domenica 7 dicembre 2025

Il Museo Civico del Tesoro di Grado. Assolutamente da non perdere...

 

Uno sguardo a Barbana, correndo in bici verso Grado
Si è inaugurato sabato 6 dicembre il Museo Civico del Tesoro di Grado, nell'edificio che fu un tempo casa canonica per i parroci di Grado.

E' un'esposizione bellissima che consente di ripercorrere in pochi passaggi la gloriosa storia della gente che ha vissuto e vive sull'Isola, dalla protostoria ai giorni nostri.

Ci sono reperti di grande valore, come i reliquiari del legno della croce, le straordinarie capselle palocristiane, le lapidi che raccontano il battesimo nei primi secoli. C'è l'impressionante copia in gesso della straordinaria stauroteca, il trono del Patriarca soffiato dai Veneziani, il cui originale si trova proprio nella Basilica di San Marco.

Si raccontano episodi misteriosi della vicenda gradese, in particolare le sepolture di bambini e ragazzi ritrovate dagli archeologi nel corso degli scavi degli ultimi anni. Alcuni video documentano tali eccezionali scoperte e molto altro. Il visitatore è accompagnato nella comprensione dei vari passaggi da ottime didascalie scientifiche e opportuni schemi narrativi. 

Come hanno detto l'Arcivescovo e il Sindaco di Grado durante la cerimonia di inaugurazione, è la possibilità di riappropriarsi, da parte delle cittadine e dei cittadini, di ciò che a essi appartiene. Ed è proprio in questa logica che la realizzazione di un Museo, ben lungi dal voler sostenere anacronistiche identità ormai confinate in un passato remoto, può aiutare ogni abitante di Grado a rafforzare il già importante spirito di accoglienza. La scoperta delle grandi diversità culturali che hanno caratterizzato e in qualche modo intensificato il passato, diventa l'occasione per offrire criteri e potenzialità per vivere con serenità e gioia la grande occasione del vivere in un mondo meravigliosamente vario, multireligioso e pluriculturale. Come ha insegnato la Capitale europea della Cultura, tali differenza, lungi dall'ostacolare la civile e rispettosa convivenza, la fondano sulle basi decisive di una convinta, consapevole e fraterna umanità.

Tutti gli elementi presenti derivano dalle raccolte della Parrocchia Arcipretale di Grado, gelosamente custodite da monsignor Tognon, cui è dedicata l'esposizione e della Soprintendenza ai Beni Culturali.

Venite dunque a visitare il Museo di Grado, possibilmente con l'accompagnamento del competentissimo curatore scientifico, prof. Dario Gaddi, capace di far parlare con intesnistà e profondità ogni pietra e ogni reperto. Venite, anche perché la direzione e gestione del tutto è stata affidata con appalto dal Comune di Grado - proprietario del Museo - alla Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia. Un nome, una garanzia!

Per il momento, il Museo sarà visitabile nel fine settimana 6,7 e 8 dicembre, poi in quello del 13 e 14 dicembre, poi dal 20 dicembre al 6 gennaio 2026, tutti i giorni (escluso il 31 dicembre), con orario 10.30-12.30 e 14.30-17.30.

sabato 6 dicembre 2025

Ignazio e la Libertà: incontro o scontro?

 

Sant'Ignazio, come Leone Magno davanti ad Attila sul Mincio, sembra brandire il monogramma di Cristo per fermare l'emblema del liberismo postmoderno.

Ma a differenza di quanto accaduto nel V secolo, questa volta la battaglia sembra non avere storia. La statuta della Libertà, avvilita da una ben umile collocazione sulla punta di una giostra da sagra, sovrasta il povero fondatore dei gesuiti.

E' un vero peccato. In fondo, la chiave di risoluzione sarebbe stata abbastanza semplice. Il medioevo avrebbe dovuto farsi da parte, rinunciando a un oggettivismo senza deroghe e a un indisponente assolutismo politico. In uno straordinario incontro tra culture, religioni e filosofie, sarebbe bastato che la modernità, nelle sue versioni post e ultra, avesse accettato di temperare l'ipervalutazione del soggetto.

Non è andata così, vecchio Ignazio, scendi pure del piedistallo. ma non finirà bene se si continua così, cara statua della Libertà. C'è il rischio che qualcuno, prima o poi, tolga la luce alla giostra e che nessuno ti illumini mai più.

Umanità, incontriamoci sul ponte di Solkan e costruiamo una nuova sintesi, prima che finiscano sia l'Oriente che l'Occidente, come pure il Nord e il Sud...

Lucio Ulian: GO2027 - Un nuovo futuro?

Slavoj Žižek al Centrepic di Gorici
 Il testo che oggi vi presento prosegue il dibattito sul futuro di Nova Gorica e Gorizia, dopo i fasti dell'Evropska prestolnica kulture. Lo ha scritto l'amico e compagno Lucio Ulian, profondo conoscitore e già per lunghi anni attiva presenza politica e culturale in città. Il titolo non è sbagliato, è proprio GO2027 – Un nuovo futuro? Buona lettura (ab)

Si stanno spegnendo i riflettori su GO2025: ora la città saprà vivere di luce propria?
Un evento che ha offerto un’opportunità unica. Ora Gorizia può scegliere di aprire un nuovo ciclo della sua storia.
A partire dal secondo dopoguerra, la città ha attraversato tre fasi che ne hanno segnato il percorso fino a oggi.
La prima, legata al muro e alla città di confine, è stata caratterizzata da cospicui contributi pubblici e da ferree certezze.
Successivamente il muro si è trasformato in muretto, per poi scomparire. Una transizione, questa, che ha portato a una crisi di identità, causata dalla perdita delle certezze che avevano contraddistinto il periodo precedente. In questa fase politica, economia e cultura, adagiate sul passato, hanno vivacchiato, in parte colposamente, in parte dolosamente, mentre la città iniziava un lento declino.
Auspico che GO2025 segni un nuovo inizio. È tempo di gettare le basi per un nuovo ciclo, in cui la città, per rinascere, dovrebbe riporre i rimasugli del passato nei cassetti della memoria storica e ripensare il proprio ruolo in un territorio posto al centro dell’Europa. Solo così potrà spiccare un nuovo volo. Lucio Ulian

venerdì 5 dicembre 2025

Dalla capitale della cultura, il seme di un nuovo modo di sentirsi "Goriziani"

 

Con una certa sobrietà, si chiude il grande evento, l'anno di Nova Gorica con Gorizia, evropska prestolnica kulture, capitale europea della cultura.

