là di qualche pur importante marcia e di un assai interessante convegno, non si è ancora manifestato tutto il potenziale di pace insito nella scelta di nominare punto di riferimento per l'intera Europa una terra straordinaria. Dove la diversità è stata osteggiata e vilipesa, dove è scorso tanto sangue a causa del nazionalismo e del razzismo, ora si vuole porre uno strabiliante segno di come invece essere insieme, uniti nella valorizzazione delle differenza, sia la condizione per generare cultura, arte, accoglienza, autentica umanità.

Ma occorre un ulteriore salto di qualità. Questa/e città senza più barriere deve diventare il luogo in cui decine di migliaia di persone, soprattutto giovani, vengono da ogni parte per gridare il loro no alla guerra, al genocidio di Gaza e a tutti i genocidi, all'assurdo riarmo che sembra una priorità di un'Unione in crisi... Deve diventare il posto ideale per avviare le trattative tra rappresentanti di  popoli in guerra. I sindaci, il gect, GO2025 possono invitare le delegazioni di Ucraina e di Russia, dare la cittadinanza onoraria ai Palestinesi senza Patria, porre grandi segni politici capaci di far saltare sulle sedie i padroni del vapore?

E' da cogliere questa incredibile occasione. Gorici (=le due Gorizia) capitali europee e mondiali della pace. Sono solo parole o ci si può muovere davvero in questo senso? Ma non solo con incontri e convegni per gli addetti ai lavori, ma con un grande investimento per aiutare ogni cittadina e cittadino a essere pienamente consapevole della responsabilità che lo investe, di essere, nel suo piccolo, enorme costruttore di pace nel mondo. 

Basta con le parole, è ora di diventare operativi. Ben vengano concerti e conferenze, ci siano manifestazioni di ogni tipo, con un immenso grazie a chi organizza e promuove. Ma per costruire la dvojna (doppia) città della pace occorre un ulteriore soprassalto di creatività, di idee e di impegno.

giovedì 8 maggio 2025

La pace sia con voi! Da Pietro a Leone XIV

 

Mai come in questa occasione, l'attenzione dei media è stata centrata sul Conclave, evento molto emozionante nella sue essenza tradizionale. 

Pietro è stato la prima guida della chiesa di Roma, fino al martirio, subito nel Circo Vaticano. Il cattolicesimo ha riconosciuto nelle parole attribuite a Gesù nei vangeli, il mandato affidato all'apostolo di essere "pastore" dell'intera comunità ecclesiale.

E' stato sepolto in tutta fretta con la più semplice delle sepolture possibili, la tomba alla cappuccina, quella dei più poveri dei poveri. Il luogo è stato venerato nei primi tre secoli, poi incorporato in uno scrigno di marmo nero voluto da Costantino che ha fatto erigere la prima basilica vaticana. E' stata riaperta dagli studiosi solo nel 1943, dopo lo sblocco degli studi scientifici relativi alle origini cristiane, uno dei casi archeologici più interessanti del XX secolo.

E' impressionante pensare al contrasto tra la semplicità dei primi passi, il coraggio della comunità romana perseguitata nei primi suoi momenti e l'immensa trionfante, sovrastante cupola di Michelangelo e del tempio rinascimentale. Così come è suggestivo immaginare la differenza tra quel primo momento di sofferenza, persecuzione e forza interiore costituito dalla crocifissione di Pietro e il sistema di potere che oggi caratterizza l'elezione del suo successore, accompagnato dalle bande militari e dagli onori riservati a un Capo di Stato.

Ecco, tutto ciò per introdurre la figura e il nome del successore del primo papa Pietro e dell'ultimo Francesco. E' Robert Francis Prevost che ha preso il nome di Leone XIV. Un papa agostiniano. E' uno statunitense che ha preso un nome molto impegnativo. Leone I Magno fermò Attila sul Mincio, all'inizio del cristianesimo imperiale, Leone X fu uno dei più controversi papi del potere rinascimentale, Leone XIII fu il papa della Rerum Novarum, ma anche dalla condanna del modernismo. Nel suo abito, per la presentazione al popolo, è ritornato alla tradizione pre-papafrancescana, con la stola portante i segni pontificali. Le sue parole iniziali sono state molto belle: la pace sia con voi! Dio ci vuole bene, il male non prevarrà. Sembra una persona molto seria, forse non avrà il carisma immediato del predecessore, ma certamente potrà portare un contributo di forte pensiero all'interno di una Chiesa "che costruisce ponti ed è aperta al dialogo". Un discorso sicuramente più da guida sicura che cerca l'unità della Chiesa  che da sperimentatore di nuove strade di collegamento con le altre confessioni cristiane, con le religioni e con il mondo contemporaneo. Forte discontinuità con Francesco, in questa prima immagine... 

Sarà un costruttore di unità a scapito della forza di Riforma oppure sarà un grande Riformatore, rischiando se necessario anche uno scisma? Sarà in rotta di collisione con il nuovo Attila Trump, il potere statunitense e i potenti della Terra oppure sarà un elemento di compromesso, nella speranza di una pacificazione. 

Alle prossime ore ulteriori commenti e interpretazioni.

domenica 4 maggio 2025

Le innumerevoli risorse di Kostanjevica

 

In tempi complessi, c'è bisogno di alimentare la mente e il cuore con iniezioni di bellezza, tanto più nell'anno della Capitale europea della Cultura. Per chi vive a Gorizia e Nova Gorica, c'è una miniera sempre aperta, dove poter scoprire nel corso di ogni visita qualcosa di nuovo. Ma c'è anche una guida impareggiabile, Mirjam Brecelj che conosce tutti i segreti del luogo e ogni volta aiuta a scoprire ciò che in precedenza era rimasto nascosto.

Il consiglio, in questi primi giorni di maggio, è quello di andare a Kostanjevica, anche per gustare la simpatica e intelligente accoglienza dei padri francescani. E' aperto il magnifico roseto con le rose Bourbon. Il loro nome non deriva,come molti pensano, dalla particolare predilezione di mostrata dall'ultimo re di Francia borbone per il santuario, ma da un'isola sperduta, oggi chiamata Reunion, tuttora dipartimento francese nell'Oceano indiano. 

La diversità di colori e di profumi non può essere descritta, non si può fare altro che entrare nel giardino e lasciarsi cullare, contemplando dall'alto la bellezza della città vecchia, abbarbicata intorno al castello. 

Ma Kostanjevica, il colle delle castagne che peraltro non ci sono più, non è soltanto esplosione primaverile della natura. C'è un'assai interessante e ben custodita biblioteca che conserva decine di incunaboli, testi in molte lingue, libri liturgici, filosofici e storici. Tra essi c'è la grammatica slovena di Adam Bohorič, stampata nel 1584, con una dedica manoscritta dello stesso autore. Già di per sé testo stampato raro e quasi introvabile, l'autografo ne sottolinea l'eccezionale importanza per quanto riguarda la storia della lingua e della letteratura slovena.

Naturalmente il santuario, conosciuto a Gorizia con il nome di Kapela, sorto sulla memoria di presunte apparizioni e fenomeni soprannaturali verificatisi oltre quattrocento anni fa, è celebre a livello europeo perché ospita la tomba di Carlo X, morto a Gorizia, nel palazzo Coronini, nel 1836, dopo essere stato costretto a un avventuroso esilio. accanto al suo massiccio sarcofago, ce ne sono altri che custodiscono i corpi di familiari e collaboratori dell'ultimo re della dinastia dei Borboni.