Più che una sintesi del passato prossimo, in molti luoghi si discute sul futuro. Cosa resterà di questa esperienza, come si andrà avanti dal 2026 in poi?

Le aspettative, nei lunghi anni di preparazione, erano enormi. In parte hanno trovato adeguata risposta, in parte, soprattutto dopo lo spettacolare inizio dell'8 febbraio, ha cominciato a serpeggiare una certa, forse inevitabile, delusione.

Ci sono stati tanti meravigliosi momenti, Nova Gorica e Gorizia sono diventate più belle e attrattive, è cresciuto il numero dei turisti e dei visitatori. Ma ci si può limitare a solo questo criterio di valutazione? Certamente no. Quello che è mancato e che dovrebbe essere al primo posto negli auspici e negli impegni per il futuro, è la consapevolezza gioiosa di essere uniti nella diversità, di sentirsi parte di una città in due o di due città congiunte. Ogni "goriziano" (sia esso sloveno, friulano, italiano, pakistano, albanese o macedone) dovrebbe sentirsi  parte di un insieme straordinario, nel quale ciascuno è aiutato a donare agli altri la propria specificità. 

Perché questo accada, occore rafforzare una struttura più efficace, nel cuore geografico e morale dell'Europa. Occorre pensare a un organismo dotato di poteri amministrativi autonomi, eletto su base democratica, che coinvolga tutti i Comuni del bacino dell'Isonzo Soča, in ambito italiano e sloveno. E' un grande spazio vitale, fortemente caratterizzato da affascinanti differenze, ma anche da una vocazione a percepirsi come unica umanità, sororità e fraternità. Potrebbe essere un segno permanente, per l'Europa e per il Mondo, di come sia possibile che il dolore delle guerre e dei genocidi si possa trasformare in impegno per costruire giustizia, pace ed equità in tutto il Pianeta.

Un Pianeta che è in grande sofferenza richiede un'analisi per quanto possibile globale, senza per questo dimenticare, anzi fondando il locale. La Capitale europea della Cultura, si è detto più  volte, dovrebbe essere Capitale europea dell'Accoglienza. Il dolore di migliaia di persone che raggiungono il confine dopo aver attraversato la rotta balcanica, dovrebbe interpellare fortemente i cittadini e soprattutto le rappresentanze politiche. Che cosa si è fatto, come Nova Gorica e Gorizia, per ricevere degnamente non soltanto danarosi turisti o colti ricercatori della tradizione storica, ma anche la schiera dei poveri che bussa alle porte dell'Occidente per trovare rifugio e conforto?

In tutto questo anno "senza confini" non si è riusciti a costruire una scuola unitaria trilingue, a inserire i reciproci insegnamenti di italiano e sloveno nelle rispettive scuole di Nova Gorica e Gorizia, a togliere dal Comune di Gorizia l'ingombrante cittadinanza onoraria a Mussolini, non si è pensato a una rivoluzione toponomastica congiunta, non si è riusciti neppure a convincere il Governo a togliere gli odiosi controlli sul confine, non si sono incontrati che assai raramente - se non mai al di fuori dei momenti ufficiali - i consigli comunali e le rappresentanze politiche della vecchia e nuova Gorica, oltre che del Comune di Šempeter...

Ciò che lascia la Capitale della Cultura è la necessità di ripensare il futuro tutti insieme, in ogni livello della civile convivenza e delle fasce della società.

Proposta: e se, sulla linea delle intuizioni passate e presenti della rivista Isonzo Soča, si costituisse un gruppo culturale, diffuso sia a Nova Gorica che a Gorizia, in grado di costruire le basi di pensiero filosofico, fondanti un programma transfrontaliero condiviso. Se si favorisse in ogni modo la costituzione di tavoli di lavoro condivisi tra gruppi di interesse, categorie sociali e produttive, realtà culturali e aggregative? E infine, se si individuasse anche un simbolo con valenza politica, tra coloro che si riconoscono in una visione umanistica della società da presentare - unito ad altri complementari simboli o anche autonomamente - alle prossime elezioni amministrative di Nova Gorica 2026 e Gorizia 2027? 

Cosa ne pensate?

Morti di freddo e di stenti in FVG: dolore, vergogna, indignazione

 

Mentre il periodo di Natale accende città e paesi di luci e di suoni, quattro persone sono morte di freddo e di stenti in Friuli Venezia Giulia.

Sono migranti, provengono da luoghi del mondo dove infuriano la guerra e la fame. Come Gesù bambino, non trovano posto negli "alberghi" e devono accontentarsi di casolari fatiscenti esposti al vento, alla pioggia e alle intemperie.

Questa situazione va avanti da anni, sottolineata grottescamente da amministratori in-coscienti (o forse molto coscienti) che si vantano di aver "ripulito" piazze, gallerie, parcheggi sotterranei. A volte addirittura arrivano a fomentare l'odio contro questi fratelli, negando il diritto alla loro cultura e spiritualità.

Se i quattro sono quattro - ma ognuno di loro è un essere umano, portatore di emozioni, speranze, attese, sacrifici immani vanificati dalla porta dell'opulenza chiusa in faccia - è perché centinaia di volontari si sono ribellati. Sono loro che ogni notte ricevono i reduci dalla rotta balcanica, li curano amorevolmente, fanno salti mortali per procurare cibo e coperte. Senza di loro i disagi sarebbero ancora più grandi, universali e i caduti di questa guerra a senso unico sarebbero migliaia. E questi angeli di umanità sono costretti a subire lo scherno di chi ha l'autorità per intervenire, individuando scelte, risorse e percorsi che non siano limitati a spostare le persone come se fossero pacchi postali. Quella che ancora qualcuno chiama emergenza - dopo più di un decennio - è, nel migliore dei casi, incapacità di intendere e volere.

La vergogna ci coinvolge tutti, siamo comunque parte di questo sistema che privilegia i ricchi e affossa i poveri. Il dolore delle vittime penetra a fatica tra presepi luccicanti che alcuni vorrebbero imposti dalla legge e alberi multicolori. L'indignazione è grande, ma che fare?

Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti - ci sbatteva in faccia un tempo Fabrizio de Andrè. Sì, perchè l'indignazione non è soltanto un grido assolutamente indispensabile contro chi governa e amministra chiudendo gli occhi davanti a ciò che sta accadendo. E' anch un impegno personale affinché nel proprio piccolo ognuno possa operare per costruire un'umanità davvero senza confini, dove l'essere parte della famiglia umana venga prima e valorizzi la diversità di lingua, cultura e religione.

Altrimenti, anche i droni proiettati nel cielo, i fuochi d'artificio di fine anno, le feste goriziane per la fine della capitale della cultura... se non segneranno lì'inizio della Capitale dell'accoglienza e della pace, svaniranno in un'eco di sottile ipocrisia.

sabato 29 novembre 2025

Žižek all'Epicenter, uno dei punti più elevati dell'Evropska Prestolnica Kulture

Slavoj Žižek è una di quelle persone che staresti ad ascoltare ininterrottamente per un giorno intero. All'Epicenter, la sera di venerdì 28 novembre, ha incantato i presenti che lo hanno ascoltato, seguendolo con il fiato sospeso nel suo impetuoso intervento. E' un vero fiume in piena, inarrestabile e incontenibile. 

Ed è anche uno di quei personaggi dei quali non riusciresti mai a dare una definizione e neppure a inquadrare in uno schema logico e organico. Ciò non dipende dalla mancanza di chiarezza, ma dall'incredibile capacità di comunicare un flusso ininterrotto di inesauribili concetti attraverso un linguaggio coinvolgente e accattivante.

Insomma, cosa ha detto di tanto importante? E' difficile dirlo, si ha come la sensazione di ascoltare un gigante della comunicazione e di non volerlo restringere dentro gli angusti meandri della propria sempre limitata comprensione. Comunque, qualche punto in movimento di uno dei più importanti pensatori del mondo attuale, è possibile individuarlo.

Straordinaria è l'analisi del presente, con una critica intensa alla sinistra planetaria che ha abbandonato i suoi temi fondamentali, regalando lo spazio del populismo alla destra più estrema. Certo, sorprende sentir definire Trump un figlio del Sessantotto, come pure riportare il fascismo in una sfera ben più ampia di quella nella quale la storia moderna lo abbia rinchiuso. Colpisce il rispetto nei confronti dell'esperienza di ogni religione, ma anche la chiarezza nell'indicazione della necessità di un suo superamento. Al di là della simpatica esemplificazione, c'è un'immensa apertura filosofica nella lettura paradossale dell'Inferno dantesco, là dove sempre accade qualcosa di interessante, se paragonato alla noiosità dell'eterno ripetersi della beatitudine del Paradiso. Terribile il richiamo ai luoghi della sofferenza più eclatante del Pianeta, le guerre in Gaza, in Ucraina, in Sudan, in Eritrea, ma anche alle lande sconosciute dove le mafie internazionali avviliscono la stessa idea di homo sapiens. A ogni finestra aperta sul disastro del crepuscolo del capitalismo, corrisponde una permanente domanda: e adesso? Che cosa ci aspetta? Che cosa possiamo fare? Più difficile trovare nelle risposte operative, costruttive di Žižek  la stessa lucida coerenza logica con la quale si pone e offre ai suoi uditori gli interrogativi e le analisi. Assai interessante la conclusione, totalmente controcorrente: l'assunzione del coraggio della di-sperazione come necessità e condizione per un'operatività rivoluzionaria. Come dire che la speranza tranquillizza e inibisce, la sua mancanza, lungi dall'essere distruttiva, costringe a uscire allo scoperto e a trasformare l'inerzia in azione. Si procede e si influenza un cambiamento, della portata e dell'orizzonte del quale tuttavia nessuno ha ancora piena consapevolezza. La crisi - scriveva nel 1930 Antonio Gramsci, citato dal filosofo sloveno - consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere. E in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.

Sì, c'è tanto, ma tanto altro. Non resta che ritagliare del tempo per meditare, per pensare e per agire. Perché - questo è un mio personale punto di vista - senza una profonda rivalutazione della filosofia, non potrà accadere nulla di buono nel Mondo!

mercoledì 26 novembre 2025

Epic, una grande cosa!


Una delle sale espositive
Il centro EPIC, realizzato nel capannone delle ferrovie slovene presso la stazione della Transalpina, è uno straordinario gioiello. Si tratta di un percorso espositivo che consente di rivivere sensazioni, emozioni, drammi, visioni, speranze che hanno caratterizzato il XX secolo e che hanno trovato il loro compimento in Nova Gorica con Gorizia capitale europea della cultura.