I campi che circondano santuario e chiesa sono molto ben coltivati dagli ospiti della Comunità Incontro. Lo sguardo si spinge oltre e raggiunge la foresta dello stupendo parco di Villa Rafut, un polmone verde appena risistemato e inaugurato che ha come suo centro focale la casa in fogge orientali costruita su disegno del grande architetto sloveno goriziano, anzi sanroccaro Anton Laščak. Il destino gli ha impedito di godere dell'edificio realizzato per trascorrere in serenità, in mezzo alla natura, gli ultimi anni della sua vita. Ma la sua opera, come tante altre diffuse da Alessandria d'Egitto fino a Istanbul, resta una perenne testimonianza e memoria.

Buona parte del complesso è stata distrutta dalle bombe nel corso della prima guerra mondiale. Rimangono intatte le molto suggestive cantine e qualche parte della chiesa, ristrutturata e resa di nuovo bella grazie alla ricostruzione postbellica.

Perché sottolineare solo all'ultimo posto la stupenda chiesa, vero cuore pulsante del santuario? Perché è lì che nell'ultima visita, sempre grazie alla guida di Mirjam, ho scoperto un nuovo aspetto, sfuggito nelle tante visite precedenti. Sono splendidi gli stucchi, sotto il coro, belli gli affreschi sopravvissuti nel presbiterio, dolce la Madre di Dio che sorride con il bimbo da un medaglione sopra l'altare, "salus populi goritiensis" si potrebbe definirla. 

Ma chi poteva immaginare la presenza di un'opera di quell'assoluto genio architettonico e artistico che è stato Jože Plečnik? Oltre ad aver contribuito in modo determinante alla ricostruzione di Lubiana dopo il terremoto del 1895, ha lasciato innumerevoli segni della sua presenza in tante capitali europee. Sono da visitare tante sue chiese, nella capitale slovena ma anche in tanti luoghi più o meno conosciuti, come per esempio a Ponivke, sull'affascinante altopiano della Šentviska gora. Ma chi si poteva aspettare un moderno battistero attribuito a Plečnik nei pressi dell'altare della chiesa dedicata a Maria in Kostanjevica? E'una bellissima opera, dorata e argentata, che da una parte richiama le parole inconfondibili del battesimo di Gesù "in acqua e fuoco", dall'altra, rappresentando i simboli delle costellazioni, collega la celebrazione cristiana del battesimo alla solennità dell'inizio di una nuova vita. E' un'avvincente e convincente testimonianza dell'inchino al mistero dell'essere, portato da un punto di cista religioso, ma soprattutto artistico, laico e umano. Veramente da non perdere!

lunedì 28 aprile 2025

Roma senza Papa...

Per la Chiesa cattolica, il periodo della “vacanza” è quello che intercorre fra la morte o dimissione di un vescovo di Roma e l’elezione del successore. E’ un momento molto particolare, nel quale si rincorrono le voci e impazza il totopapa. Difficile è esimersi dal commentare e dal provare qualche tentativo di analisi, a livello più giornalistico che di approfondimento della fede.

Una volta terminate le solenni esequie, si comincia anche ad affrontare un’analisi meno immediatamente coinvolta delle azioni e delle parole dello scomparso, anche per cogliere gli elementi essenziali dell’eredità affidata a colui che ne prenderà il posto. L’entusiasmo quasi unanime che ha accompagnato la morte e i funerali di Francesco è la cifra dalla quale partire per comprendere meglio ciò che in quest’ultimo decennio è accaduto.

Dai media sono scaturiti fiumi di espressioni colme di retorica, dal papa degli umili a quello degli ultimi, da quello della gioia a quello della pace. Ma quanto ha inciso veramente il suo magistero, nel mondo e nella Chiesa?

Sicuramente è stato più amato fuori dalle cerchie ecclesiastiche che al loro interno. Aiutato da un sostegno mediatico “laico” superiore a quello riservato a qualsiasi altro predecessore, ha sicuramente potuto sottolineare con forza alcuni gangli vitali del mondo contemporaneo. Ha parlato di pace e di trattativa come ineliminabile strumento per risolvere la guerra in Ucraina, anche se dal punto di vista pratico i suoi sforzi – mediati dalle infruttuose missioni del cardinale Zuppi – non hanno ottenuto nemmeno l’appoggio dei cattolici ucraini. Ha denunciato con chiarezza il “crimine” e il “terrorismo” degli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, arrivando vicino a pronunciare la parola “genocidio”. Non si è mai stancato di parlare a favore dei migranti e all’obbligo dell’accoglienza e dell’assistenza, anche in questo caso ottenendo giustamente grande simpatia da parte di chi fa salti mortali per salvare le vite nel Mediterraneo e nei Balcani. Ma anche in questo caso non ha ricevuto in cambio altro che imbarazzate ma quasi amichevoli pacche sulle spalle da sindaci e governanti nazionali e internazionali, pronti a saltare sul suo carro prima ancora della sepoltura. Si è pronunciato molto sulla necessità che gli Stati garantiscano i fondamentali diritti alla vita, alla libertà e alla giustizia sociale, proponendo un alto magistero, forse un po’ indebolito dal suo essere, al pari dei suoi collocutori, un Capo di Stato. E di uno Stato assai importante, crocevia di problematiche economiche, politiche e culturali tutt’altro che trascendenti. Hanno destato molta attenzione le sue encicliche, prime fra tutte la Laudato sii e Fratelli tutti, piene di forti raccomandazioni riservate alla custodia del creato e alla fraternità e sororità universali. Anche in questo caso, le sue proposte hanno suscitato molto più consenso che dissenso, senza che per questo divenissero spunto di studio a livello accademico internazionale, orientamento scientifico sul quale improntare le scelte planetarie dei prossimi decenni e secoli. La reiterata denuncia dei produttori e dei venditori di armi – convenzionali e di distruzione di massa - non è arrivata fino al punto di chiedere la distruzione di tutti gli arsenali esistenti e la riforma degli statuti delle Nazioni Unite. E forse per questo in piazza san Pietro l’altro giorno c’erano molti rappresentanti di tante Nazioni, iperintrallazzate proprio con gli interessi legati al commercio degli strumenti di morte. Molto apprezzato è stato anche l’interesse attivo e costruttivo nei confronti dei più deboli della terra, anche questo tuttavia accompagnato dalla difficoltà di trasformare una Chiesa cattolica straricca, proprietaria di beni mobili e immobili giganteschi, in quella che Francesco avrebbe voluto come “Chiesa povera tra i poveri”. In sintesi, le parole programmatiche pronunciate sull’aereo, al ritorno da uno dei tanti viaggi intercontinentali e riferite a tutt’altro contesto, possono rilevare la forza e la debolezza di questo pontificato, dal punto di vista della politica estera: “voglio una chiesa senza banca vaticana”? Il che vuole dire affascinante e simpatetico nuovo modo di guardare a un mondo post e ultramoderno in evidente difficoltà, ma anche potrebbe voler rilevare l’impotenza nel voler affrontare e superare le dinamiche più complesse.