Sì, l'inaugurazione di stasera è stata veramente straordinaria. Molte iniziative, proposte e azioni del 2025 si sono celebrate e concluse, mentre il Museo del Novecento si propone come un permanente luogo di formazione, conoscenza, analisi, ma anche di incontro e amicizia fra le persone e le comunità che vivono nella parte antica e nella parte nuova di "Gorici".

Il viaggio nel secolo breve - o "lungo" come molti amano definirlo - è reso possibile da video illustrativi, testimonianze, racconti di vita, opere d'arte, fotografie d'epoca, istallazioni, spazi suggestivi. E' una descrizione impressionante di come un territorio segnato da due guerre mondiali e da divisioni generate dal razzismo e dai totalitarismi, sia diventato un segnale per l'intera Europa e anche per il mondo nel suo insieme, di quanto sia possibile costruire insieme un'unione profonda tra diverse lingue, culture e storie di vita.

Kaja Širok (foto Nevio Costanzo)

Nel giorno dell'inaugurazione è stata senz'altro protagonista la curatrice, Kaja Širok, che ha voluto ringraziare tutte e tutti coloro che hanno collaborato con lei per raggiungere il prestigioso ma anche assai laborioso obiettivo. Ha sottolineato come l'apertura di un simile spazio offra di fatto a tutti gli abitanti del territorio un'occasione irripetibile di conoscenza e di maggior radicamento nella convinzione della grandezza del progetto che li coinvolge. Inoltre chi viene da lontano, può trovare nell'EPIC un'illustrazione sintetica ed efficace del significativo processo che ha condotto una terra insanguinata dai conflitti a immaginarsi come un laboratorio di giustizia e pace in tutto il mondo. Gli spazi espositivi non sono del tutto completati. Il cammino non termina con lo specchio che consente di guardare al passato contemplando il presente, ma prosegue con l'apporto di ogni cittadina e cittadino che possono portare ricordi, simboli, oggetti di vita quotidiana che abbiano rappresentato qualcosa di significativo per le persone e per l'intera comunità. Da notare che il primo di questi oggetti "musealizzati" è una macchina da scrivere Lettera 35, sulla quale è collocato il numero 1 della rivista Isonzo Soča, pubblicato nel lontano 1983: un piccolo omaggio a Dario Stasi, giornalista pioniere della convivenza tra popoli e culture.

Gran folla all'inaugurazione 

Anche il contesto dell'inaugurazione è stato significativo. C'era tanta gente e, sia pure in forma numericamente meno eclatante, si è ripetuto il miracolo dell'8 febbraio. Non si sono percepite più distinzioni o barriere, ci si è sentiti uniti in un'autentica festa dell'amicizia e della Cultura (con la C maiuscola). Nei discorsi di Peter Szabo, del sindaco Turel, del Segretario di Stato alla Cultura Marko Rusjan, della direttrice di Zavod Mija Lorbek, della stessa Kaja, si è percepita la soddisfazione di aver raggiunto un traguardo importante, ma da tutti coloro che sono stati presenti si è avuta piena coscienza del fatto che questa inaugurazione non è stata la fine, ma il nuovo inizio di un grande cammino. Hvala vsem, grazie di tutto cuore...

lunedì 24 novembre 2025

Il referendum in Slovenia

Il Triglav, da Sveta Gora
Domenica 23 novembre c'è stato un importante referendum in Slovenia. Un anno e mezzo fa, una consultazione orientativa aveva invitato il Governo a proporre e approvare una legge sull'assistenza medica volontaria al fine vita. Ora, nel novembre 2025, la stessa normativa voluta dai cittadini è stata di fatto abrogata dal 53% degli aventi diritto al voto. Sono stati circa il 40,3% i votanti, molto al di sopra del quorum stabilito per la validità, fissato al 20%.

C’è stata un’evidente e inevitabile politicizzazione della campagna, tenuto conto dell’ormai prossima scadenza elettorale che determinerà il rinnovo delle cariche governative, parlamentari e degli enti amministrativi. Il centro destra e la destra hanno approfittato dell’occasione, per infliggere alla presidenza Golob – ovviamente favorevole alla legge da essa stessa caldeggiata – un’oggettiva sconfitta e per realizzare una specie di censimento numerico relativo all’attuale consenso. Tuttavia lo schieramento partitico mai avrebbe potuto raggiungere il successo, senza il sostegno capillare della Chiesa cattolica che in ogni circostanza ha invitato praticanti e non praticanti a porre la crocetta sul NO stampato sulla scheda elettorale. C'è da aggiungere come la tornata referendaria sia stata sostanzialmente sottovalutata da parte del centro sinistra e della sinistra, in parte assenti durante l'intera campagna. 

I commenti dei “vincitori” - tra essi molti vescovi, sacerdoti e fedeli cattolici – hanno sottolineato cha la vita è un dono che deve essere tutelato in qualsiasi momento e in ogni contesto, rinviando essenzialmente alle cure palliative l’accompagnamento del malato – in situazione di dolore irreversibile e insostenibile - verso l’ultima fase dell’esistenza.

Di parere opposto i sostenitori della legge, secondo i quali ogni essere umano – libero e senziente – ha il diritto di decidere di porre fine alla sua esistenza in modo dignitoso e medicalmente assistito, nel momento in cui risulti intollerabile il proseguimento del suo cammino di sofferenza. 

E' un tema delicato e difficile. Tuttavia, tra le tante possibili, due osservazioni si propongono alla discussione. La prima: non esistono leggi che considerino un reato il suicidio, tanto che i tentativi non riusciti non portano nessuna incriminazione e neppure di conseguenza una pena. Impedire il suicidio medicalmente assistito non significa forse rendere impossibile per legge (a chi non lo può oggettivamente fare), lo stesso atto che in ogni caso la medesima legge non vieta? La seconda: l'affermazione secondo la quale la vita è un dono di Dio e soltanto Dio sarebbe autorizzato a disporne, oltre a generare molte perplessità di ordine teologico, non giustifica l'obbligo ad accogliere tale "dono", nel momento in cui esso non sia bene accetto, tanto più quando l'interessato non si riconosca in una prospettiva di fede cattolica.

Non sarebbe più semplice lasciare la libertà di scelta al soggetto, nel quadro di determinate condizioni, senza obbligare nessuno a portare avanti a oltranza una vita da egli stesso ritenuta intollerabile?

lunedì 17 novembre 2025

Una giornata particolare

Quirin Kuhner. E' il nome di una persona che non potremo mai più dimenticare. Ha perso la sua vita cercando di mettere in salvo un'altra persona - Guerrina Skocaj - purtroppo anch'essa ritrovata successivamentte sotto le macerie della casa crollata a Brazzano. 

E' stata una giornata terribile oggi, per il Goriziano e per la Bassa Friulana. Versa totalmente allagata, con lo Judrio che scorreva lungo la strada principale e le viuzze secondarie, tanti altri paesi messi in ginocchio da un'ondata di maltempo che ormai purtroppo non può più definirsi eccezionale.

Ci sarà molto da discutere nelle prossime settimane, affinché ciò che è stato non sia mai più. Si dovrà parlare di argini colabrodo, "garantiti" per secoli dopo le inondazioni precedenti, di allerte della Protezione Civile poco tempestive e azzeccate, di colline che tracollano da un giorno all'altro "senza apparenti previi segni di cedimento" (in realtà quell'altura era già stata protagonista di frane in passato, nel versante verso il fiume e i residenti avevano più volte segnalato la situazione di pericolo idrogeologico, soprattutto dopo recenti opere di disboscamento). 

Ma ci sarà anche tanto da ricordare di meraviglioso, la solidarietà unanime, l'impegno competente di Protezione Civile, Vigili del Fuoco, Forze dell'Ordine e istituzioni, cittadine e cittadini mobilitati all'unisono nel portare talmente tanti aiuti, da aver risposto alle necessità immediate nel giro di una manciata di ore.

Per il momento non resta che trepidare per la sorte dell'ultima persona dispersa, esprimere vicinanza a chi è stato colpito dall'alluvione e che da domani dovrà constatare i danni ingenti. 

Ma insieme a tanta tristezza, è da guardare con immensa riconoscenza al giovane Quirin. In un mondo votato alla violenza, il suo è stato un infinito gesto di fraternità e di pace. Nessuno ha un amore più grande di chi dona la vita per le sue sorelle e i suoi fratelli nell'umanità. Un eroismo semplice, della porta accanto si potrebbe dire, non cancella il dolore per la perdita e la sensazione di assurdità di una simile morte. Apre comunque uno spiraglio di luce e di speranza sulla possibilità che prima o poi possa instaurarsi la civiltà dell'amore.

domenica 16 novembre 2025

La necessità di una nuova stagione politica

Cosa è la sinistra, cosa è la destra? Cantava Giorgio Gaber.

E la sue domande sono più che mai attuali, constatando che ormai ogni elezione non viene vinta dalla sinistra o dalla destra, bensì - e quasi sempre con maggioranza assoluta - dall'astensione.

L'evidente segnale di crisi di questa fase della democrazia liberale, riduce ogni competizione elettorale a una specie di gioco, dove pochissime persone cercano di conquistare posizioni di prestigio. Una volta raggiunto l'obiettivo, i fortunati - nel caso di parlamentari e consiglieri regionali - ricevono stipendi e privilegi da capogiro che li innalzano talmente tanto rispetto alla situazione ordinaria delle famiglie, da far dimenticare in pochi istanti la propria precedente condizione. O anche no, dal momento che una buona parte dei prescelti arriva alla cosiddetta politica attiva avendo già in tasca emolumenti astronomici.

A parte questo, la disaffezione al voto ha radici profonde. 

C'è chi, consapevolmente, non si ritiene rappresentato da nessuno dei protagonisti del teatrino e spera che un maggior impegno nella società civile possa contribuire a migliorare la situazione. Si ritiene - spesso a ragione - che un'eroica dedizione al bene e ai beni comuni, possa essere realizzata più fuori che dentro le tradizionali istituzioni della democrazia rappresentativa. Ma anche qua ci si riferisce a una sparuta minoranza di persone, particolarmente sensibile alla crescita complessiva dela società.

La stragrande maggioranza dei cittadini, in realtà, non sembra avere una specifica idea politica. O meglio, l'ideale è quello di "stare in pace", di salvaguardare quello status grazie al quale si può trascorrere una normale esistenza, senza scossoni e soprattutto "in sicurezza". Forse un 20% degli italiani combatte con convinzione per un valore rappresentato dalle attuali cosiddette "destra" e "sinistra". Tutti gli altri - votanti o non votanti - si affidano al caso, i primi facendo finta di credere alle promesse delle campagne elettorali, i secondi affidandosi alla sorte. In nome di questa pretesa "sicurezza", nel ventennio ci si è affidati a chi ha trascinato l'Italia alla dittatura e alla catastrofe, poi si è accettato per quarant'anni l'ingessamento del potere democristiano e ora il tracimante berlusconismo filoatlantico.