E qui si entra nel secondo capitolo, quello relativo alla partecipazione interna alla vita della Chiesa cattolica. Anche se ora quasi tutti osannanti, molti sono coloro che negli ultimi anni hanno espresso dubbi sulla conduzione “ecclesiastica” di papa Francesco. C’è stata un crescente critica tradizionalista, da destra, relativa più agli atteggiamenti che alle deliberazioni della santa sede. Si è rilevato come la semplicità estrema dei gesti simbolici papali – dalla famosa valigetta portata in aereo senza portaborse alle utilitarie (pur scortate da cortei di auto blu) – abbia messo in pericolo il concetto di sovranità e di infallibilità attribuiti al capo della Chiesa dal Concilio Vaticano I. Si è fatto presente il vero e proprio rovesciamenti di interesse accaduto dopo la repentina dimissione di Ratzinger: se il vecchio Benedetto XVI sottolineava l’importanza prioritaria della fedeltà alla Verità custodita autorevolmente dalla Chiesa cattolica, il suo successore fin dal dialogo con Eugenio Scalfari ha manifestato la sua simpatia per la relazione con l’altro, condizione previa a qualsiasi imposizione dogmatica. Se per il secondo c’erano i principi non negoziabili legati al concetto medievale di “natura”, per Francesco era evidentemente molto più importante non negoziare i temi legati alla pace, allo sfruttamento dei poveri e al rifiuto dell’accoglienza dei migranti. Se per Benedetto XVI, ispiratore della Dominus Jesus di Wojtyla, il cristianesimo ere l’unica via per un pieno rapporto con il divino, per Bergoglio ogni religione, a determinate condizioni, è una strada per arrivare a Dio. E così via, con mille altri possibili esempi. D’altra parte, anche se in misura minoritaria, c’erano anche i contestatori progressisti, da sinistra, che rimproveravano al papa l’incapacità o la mancanza di volontà nel trasformare le grandi intuizioni preannunciate attraverso le scelte personali in normativa di diritto canonico, in grado di rivoluzionare realmente e fino in fondo la Chiesa cattolica. Non si è arrivati ad affrontare e avviare una riflessione sul sacerdozio cattolico femminile, sulle tematiche legate al celibato obbligatorio per i ministri ordinati, neppure perfino alla liberalizzazione della comunione per i fedeli divorziati risposati. E non si possono passare sotto silenzio anche alcuni motivi concreti di imbarazzo e perplessità, in particolare – per citarne solo due – le ritrosie nel portare finalmente a piena luce le incredibili zone di buio del caso Emanuela Orlandi e le sostanziali ambiguità espresse di fronte all’imbarazzante caso Rupnik, addirittura con il mancato ascolto delle donne coinvolte negli abusi da esse denunciati. Comunque, dando uno sguardo positivo all’insieme di un pontificato che ha avuto senz’altro molte più luci che ombre, si potrebbe dire che la posizione di Francesco indicherebbe una strada radicalmente nuova, quella di un cristianesimo “federale”, di una considerazione egalitaria della relazione con le religioni e di un rispetto profondo e dialogante con le nuove istanze dell’ateismo moderno. Francesco avrebbe voluto arrivare fino a questo punto? O forse, si è limitato a suggerire sommessamente la via, lasciando le scelte ai suoi successori, rendendosi conto che una simile Riforma avrebbe richiesto lo smantellamento del Potere della cattolicità nel mondo attuale, la revisione dell’esistenza stessa della Città del Vaticano, la perdita di prestigio e privilegio in numerosi Paesi del mondo capitalista?

A parte il manipolo di poveri che hanno atteso la salma di Francesco a Santa Maria Maggiore, i funerali di piazza san Pietro e l’attesa frenetica del nuovo Conclave e dei suoi secolari rituali, sembrano per ora riportare l’orologio della Chiesa cattolica al momento delle scelte precedenti. La grande maggioranza di cardinali scelti da Bergoglio induce a immaginare un nuovo papa non troppo distante dai “desiderata” del “transitato”. Tuttavia la difficoltà starà nel decidere se appunto radicalizzare le posizioni di Francesco e creare le condizioni per una nuova Chiesa, finalmente, dopo più di 1700 anni post-costantiniana, con annesso possibile scisma dei tradizionalisti. Oppure cercare una soluzione di mediazione, attraverso una diplomazia in grado di ricostruire ponti e relazioni con chi in questi anni ha storto il naso, rischiando però l’intiepidimento e la delusione di coloro che in questi dieci e più anni, hanno comunque sentito il papa “vicino” alle ong sulle navi del Mediterraneo, ai migranti rinchiusi nei Centri per il Rimpatrio, agli obiettori di coscienza e al mondo ecologista. Ai tantissimi cioè che – in questi giorni di distacco – hanno detto quasi sempre le stesse parole: “io non sono credente e non mi sono mai interessati agli affari della Chiesa, ma rispetto come grande essere umano la figura e l’opera di papa Bergoglio”.

venerdì 25 aprile 2025

Buon 25 aprile 2025! La Resistenza, patrimonio dell'umanità

Monumento ai caduti partigiani, sloveni e italiani, nel cimitero di Nova Oselica

 Degli orrori del nazismo e del fascismo ci sono infinite tragiche memorie ovunque. In questo 25 aprile, ottanta anni dopo, si è chiamati a ricordare i valori della Resistenza, soprattutto il sacrificio di coloro che hanno rischiato e perso la vita nella lotta per la Liberazione.

L'opposizione al fascismo nel Regno d'Italia è stata opera di politici e intellettuali illuminati - come Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci e molti altri. In forma organizzata è iniziata con l'azione di cittadini italiani di nazionalità slovena, che hanno combattuto già dall'inizio del secondo decennio del Novecento per difendere la lingua, la cultura e la coscienza del popolo sloveno. Tra loro ci sono i fondatori del movimento TIGR, fondato nel 1927 nella riunione sul Monte Nanos. Tra essi sono da ricordare i giovani di Basovizza e quelli di Opicina, fucilati dai fascisti a Basovizza e a Opicina, dopo i due processi farsa di Trieste. Non è stato attribuito loro il titolo di eroi dell'antifascismo, l'Italia li ricorda ancora come "terroristi", nonostante l'omaggio congiunto dei presidenti Pahor e Mattarella di tre anni fa. Ci sono anche tanti altri caduti, prima ancora dello scoppio della guerra, il mite musicista e maestro di coro Lojze Bratuž, trascinato via dalla messa del 27 dicembre 1937, costretto a bere olio di ricino mescolato con olio di motore e morto un paio di mesi dopo, con tremendi dolori, nell'ospedale di Gorizia. Anche la moglie, la poetessa Ljubka Šorli, è costretta all'arresto, alla tortura e all'internamento.

Sono da ricordare anche coloro - partigiane e partigiani - che hanno disertato dall'esercito italiano prima dell'8 settembre 1943, per militare nelle formazioni dell'esercito di liberazione jugoslavo, come pure quelli che - a partire dalla battaglia di Gorizia - sono entrati nei movimenti della Garibaldi e dell'Osoppo per combattere contro l'occupatore nazi-fascista nei quasi due anni successivi.

Della loro vita sui monti rimangono tanti segni che non devono essere semplicemente trattati come una sorta di archeologia moderna. Sono invece testimonianze estremamente vive dell'orrore che può scaturire dalla dimenticanza dei valori umani, come pure dell'eroismo di chi ha cancellato quell'orrore combattendo contro eserciti dalle forze preponderanti. I luoghi che ricordano gli stermini di massa e quelli che raccontano l'epopea partigiana dovrebbero essere valorizzati come patrimonio immateriale, ma anche monumentale, dell'intera umanità.

Celebriamo questo 25 aprile 2025 con un particolare invito alla vigilanza. Il razzismo, la xenofobia, la mancanza di rispetto per i valori culturali, religiosi, filosofici, sembrano essere tornati fuori dai sotterranei della storia. C'è da preoccuparsi per la risorgente nostalgia per le epoche oscure delle dittature, per la rinascente venefica voglia di menare le mani, a livello interpersonale e internazionale. 

La stessa strumentalizzazione incarnata nella decisione dei cinque giorni di lutto - in un Paese sedicente laico! - per la morte di papa Francesco sembra andare nella direzione della deprivazione dell'importanza della ricorrenza del 25 aprile. Celebrarlo nel migliore dei modi è invece, per coloro che lo desiderano, la forma più adeguata per ricordare un uomo che ha dedicato una parte cospicua del suo magistero alla pace, al disarmo, all'accoglienza dei migranti, alla scelta dei poveri e alla giustizia sociale.

lunedì 21 aprile 2025

Grazie Francesco!

 

Nella luce sfolgorante della Pasqua appena celebrata, la notizia tanto temuta quanto purtroppo da tempo attesa. 

Dopo Francesco, nulla sarà come prima.

Il "buon giorno" si è sentito fin dalle prime parole del nuovo Papa, quando ha salutato nel modo più quotidiano la folla che attendeva la sua uscita sul balcone di San Pietro, subito dopo l'elezione.

Dal punto di vista umano, è stato un vescovo di Roma profondamente inserito nelle dinamiche del mondo attuale, con scelte dirompenti proprio a causa della loro normalità. Un papa che viaggia con l'utilitaria, che porta la sua valigetta salendo le scale per entrare nell'aereo, che telefona ai genitori affranti per la morte di una figlio, che abbraccia i personaggi più lontani dalla Chiesa... Tante sono le immagini che si rincorrono pensando a questa decina di anni di assai originale e avvincente pontificato.

E' molto importante tuttavia cogliere l'importanza dei segni "personali". Non c'è più il "pontifex" dal sapore imperiale, nemmeno il "vicario di Cristo" o il "santo padre". C'è un uomo che con la sua debolezza e fragilità guida l'organismo di una Chiesa che non pretende più di essere l'unica depositaria della Verità. C'è un costruttore di pace, instancabile nel contestare la guerra, la produzione e il commercio delle armi, come pure l'egoismo dei ricchi che non accolgono e respingono coloro che bussano alle porte dei Paesi dell'opulenza, cercando rifugio, pane e speranza di futuro. C'è un teologo che rilegge il Vangelo nelle dinamiche dello spazio e del tempo, con accenti nuovi che privilegiano la verità della relazione con l'altro piuttosto che quella del dogma. C'è una persona in dialogo con tutti, che riconosce il pluralismo religioso come un grande valore e contempla in esso il disegno di un Dio che appartiene a ciascuno ma non può essere strumentalizzato da nessuno.

Con il suo esempio Francesco ha permesso di intravvedere una nuova Chiesa, riscoprendo le fondamenta antiche dei primi secoli piuttosto che i fasti di potere che l'hanno caratterizzata da Costantino in poi. Entrano in discussione dogmi consolidati, dall'infallibilità del papa all'unicità della salvezza in Cristo, dal senso e forma del ruolo sacramentale del ministero ordinato alla valorizzazione della libertà di coscienza, dall'autorevolezza dell'interpretazione magisteriale della Scrittura alla partecipazione di ogni essere umano alla realizzazione di una Chiesa non più settaria, ma confederata con le altre confessioni e religioni per la comune costruzione della nuova civiltà dell'amore.

Non può mancare ora una riflessione sul prossimo futuro. Che cosa accadrà? Chi sarà il nuovo Papa? Continuerà sulla via di una Riforma che per ora si è manifestata soltanto nella buona volontà e nella chiara intenzione di Francesco? I fermenti di contrarietà che si sono moltiplicati in questi ultimi anni - soprattutto negli ambienti tradizionalisti, ma anche in quelli progressisti che si sarebbero attesi svolte operative più concrete - esploderanno dentro il conclave? Vincerà la linea "bergogliana", sicuramente numericamente maggioritaria? In questo caso, l'eletto, oltre che seguire le orme del predecessore, convocherà l'attesissimo nuovo Concilio per dare alle intuizioni intravviste forma e normativa definitive? Oppure ci si deve aspettare un movimento di riflusso, magari giustificato dalla necessità di evitare un inevitabile scisma? O ancora, si vorrà prendere tempo scegliendo la classica figura di "transizione"?.

E' in ogni caso un'eredità complessa e delicata, soprattutto tenendo conto dell'urgenza di tempi nei quali si fanno sempre più numerosi i sinistri segnali della minaccia della guerra e dell'involuzione dell'umanità in una società senza diritti, alla mercé del più forte di turno. 

Quella di Francesco è stata in questo periodo senz'altro una delle poche voci autorevoli capaci di richiamare la necessità della pace, del disarmo e della fraternità universale. Il Mondo si risveglia da questa Pasqua con un senso di ulteriore smarrimento, di incertezza e di paura. Ma forse, il modo migliore per ricordare papa Jorge Mario Bergoglio è quello di assumere la sua proposta giubilare di speranza: non il facile ottimismo dell'incoscienza, ma l'intenso impegno, una vita spesa a contrastare l'odio con l'amore, la vendetta con il perdono, il male con il bene. 

domenica 20 aprile 2025

Velika noč, Pasqua 2025

La parola Pasqua deriva dall’ebraico antico e significa “passaggio”.

E’ uno dei miti fondatori dell’autocoscienza del popolo di Israele, fondato sul racconto biblico dell’Esodo. Secondo la ricostruzione teologica dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme, dopo trecento anni di permanenza in Egitto, i discendenti del patriarca Giacobbe sarebbero stati miracolosamente liberati dalla schiavitù. Guidati da Mosè e assistiti dal “loro” Dio, avrebbero provocato una decina di sciagure sui sudditi del faraone, attraversato il Maro Rosso spalancato davanti ai loro occhi increduli e rinchiuso sui carri e cavalli del Potere, trascorso quaranta anni nel deserto del Sinai prima di approdare – non senza conflitti con le popolazioni locali – nella Terra Promessa. Ogni anno il pio israelita rivive tutte queste vicende celebrando il rito della cena pasquale, nel corso della quale non solo “ricorda”, ma anche rende di nuovo presente tutto ciò.

I cristiani si collegano direttamente con l’antico Israele, dal momento che nel corso di una cena pasquale, Gesù avrebbe sostituito il sacrificio dell’agnello con quello della sua stessa vita. Nello stesso tempo, avrebbe indicato nella condivisione del pane e del vino la sua presenza nel tempo e nello spazio. Il rito eucaristico, nelle intenzioni della testimonianza della comunità cristiana della fine del I secolo raccolta nei quattro vangeli, avrebbe quindi lo scopo di rendere di nuovo presente, sotto forma di memoria, l’arresto del Maestro nel Getzemani, la salita al Pretorio, i dialoghi con Ponzio Pilato, gli stracciamenti di vesti di Caifa e dei sacerdoti, la via crucis, la deposizione nel sepolcro e la risurrezione, all’alba del giorno di Pasqua.

Il mito è la narrazione che stabilisce una specifica identità storica, il rito il gesto che lo vivifica nel corso degli anni. Quando il rito perde di intensità o si cristallizza nel formalismo, il mito tende a scomparire dall’orizzonte della storia, così come la dimenticanza del mito, nel tempo trasforma il rito in folklore. E’ ciò che sembra accadere anche al cattolicesimo contemporaneo. La maggior parte dei sedicenti fedeli non conosce più il valore del rito – basti pensare al fatto che una minima percentuale partecipa alla più importante celebrazione dell’anno, quella della notte del sabato santo – di conseguenza non attinge più i criteri etici, estetici e logici dal mito. E’ forse per questo che in un Paese nel quale tuttora la stragrande maggioranza delle persone risulta battezzata e una molto minore percentuale praticante, sorprende il fatto che sia così poco presente la dimensione della Speranza e della Misericordia, valori che dovrebbero derivare direttamente dalla fede in una misteriosa e peraltro creduta reale Risurrezione dalla morte.