"Meglio così che peggio" - sembra affermare, un po' sconsolato, il cittadino che vorrebbe starsene tranquillo, con un discreto lavoro, qualche spicciolo per farsi una vacanza e il desiderio di godersi la famiglia. Mentre lui pensa così, grandi ombre si stendono sul mondo. Sente ancora lontana l'eco dei bombardamenti, non vede il sangue dei genocidi se non nelle effimere immagini della tv, ha paura del radicale cambiamento culturale che sta accadendo sotto i suoi occhi e fa finta di credere che il governo di turno sappia difenderlo.

Come scuotere un simile rammollimento, indotto prima dall'esplosione del fenomeno delle televisioni private, poi anche dall'uso spregiudicato e fondamentalmente incontrollabile delle tecnologie informatiche?

Forse una strada - con risultati non a brevissimo, ma almeno a medio tempo - potrebbe essere quello del recupero di una sorta di "serietà antropologica". Agli ignobili e imbarazzanti balletti della premier, ma anche a quelli della cosiddetta opposizione, occorre sostituire un ritorno delle idee e della cultura, come fondamento di ogni azione sociale e politica. Alle chiusure mentali di chi quando giunge al governo si inchina senza pudore alle mire di Potere dei capetti di un'Unione europea dimentica del manifesto di Ventotene e del padrino che abita la Casa Bianca, è necessario sostituire un efficace, concreto programma. Esso deve essere in grado di mettere al centro degli interessi - in realtà e non a parole - la persona, nel contesto sociale e ambientale in cui vive. E perché ciò si possa realizzare, deve urgentemente ritrovare il proprio posto la grande assente dal dibattito sul Potere, ovvero una Filosofia capace di proporre una nuova sintesi globale, impregnata delle sue acquisizioni raccolte nel cosiddetti Oriente e Occidente, come pure nel Nord e nel Sud del mondo.

In altre parole, mutatis mutandis, si deve recuperare ciò che c'è stato di buono nelle prospettive dell'Ottocento quando, analizzando la crescita del Capitalismo, se ne erano individuati i limiti e i pericoli. L'idea di uguaglianza nella dignità di ogni essere umano, l'internazionalismo contro ogni sovranismo, la prospettiva della fine di tutte le guerre attraverso il superamento delle terribili ingiustizie sociali che attanagliano tuttora il mondo, la libera circolazione delle persone prima di quella delle merci, il dialogo e l'incontro tra le diverse religioni e concezioni della vita, il rispetto per l'ambiente vitale nell'epoca del riscaldamento globale, la politica con la P maiuscola intesa esclusivamente come servizio e non come volano per imporre i propri interessi... Tutto questo, può ancora essere ripreso e riproposto, accompagnato dalla costruzione di un diritto condiviso, garantito dalle grandi linee della nostra bella Costituzione? 

La democrazia rappresentativa può ancora essere il terreno sopra il quale costruire questa reale alternativa allo "spettacolo" attuale? E' difficile dare una risposta a questa domanda. Forse si può dire un timido sì. Si tratta di coniugare l'invito alla scelta di partiti e personaggi capaci di interpretare questi grandi obiettivi con l'accoglienza della voce potente che giunge dalle sempre più numerose manifestazioni di base che a livello mondiale stanno invocando la pace, il rispetto dei diritti, la salvaguardia della Natura.

venerdì 14 novembre 2025

Una Sacra Conversazione assai originale

 

Una speciale Madonna, con Gesù bambino e Giovanni Battista. Dipinta alla fine del XV secolo, è un'immagine piena di dolcezza. Maria, con sguardo malinconico, sembra tenere con qualche difficoltà il figlio che tenta di svincolarsi, forse per scendere e giocare con l'amico, poco più grandicello di lui. Giovanni sembra quasi chiamarlo e lo indica con la mano, così come farà all'inizio della vita pubblica additandolo come l'Agnello di Dio. Per ora sono solo dei bambini e la loro conversazione effonde un senso di gioia, di speranza, un tocco di allegria. La Madre, molto bella e molto semplice, è del tutto diversa dalla creatura angelicata che si incontra normalmente nelle pitture del Rinascimento. C'è una particolare cura nel tratteggio del vestiario, nella sottolineatura delle forme femminili e nei suoi occhi che sembrano presagire qualcosa che ancora ha da accadere. Il bimbo, nella manina che accarezza il collo della mamma, tiene una specie di piuma, forse una palma, un simbolo arcano di un destino di sofferenza e di morte, ma anche di impegno e di risurrezione. E' una scena affascinante, così come avvolta in un alone di mistero. Chi ha dipinto in modo così poco tradizionale? Che messaggio ha voluto trasmettere? E' difficile dare una risposta certa, c'è qualcuno che ha voluto vedere addirittura la mano di Leonardo da Vinci. Ah già, dove si trova? Questo ve lo dirò un'altra volta... 

lunedì 10 novembre 2025

Sabato 15 novembre, sull'Iter Goritiense, parole profonde e musica di pace...

 

Sarà una giornata molto bella, per chi potrà partecipare, quella di sabato15 novembre. E' prevista una camminata collettiva, percorrendo a ritroso una parte della prima tappa dell'Iter Goritiense (Goriški Camino o Cammino Goriziano).

Sarà una festa di amicizia tra persone che parlano  lingue e vivono  diverse culture, aiutati e sostenuti dalla musica che sarà protagonista in tre momenti.