Ed è così che proprio da chi dovrebbe realizzare nella propria vita gli ideali del vangelo giunge una clamorosa contro-testimonianza. Se il vangelo presenta un Gesù che predica la nonviolenza assoluta (porgi l’altra guancia…), gli assertori dei “valori cristiani” propongono il riarmo dell’Europa come difesa della sua presunta “identità”. Se il Nazareno mette in discussione ogni forma di Potere, molti neocristiani sono piegati davanti alla potenza del Capitalismo. Se il Maestro abbraccia e accoglie ogni essere umano, i politici che si ispirano alla fede cristiana costruiscono campi di concentramento in Albania e rafforzano le sbarre dei Cpr, dove sono rinchiusi i migranti.

Solo se si affermeranno la pace e la nonviolenza a costo di perdere la propria vita, solo se la giustizia e l’accoglienza trionferanno sugli squallidi interessi economici e pseudopolitici, il rito tornerà a essere significativo e il mito rinnoverà la sua immensa originaria forza vitale.

Buona Pasqua allora!

sabato 19 aprile 2025

Isonzo Soča 119, istruzioni per l'uso, navodila za uporabo

La bellissima copertina, curata da Anton Spazzapan
 Martedì 22 aprile, alle ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia e Lunedì 5 maggio, alle ore 19 presso la Knjigarna Maks di Nova Gorica, sarà presentato il numero 119 di Isonzo Soča.

La rivista, fondata 35 anni fa da Dario Stasi, nel ricordo del suo direttore riprende il suo cammino, caratterizzata da continuità nella testata e nella numerazione, ma anche da alcune novità che vale la pena richiamare. Il pregevole formato cartaceo è accompagnato dal sito internet https://www.isonzo-soca.it/ dove è possibile trovare tutti i testi tradotti in italiano, sloveno, tedesco e inglese. 

La prima importante innovazione sta nel metodo di impostazione e preparazione del giornale. La proprietà è della famiglia Stasi che ha affidato il ruolo editoriale a Transmedia. Tutta la costruzione dell'impianto legale è stata curata da Boris Peric. C'è un direttore responsabile, come previsto dalle leggi italiane sulla stampa ed è il referente di questo blog, Andrea Bellavite di Gorizia. C'è anche un con-direttore, Miha Kosovel di Nova Gorica. 

Ogni numero viene ideato all'interno di un'assemblea generale bilingue, nel corso della quale si individuano i temi principali da trattare. E' da notare la forza comunicativa di un simile metodo, grazie al quale decine di persone rappresentative delle diverse culture di Nova Gorica e Gorizia si incontrano diverse volte nel corso dell'anno per "leggere" insieme le opere e i giorni. Poi una redazione ristretta assegna gli articoli, li raccoglie e prepara la pubblicazione, prevista in quattro numeri all'anno. I collaboratori del n.119 sono numerosi e trattano temi di carattere internazionale o locale. Oltre a giornalisti e opinionisti di grande esperienza e competenza, hanno offerto la loro disponibilità anche valenti disegnatori e fotografi impegnati nel "fissare" - tra gli altri - i momenti salienti dell'Evropska prestolnica kulture. La grafica è curata da Zvone Kukec, professionista di Global, il mensile di Mladina. Una speciale menzione va a Peter Abrami, Katarina Vizintin, Francesca Jancig, Paolo Hmeljak e tanti altri, senza i quali non sarebbe stato possibile giungere alla presente pubblicazione.

E' uno strumento di comunicazione che si propone di informare su tematiche varie, aperto al dialogo e al confronto, ma non superficiale. Ci sono documentate e precise posizioni relativamente ai temi del momento, quali ovviamente le guerre e i genocidi, le manifestazioni dei giovani in varie parti del mondo. Non mancano tematiche relative alle questioni del territorio, dal delicato tema delle memorie, trattato sia dal punto di vista (tradizionale in Isonzo Soča) della rigorosa ricerca storiografica che da quello delle prese di posizione più politiche, come per esempio la mancata cancellazione della cittadinanza onoraria a Mussolini. Non mancano spunti relativi alla cultura locale, dalle riflessioni filosofiche sulla terra di confine alle problematiche ambientali, da un magistrale focus dedicato al ponte di Salcano al flauto dei Neanderthal, tradizioni carnevalesche alle rubriche dedicate a cinema, libri, musica e arte contemporanea, dalla sottolineatura relativa a luoghi e volti del territorio alle iniziative laboratoriali e ai nuovi innovativi musei del Goriziano. C'è anche una pagina satirica con avvincenti vignette, spiritosamente denominata Corno/Koren.    

Un altro aspetto decisivo, last but non least, è la scelta del bilinguismo sloveno/italiano per ciò che concerne gli autori e del plurilinguismo per quanto riguarda i lettori. Ogni scrittore utilizza infatti la propria lingua, ma ogni testo può essere letto in quattro diverse lingue nel già citato sito https://www.isonzo-soca.it/ oppure attraverso un qr code collocato nella pagina dell'indice (pag.3).

Ecco alcuni spunti, di certo nella fretta di scrivere questo post ci si è dimenticati di qualcuno o di qualcosa, nel caso ci si scusa anticipatamente. Ora non resta che ringraziare di cuore ogni partecipante a questa "avventura che continua" e attendere martedì 22 sera per la presentazione ufficiale, alla quale tutte e tutti sono invitati.

venerdì 18 aprile 2025

Veliki petek, venerdì santo nell'anno giubilare

 

Ultima cena siriaca, particolare (coll. personale)
Il racconto evangelico delle ultime ore di amicizia tra Gesù, le sue amiche e i suoi amici, è pieno di espliciti riferimenti alla nonviolenza attiva.

Il gesto della condivisione del pane e del vino, prima della più tarda sacralizzazione, richiama il dono della propria vita "per tutti", come realizzazione della "salvezza" per ogni uomo.

A Pietro e agli apostoli che lo vorrebbero difendere nel Getzemani, il Maestro, curando il soldato colpito, ricorda che "chi di spada ferisce, di spada perisce".

Davanti a Pilato e a Caifa, si rifiuta di reagire alle loro provocazioni, richiama all'intelligenza e all'umanità chi lo percuote, domandandogli: "se ho fatto del male, dimostramelo, se no, perché mi percuoti?"

Nel cammino verso il Golgothà sorride nella sofferenza alla Madre, alla Maddalena e alle altre donne che lo accompagnano, allargando il suo dolore a una dimensione universale.

Sulla croce non invoca l'intervento degli eserciti celesti per sterminare i suoi persecutori, ma pronuncia soltanto parole di perdono: "Perdona loro perché non sanno quello che fanno".

Prolunga la logica delle sue profetiche parole: porgi l'altra guancia, chi vuol salvare la propria vita la perderà, chi la perderà la salverà, solo se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto.

Quanti venerdì santi personali si verificano in questo giorno dell'Anno Domini 2025. 

Quelli che arrivano nelle loro case attraverso parole e immagini ci conducono nella stessa terra di Gesù. Un governo criminale stermina donne e bambini nella Striscia di Gaza, giustificando un vero e proprio genocidio come spropositata reazione ai terribili attentati che hanno strappato la vita a qualche migliaio di giovani inermi.