Saranno con noi alcuni straordinari musicisti, tra i più noti rispettivamente in Slovenia e in Friuli Venezia Giulia. Il duo Katarina Juvančič e Dejan Lapanja eseguirà musiche e canti popolari, dalle tradizioni della Slovenia e di diversi Paesi del mondo. Il gruppo "Gorze" - composto da Gabriella Gabrielli, Pierluigi Bumbaca, Roberto Nonini,  Diego Todesco  e Maurizio Veraldi - proporrà il proprio repertorio di brani musicali improntati alla conoscenza e valorizzazione delle diverse culture popolari. Naturalmente ci saranno anche dei brani eseguiti insieme, nella più artistica delle collaborazioni nell'ambito delle iniziative legate alla Capitale europea della Cultura 2025. Il tema complessivo delle parole e della musica è naturalmente quello della pace nella giustizia.

L'iniziativa si svolge in continuità con la costruzione dello stupendo percorso, da Aquileia a Sveta Gora, reso possibile dai progetti approvati e finanziati da GECT/EZTS, nell'ottica di GO2025. A guidare i camminatori saranno i responsabili della SoCoBA (Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia) e del Santuario di Sveta Gora, insieme agli incaricati di progetto Nace Novak e Mattia Vecchi.

Il cammino sarà di circa 12 chilometri (tre ore, senza contare le soste). Il ritrovo è alle ore 8.30 davanti alla chiesa di San Canzian d'Isonzo. Insieme all'introduzione musicale, è prevista anche una breve illustrazione dell'importantissimo sito archeologico e della storia dei santi Canziani. La sosta successiva è prevista a san Lorenzo di Fiumicello, dove si ricorderà l'esperienza e si chiederà giustizia e verità per Giulio Regeni. Si potrà inoltre visitare l'antica Pieve, sempre accompagnati da dolci e coinvolgenti melodie. L'arrivo è previsto ad Aquileia, con il momento conclusivo e la possibilità di visitare, guidati, il battistero cromaziano. Il tutto dovrebbe concludersi al massimo alle 14 e ci sarà a disposizione una corriera per poter riportare i viandanti, da Aquileia al punto di partenza a San Canzian.

Ah già, sento già la domanda dei miei 25 lettori: per esserci, cosa devo fare? e quanto costa il tutto? Non costa niente, ma occorre prenotarsi, ahimé entro mercoledì 12 novembre, con il format reperibile al link https://www.basilicadiaquileia.it/it/15916/parole-e-musica-in-cammino-lungo-l-iter-goritiense

Arrivederci a sabato, allora...

sabato 8 novembre 2025

Il cardinale Tagle a Gorizia

 

Questo post è chilometrico e me ne scuso, ma l'assemblea proposta dalla chiesa diocesana di Gorizia è stata troppo interessante per non raccogliere da essa problemi, pensieri e prospettive. Buona lettura! (ab) 

E' stato molto avvincente l'incontro con il cardinale filippino Tagle, uno dei più gettonati papabili in occasione dell'ultimo conclave.

Il personaggio, interrogato da dieci giovani appartenenti al Polo Liceale di Gorizia e alla scuola del Collegio del Mondo Unito, ha tenuto con il fiato sospeso l'assemblea che ha affollato in tutti gli ordini di posti il Centro Culturale Lojze Bratuž.

Gran comunicatore, simpatico, intenso e profondo, ha saputo infondere una ventata di ottimismo, nel cuore di tutti i presenti. Ha anche invitato a pensare alle sofferenze immani del mondo attuale, individuando nella giustizia, nel rispetto, nella verità e nell'amore le parole chiave sulle quali - a suo parere - è possibile costruire un mondo di pace. Molto interessanti anche le risposte ai numerosi interrogativi riguardanti il dialogo tra le religioni, là dove con arguzia ha raccontato la sua esperienza familiare ed ecclesiale in un ambiente per natura improntato all'incontro e al confronto fra le religioni.

Detto questo, mi sembra necessario aggiungere qualche riflessione, anche alla luce del sorriso di convinta condivisione che è apparso sulla bocca di molti, guardando due vescovi applaudire con entusiasmo non solo i bravissimi ragazzi che l'hanno proposto, ma anche il testo di una canzone che proclama la fine delle religioni e la possibilità di armonizzare tutte le differenze esistenti ovunque.

Prima del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica, ancora di fatto ancorata all'antico motto "Extra Ecclesiam nulla salus", negava la possibilità di una salvezza eterna a coloro che, pur ignorandone la necessità, non avevano ricevuto il Battesimo. La teologia medievale aveva perfino inventato il limbo, come luogo di malinconica dimora dei bambini e delle brave persone che si erano comportate bene ma non erano state battezzate. Il Concilio, concluso esattamente 60 anni fa, non nega ma tempera notevolmente questa visione, in parte nella Costituzione Lumen Gentium e soprattutto nella Dichiarazione Nostra Aetate, dove si guarda con un atteggiamento simpatetico all'esistenza delle diverse religioni. Il dibattito postconciliare segue due strade, incarnate in due diverse (inconciliabili?) posizioni.

Da una parte c'è la via propugnata da Giovanni Paolo II e ribadita da papa Ratzinger. Il primo invitava solennemente ogni abitante del mondo ad "aprire, anzi spalancare le porte a Cristo", il secondo ribadiva l'unicità della Salvezza in Cristo, in particolare nel documento Dominus Jesus e in generale nel suo pontificato. Pur non negando la necessità di un dialogo costruttivo tra le diverse religioni, insisteva non solo sulla specificità e superiorità della teologia cristiana, ma anche sulla necessità di riconoscere come fondante la prima sistematizzazione filosofica generata dall'incontro dei primi interpreti cristiani con la filosofia greca.