In Ucraina le bombe russe cadono su ospedali e scuole, altri crocifissi insieme ai soldati russi e ucraini mandati al macello dai rispettivi capi politici, sotto lo sguardo quasi compiaciuto degli Stati Uniti e dell'Unione europea.

In altre parti del mondo i crocifissi sono altrettanti e anche di più, senza neppure l'"onore" di balzare alle cronache internazionali "coperte" da un sistema di comunicazione totalmente miope.

Riecheggiando il titolo del famoso testo di Lenin, ci si chiede "Che fare?"

La prima risposta è quella di imparare dal racconto dei Sinottici e di Giovanni: seguire l'esempio di Gesù, riproposto quasi duemila anni dopo da Gandhi: lasciarsi ferire guardando in volto con misericordia l'offensore piuttosto che colpirlo, morire piuttosto che uccidere, come gli eroi disertori della prima guerra mondiale che si rifiutavano di uscire dalla trincea perché non volevano ammazzare giovani "con il loro stesso identico umore ma con la divisa di un altro colore". La nonviolenza attiva come metodo di affronto delle relazioni internazionali e interpersonali in molte situazioni si è dimostrata più efficace di qualsiasi uso delle armi nei conflitti.

Ma questa risposta non è sufficiente. A livello personale, là dove si decide di pagare di persona la propria scelta, quella della nonviolenza attiva è la più importante e rivoluzionaria delle risposte possibili. Ma quando ci si trova davanti al sistematico uso della forza bruta nei confronti degli altri? Se vedo una persona che colpisce un innocente davanti ai miei occhi, cosa devo fare? Restarmene passivo e non fare nulla per impedirlo non è un atteggiamento accettabile e umano. E se un intero popolo soffre sotto la pressione ingiusta delle scelte politiche di un dittatore del proprio o di un altro popolo, è ancora giusta la scelta della nonviolenza? 

E' una domanda drammatica. Se la sono posta persone di pace come Dietrich Bonhoeffer, che dopo profonda riflessione interiore ha deciso di partecipare all'organizzazione dell'attentato a Hitler. Se la sono posta gli sloveni membri del Tigr, fucilati a Basovizza nel 1930 perché avevano tentato di contestare il disegno di cancellare dalla storia la cultura, la lingua e la storia del popolo sloveno. Se la sono posta tanti partigiani che hanno contribuito a rovesciare il fascismo e il nazismo nel corso della seconda guerra mondiale. E sicuramente se la pongono tanti che vedono i propri cari minacciati dalla forza oscura dei neonazismi e dei neofascismi del nostro tempo. E' sufficiente testimoniare con la propria decisione di essere uccisi piuttosto che uccidere? O in alcuni casi, con grande dolore, è necessario imbracciare il fucile? Ma, se accettiamo questa "triste e tragica necessità", fino a dove possiamo arrivare? Qual è il limite, il confine tra il livello della responsabilità individuale e quello dell'intervento sulla situazione complessiva.

Tutti questi interrogativi dipendono dal fatto che il Novecento non ha di fatto prodotto alcuna soluzione definitiva al problema, la cui unica soluzione possibile sta nell'evitare che si creino le situazioni di conflitto. Facile a dirsi... Ma lo avevano già detto in parte il presidente statunitense Wilson e papa Benedetto XV nel 1917: soppressione di tutti gli arsenali militari, costituzione di un'autentica Società delle Nazioni alla quale i singoli Stati avrebbero dovuto conferire la responsabilità della politica estera e della difesa del Pianeta, la realizzazione degli Stati Uniti del Mondo. Era ed è un'utopia, intesa come "eu-topia", cioè bel luogo e non come realtà impossibile da realizzare. Sono passati più di cento anni e non si è fatto quasi nulla per camminare in questa direzione.

Ed è per questo che anche nel Venerdì santo 2025 ci si trova costretti ancora a distinguere tra il nobile esempio personale, profondamente umano di Gesù sulla croce e la drammatica necessità di tutelare intere popolazioni inermi, minacciate nel loro stesso elementare diritto alla Vita e alla Pace.

martedì 15 aprile 2025

A "Gorici" la visita degli studenti di sloveno nelle università italiane

 

Gli studenti di sloveno al Kulturni dom di Gorizia
Graditissima visita nel Goriziano di una categoria assai particolare di studenti universitari, di tutte le età. Accompagnati dalle insegnanti, gli iscritti ai corsi di sloveno nelle università italiane hanno deciso di dedicare la loro annuale uscita alla Capitale europea della Cultura.

Dopo aver visitato il Trgovski dom di Corso Verdi e la luminosa biblioteca Feigel, lo scorso fine settimana si sono immersi nelle culture che caratterizzano con la loro diversità e mescolanza Gorizia e Nova Gorica. Hanno incontrato tanti personaggi interessanti, visto monumenti storici importanti, conosciuto la peculiarità di una terra dove troppo sangue è stato versato durante le guerre, troppe ingiustizie sono state perpetuate dal fascismo, troppe violenze hanno impedito per tanto tempo di riconoscere la straordinaria bellezza della natura e dall'arte. Hanno goduto della nuova situazione, nella quale il confine non è più una barriera, ma un passaggio, un ponte tra differenti lingue e concezioni della vita che ora si congiungono - o si dovrebbero congiungere - nell'accoglienza della responsabilità affidata dall'Europa.

Da dove sono arrivati professori e studenti? Dove si può studiare in Italia la lingua slovena? Forse a Trieste e a Udine? Vi chiederete coi... Eh sì, a Trieste e a Udine, ma anche a Padova, a Roma e a Napoli dove l'insegnamento dello sloveno è previsto all'Orientale da oltre 110 anni!

C'è da sorridere mestamente, se si pensa che nelle scuole italiane di Gorizia, città nella quale lo sloveno è la lingua di una parte cospicua della popolazione, in stretto rapporto con Nova Gorica, dove quasi tutti lo parlano come lingua madre, non esiste l'opportunità di poter affrontare un corso curricolare adeguato.

Un grande grazie ai corsisti per la loro visita e l'invito a essere di nuovo quanto prima fra noi. Non bastano tre giorni per conoscere e amare questo meraviglioso territorio. Ma in tre giorni se ne può avere un'idea e coltivare il desiderio di ritornare. Najlepša hvala vsem!

domenica 13 aprile 2025

La domenica delle Palme, tra "osanna" di pace e "crocifiggi" di guerra

 

Monumento a Filippo Corridoni, particolare
L'ulivo e la quercia, i simboli della pace e della forza, ricordano molto gli avvenimenti celebrati nella domenica delle Palme.

Secondo i vangeli, Gesù entra trionfalmente in Gerusalemme, acclamato dagli osanna di una folla entusiasta che agita palme e ulivi e stende mantelli sotto gli zoccoli dell'asino da lui cavalcato. Bastano pochi giorni e gli osanna si trasformano nell'urlo "crocifiggilo", il Maestro è impallinato dai sacerdoti, condannato da Pilato e massacrato dalla stessa folla informe che vuole la sua morte.

Quanto rapidamente cambiano gli umori della gente! I milioni di fascisti del 10 giugno 1940 si trasformano in convinti antifascisti il 25 luglio 1943. Dei 150 milioni che nel mondo, il 15 febbraio 2003, hanno sfilato contro la guerra in Iraq ora una buona parte si schiera a favore del riarmo dell'Unione europea, ovviamente - ci mancherebbe altro - in funzione della difesa delle diverse patrie.

Nel giorno dell'innalzamento e del quasi contemporaneo abbassamento di Gesù, mentre nelle chiese ovunque si ripete il rito e si agitano con gioia i rami d'ulivo, le bombe seminano morte a Gaza e in Ucraina, le ghiande cadono dalla quercia, l'ulivo appassisce e la pace sembra veramente molto lontana.

Sembra di essere ancora all'epoca delle caverne, la propria grotta deve essere a ogni costo difesa, costi quel che costi. Poi è il clan a lottare contro l'altro clan, le tribù della Terra si scontrano per conquistare nuovi pascoli, chi è con noi è con noi, chi è contro di noi è contro di noi. Arrivano i popoli, ciascuno crede di essere l'unico e prevale la legge del più forte, pogrom, massacri, genocidi, non hai la mia fede, non sei degno di vivere. E poi le Nazioni che credono di essere più forti e coraggiose delle altre, si sentono più importanti dell'Umanità in quanto tale. C'è sempre bisogno di qualche aggettivo - italiano, tedesco, brasiliano, pakistano, ivoriano... - per far dimenticare che prima di esso c'è sempre la fraternità universale. E ci si scanna, perché la mia Nazione merita di vivere più della tua, perché io sono nato ricco e tu - magari mi dispiace anche per te - sei nato povero e devi restare là da dove vieni. 

Oggi l'irrazionalità è ancora maggiore. Tutti sanno che la guerra arricchisce pochi produttori d'armi e capitalisti senza scrupoli. Tutti lo sanno, ma i più fanno finta di credere ancora alle favole del "mio" Dio, della "mia" Patria e della "mia" famiglia. I primi si sfregano le mani dalla felicità, vedendo il fiume di incassi ingrossarsi ogni giorno di sangue e di denaro. Gli altri chinano la testa e vanno al macello, chiedendosi quanto meno possibile il perché. E l'irrazionalità è ancora maggiore, perché gli strumenti della guerra non sono più clave, lance o rudimentali fucili, bensì armi di distruzione di massa che potrebbero cancellare dal Pianeta ogni forma vivente. Eccetto naturalmente i padroni del vapore che attenderanno nelle segrete stanze dei loro rifugi antiatomici la fine del pericolo delle radiazioni per godersi - i figli dei loro figli - i beni accumulati nell'Oceano della Solitudine.

Insomma, per uscire dalla preistoria occorre superare gli stereotipi della "guerra c'è sempre stata e sempre ci sarà" oppure del funesto "si vis pacem para bellum". L'umanità del XXI secolo saprà scendere dagli alberi e utilizzare l'intelligenza per costruire e non per distruggere, per amare invece che odiare? E i sedicenti discepoli di Gesù - tantissimi - che affollano le chiese e gridano il loro osanna in questo giorno delle Palme, domani saranno con Lui dalla parte dell'intero genere umano o saranno i primi a gridare con convinzione il loro "crocifiggi!"? Cosa grideranno ai Ponzio Pilato, ai Caifa, ai Cesare Augusto del nostro tempo e di ogni tempo?

martedì 1 aprile 2025

Davide Gandini e Robert Bahčič ad Aquileia

 

Di questo libro e di molto altro parleremo venerdì 4 aprile, alle ore 20.30 nella meravigliosa Basilica di Aquileia, nel corso della seconda conferenza dell'Iter Goritiense, nell'ambito del Festival dei Cammini, insieme a Davide Gandini e a pater Robert Bahčič. Un evento assolutamente da non perdere!

Decisi di andare a percorrere il Cammino di Santiago dopo aver letto la prima edizione del Portico della Gloria. Correva l'anno 2005 e quell'esperienza fu una delle più importanti della mia vita. Fui contento del mio mese nel nord della Spagna, accompagnato dalle stelle della via Lattea e dalle suggestioni del grande Luis Bunuel. Incontrai una miriade di persone interessanti, scoprii la misteriosa unità nella diversità dell'Europa in marcia, presi decisioni fondamentali per la mia vita.

Fui anche contento di aver conosciuto, poco tempo dopo, Davide Gandini. Nei suoi occhi pieni di un ardore semplice e accogliente ho incontrato la luce della "Charis", la grazia che viene dall'alto e si comunica attraverso l'incontro con l'altro. Nella sua voce ho ascoltato la sapienza che scaturisce dalla contemplazione dell'essere e nei suoi scritti ho ritrovato la passione indomita per l'umano, quella che non ci impone l'obiettivo irrazionale della perfezione, ma suggerisce la dolce consapevolezza della fedeltà.

Il "cammino" di Davide non è il classico diario quotidiano, anche se i luoghi e i rapporti non mancano e non possono certamente essere relegati a semplice sfondo di un'umana avventura. E' tuttavia dominante il percorso interiore, quello che ogni viandante sperimenta, anche se non sempre riesce a comunicare. Perché i 4 km/h, a differenza dei 120 o degli 850, sono pieni di colori e di profumi, ma soprattutto di volti e di mani che si stringono, di abbracci e di sorrisi. Lo spazio ritrovato e il tempo rivissuto sono le categorie dell'"homo viator", dove la scoperta più straordinaria è quella di sé stessi. Non si è più naufraghi su una pallina che rotea senza meta apparente nella periferia della più piccola fra le miliardi di Galassie, ma si è persone che portano un messaggio che sconfina nell'eterno e nell'infinito.

sabato 29 marzo 2025

Il festival dei Cammini

 

Un tratto della Francigena: San Gimignano
Si svolgerà ad Aquileia, nel prossimo fine settimana, 4, 5 e 6 aprile, il festival dei Cammini, promosso e organizzato da Fondazione Aquileia.

Sarà un'occasione per fare il punto su un fenomeno che negli ultimi venti anni ha assunto proporzioni straordinarie, diventando un'occasione di turismo che non si può neppure più definire alternativo.

Trascinato dal sempreverde Cammino di Santiago, il settore ha visto moltiplicarsi come funghi nuovi percorsi internazionali e locali. Oltre alle più classiche Francigene e alle vie sulle tracce di san Francesco e san Benedetto, sono nati i cammini europei di San Martino e di Cirillo e Metodio, insieme alla Romea Strata e a una miriade di lunghi e brevi itinerari.

Solo per rimanere ad Aquileia, si possono citare, in ordine di apparizione il Cammino Celeste, la Via Flavia, la via Postumia, la Jakobova pot, l'anello di San Martino introno alla Vipavska dolina, per non parlare del bellissimo Iter Goritiense, dalla stessa Aquileia a Sveta Gora.

Tra dibattiti, incontri, presentazioni di libri ed esperienze di viandanza, sono da sottolineare in particolare due eventi. Venerdì 4 aprile, alle ore 20.30 nella stupenda cornice della Basilica di Aquileia, si terrà una conversazione che vedrà protagonisti pater Robert Bahčič e lo scrittore pellegrino Davide Gandini, sul tema "I luoghi sacri che uniscono: i cammini di pellegrinaggio". Il sabato mattina invece, con incontro alle 8.30 nella piazza della Basilica, ci sarà il "Cammino dei cammini", da Aquileia a San Canzian d'Isonzo. Nel corso della camminata verranno presentati tutti i percorsi a piedi che intersecano la città di Aquileia.

Ci sarebbe molto da dire, dal punto di vista spirituale, ma anche turistico ed economico, intorno a questo nuovo elemento sociale. Per un approfondimento rinvio al mio testo che tra l'altro offre il nome anche a questo blog: Lo spirito dei piedi, Ediciclo 2017. 

Ne traggo un doppio spunto. Anzitutto chi percorre queste vie non è un superman, un santo o un eroe, bensì un privilegiato che ha la non certo universale possibilità di vivere questa forma di vacanza che presuppone buona salute, gambe in forma e anche una certa disponibilità finanziaria. In secondo luogo, se per i marciatori appartenenti al Nord del mondo il cammino è una necessità spirituale o psicologica, per i veri pellegrini della nostra epoca è un obbligo esistenziale: mi riferisco a coloro che affrontano il deserto del Sahara, il mare Mediterraneo o la rotta balcanica per poter sopravvivere loro e rendere possibile la sopravvivenza alle loro famiglie. Sono questi i veri eroi del cammino, che di solito non trovano ad accoglierli delicati e premurosi hospitaleri, bensì Centri pieni di squallide sbarre, dove attendere un triste rimpatrio.

domenica 23 marzo 2025

Vietato non toccare! Il museo tattile del Goriški muzej a Kromberk

 

Il "settore" aquileiese del museo (foto M.Vecchi)
Da venerdì sera il territorio Goriziano si pone all'avanguardia nel settore dell'accessibilità museale. E' stato infatti inaugurato il primo museo tattile della Slovenia, con una cerimonia piena di suggestione e di bellezza. 

L'iniziativa nasce dalla collaborazione tra il Goriški muzei di Nova Gorica e l'associazione dei ciechi e ipovedenti della Primorska. Ha visto come protagonisti tutte le persone coinvolte nelle due realtà, con un particolare impegno di coordinamento da parte del curatore per conto di Goriški muzej David Kožuh e del presidente dell'associazione novogoričana Igor Miljavec.

Alla presenza del vicepresidente del Consiglio della Repubblica di Slovenia Matej Arčon, della ministra per la Cultura Asta Vrečko, dell'ambasciatrice della Gran Bretagna, del responsabile dell'attuazione del programma Go2025 Stojan Pelko, del direttore del Goriški muzej Vladimir Peruničič e di molte altre autorità, i veri attori dell'inaugurazione sono stati proprio i destinatari, ovvero i non vedenti e ipovedenti. Guidati dall'ottima regia della responsabile delle relazioni pubbliche Kristina Furlan, hanno intrattenuto il pubblico con una serie di straordinarie proposte artistiche mozzafiato. Alla danza si sono aggiunti il suono del flauto, il canto e le parole, portati all'attenzione di tutti con competenza e professionalità.

E' seguito poi il classico taglio del nastro e la visita al Museo, allestito nel piano superiore del grande Center Mercator di Kromberk. Ci sono due sezioni, una più interessante dell'altra. Nella prima sono presentate opere presenti in strutture culturali importanti, in Slovenia, in Italia e altrove. Nella seconda vengono presentate sculture, opera di artisti locali "senza confini", messe a disposizione del tatto dei visitatori. Lo slogan dell'esposizione è infatti opposto a quello ordinario, infatti "è vietato non toccare", per poter comprendere il senso delle bellissime espressioni d'arte presenti.

Tra le varie proposte, balza subito agli occhi il mosaico del "nodo di Salomone", dono del Gruppo Mosaicisti Ravenna e in particolare di Marco Santi e Anna Caterino, immediato richiamo alla storia aquileiese, finemente rappresentata anche dai pannelli tattili dei più importanti mosaici teodoriani, realizzati dall'Istituto dei ciechi Cavazza di Bologna e messi a disposizione dalla Società per la conservazione della Basilica di Aquileia. La presenza di Loretta Secchi, curatrice del museo tattile Anteros di Bologna e di Anna Viganò, referente dell'avvincente progetto Basilica per tutti, finalizzato al miglioramento dell'accessibilità nella Basilica di Aquileia, ha dimostrato quanto sia costruttivo intessere relazioni sociali e culturali tra tutti coloro che vogliono un mondo più bello, più giusto, più fraterno e nella pace.

Un Museo da incorniciare e da visitare, toccando rigorosamente ogni oggetto esposto e prendendo atto del fatto che l'arte, essendo patrimonio universale dell'umanità, deve essere raggiungibile e comprensibile da ciascuno, in qualunque situazione si trovi. Impedirlo o non favorirlo è una palese violazione dei diritti della persona! Najlepša hvala Goriškemu muzeju in Medobčinskemu društvu slepih in slabovidnih Nova Gorica.

Dai giovani in Serbia, una lotta piena di speranza

Le istituzioni dell’Unione Europea si dividono, c’è chi sostiene la necessità del riarmo, chi della difesa, senza peraltro spiegare la differenza pratica tra un concetto e l’altro. La guerra in Ucraina ha subito una brusca sterzata con l’interventismo del presidente americano. A Gaza tornano le bombe e sono ostacolati i convogli umanitari, mentre anche in Cisgiordania la voce della violenza prevale. La guerra dei dazi scatenata da Trump semina il panico nel Vecchio Continente e altrove.

I partiti si dividono, anche al loro interno, chi ritiene giusta la difesa europea viene tacciato di guerrafondismo al servizio delle lobby armate, chi la pensa in modo opposto di irresponsabile pacifismo filoputiniano. I movimenti per la pace cercano faticosamente di ritornare in azione. Le loro istanze sono bene argomentate, ma la partecipazione richiama tanti reduci da lotte nonviolente, datate come minimo dai tempi del Vietnam.

Ma c’è qualcosa che induce alla speranza in tempi così delicati?

Sì, ci sono i giovani che in Serbia stanno manifestando da mesi contro il regime imposto dal presidente Vučič. Se ne parla molto poco, soprattutto in Italia e già questo fatto è misura di un’incisività che suscita timori di emulazione. Sono studenti universitari e delle scuole superiori che sono scesi in strada all’indomani di una delle più assurde tragedie che hanno colpito la nazione, il crollo dell’appena costruita pensilina della stazione di Novi Sad. Il disastro, accaduto il primo novembre 2024, ha provocato la morte di 15 persone e il ferimento di decine. Le imbarazzate spiegazioni governative non hanno convinto i giovani che da quel giorno hanno rinunciato perfino al diritto allo studio, per poter gridare al mondo la loro indignazione. Hanno ritenuto l’evento un vero e proprio omicidio, compiuto dai politici che hanno accettato la logica della corruzione e dell’incompetenza. A loro si sono aggiunti gli operai e i contadini, la contestazione è dilagata. Ha portato alle dimissioni di due ministri e sta mettendo in grande difficoltà il presidente. Ci si attendono ulteriori sviluppi, a Belgrado, Novi Sad e altrove si vedono le manifestazioni più imponenti dal tempo dell’indipendenza della Serbia in qua.

E ci sono anche i manifestanti in Grecia che stanno svegliando una sonnolenta Atene. Anch’essi si riferiscono a una catastrofe, l’incidente ferroviario che nel 2023 ha portato alla morte ben 57 persone. Anch’essi non hanno voluto bere le versioni ufficiali e occupando i gangli vitali della capitale greca stanno mettendo in forte crisi il governo. Anche in questo caso i protagonisti sono i giovani, pieni di slancio e di entusiasmo.

E’ giusto ricordare questi moderni combattenti per la libertà. E’ vero, possono essere preda di appetiti partitici o diventare carne da macello al soldo di altri potenti che cercano di approfittarsene. Occorre tutelare la loro creatività, sostenendoli nel trasformare il malcontento in proposte e progetti autenticamente politici. Ma è necessario anche imparare dalla loro voglia di vivere e di essere protagonisti del cambiamento di una società consumista, classista, corrotta che essi vogliono nel profondo cambiare. (articolo pubblicato su Novi Matajur)