Dall'altra c'è stata la rivoluzione di Bergoglio. La sua dichiarazione seconda la quale ogni religione è a pari titolo una via per riconoscersi fratelli e innalzarsi verso Dio, pronunciata durante un viaggio nelle Filippine, segna un punto di rottura e di non ritorno. Il documento di Abu Dhabi, sottoscritto dai rappresentanti di molte vie religiose del Pianeta, segna una svolta clamorosa, anche ufficiale, nell'atteggiamento della guida della cattolicità. Questa sera il cardinale Tagle - evidentemente sulla stessa linea di Francesco - lo ha ribadito con inusitata chiarezza: le religioni altro non sono che l'istituzionalizzazione dell'esperienza della fede. La conseguenza è che, come tali, differiscono per la capacità di inserirsi nei diversi contesti, ma non nella loro essenza di risposta ai cruciali interrogativi che albergano nel cuore dell'uomo. Se ne è fatta, e tanta, di strada in pochissimi anni!

Papa Leone XIV non sembra essere pienamente a suo agio in questo orizzonte di rapida trasformazione, appare ogni giorno di più come un elemento di mediazione, schiacciato fra la tensione progressista e quella tradizionalista. Il suo frequente richiamo alla figura del Cristo e l'attenzione alle conseguenze morali dell'appartenenza cristiana sembrano avvicinarlo all'identitarismo Woytiliano, moderando fortemente le personali ed estemporanee performance di papa Francesco che sembrava sul punto di mettere in discussione perfino il catastrofico dogma del Vaticano I riguardante l'infallibilità del Vescovo di Roma, quando parla "ex cathedra Petri". In un certo senso, si può dire che la missione affidata a Prevost sembra quella di ricondurre le pecore nell'ovile - sia quelle "di sinistra" che quelle "di destra" - offrendo motivi di confronto, dialogo e possibilmente riconciliazione.

Resta da capire se non sia ormai troppo tardi e se le due visioni del cristianesimo non siano talmente antitetiche da portare inevitabilmente a una divisione. Entrambe mosse dall'evidente constatazione della generale defezione dei battezzati non solo dal quasi totalmente sconosciuto insegnamento della Chiesa, ma anche dalla partecipazione alla vita comunitaria e sacramentale, tendono a rinsaldare le proprie fila, radicalizzando le proprie posizioni piuttosto che accettare vie di trattativa.

Per questo motivo, l'impressione è che si vada ormai verso la fine della Chiesa Cattolica. Da una parte il vescovo di Roma sembra più che mai indebolito nella sua autorevolezza e autorità, facendo così venire meno quel punto di riferimento unitario che era stato la forza del Potere della Chiesa imperiale lungo tutto il Medioevo e generando numerosi nuovi interrogativi. I cosiddetti tradizionalisti - come peraltro già visto nella Basilica di san Pietro pochi giorni fa - riproporranno una visione letteralista e fondamentalista della Tradizione, ricentrando l'unicità della salvezza in Cristo e rigettando qualsiasi compromesso con il "mondo", inteso nel senso del regno del permissivismo, del relativismo e della disperazione? I progressisti andranno verso una dissoluzione dell'unità cattolica, accompagnando i fedeli in una lettura spirituale, ma anche politica, della situazione del mondo? Proporranno il superamento delle terribili ingiustizie che annichiliscono i popoli, attraverso una testimonianza di fedele e amorevole vicinanza alle persone provate dalla sofferenza e sostenendo - almeno fino a un certo punto - i moti di ribellione e di rivoluzione finalizzati a realizzare la Liberazione dell'uomo da ogni schiavitù?

Da una parte si riproporrà la Chiesa trionfante in un contesto totalmente anacronistico, di progressivo disfacimento degli ancora numerosi centri di potere finanziario e politico, facile preda della strumentalizzazione da parte dei sovranismi neofascisti sostenitori di un'inesistente cittadella insepungabile dell'Occidente? Dall'altra si riproporrà il cristianesimo del "lievito" nascosto che fermenta la pasta dal di dentro, senza necessariamente mettersi in mostra? Da una parte ci sarà il proselitismo nei confronti dei pochi che ancora saranno interessati, dall'altra ci sarà una decisiva enfatizzazione del dialogo paritario in un mondo tornato a essere totalmente pluralista, fino al punto da oltrepassare definitivamente la pretesa dell'unicità del Cristo quale via e verità per raggiungere la vita?

In un caso o nell'altro, la Chiesa cattolica come configurata per oltre 1700 anni, dall'editto di Tessalonica (Teodosio, 380 d.C.) fino ai giorni nostri, sembra destinata, ben presto, a non esistere più. Continuerà invece sicuramente a esistere - e probabilmente di nuovo a prosperare - un cristianesimo pluriforme, più intimamente legato alla soggettività e meno alla comunità, al fascino dell'insegnamento evangelico, fondamento di scelte personali da esso derivate, anche sul piano culturale e sociale. Esso sarà intensamente radicato nell'esperienza originaria e fondante della compagnia del Maestro con i suoi discepoli, ma anche - come nel tempo delle origini - attento e rispettoso nei confronti dell'infinità di diversi linguaggi che caratterizzano il nostro momento. A livello comunitario sarà più attratto dall'impegno dell'accoglienza di ogni essere umano come "fratello", indipendentemente dai suoi "credo" o dalle ideologie, meno direttamente preoccupato delle conseguenze dell'annuncio di Cristo nelle dinamiche etiche e politiche di ogni tempo.

I confini nell'arte, a Villa Manin

Grande spettacolo a Villa Manin. In oltre sedici sale sono esposte oltre cento opere di grandissimi artisti, vissuti tra il XVIII e il XXI secolo.

Il filo che unisce tanto fascino è, come evidente dal titolo della mostra, il "confine", trattato sotto diversi punti di vista, ben introdotti dalle delicate didascalie e - per chi preferisce l'audioguida - dalle parole del curatore Marco Goldin.

Da Gauguin a Van Gogh, da Turner a Rothko, da Cezanne a Monet, dal goriziano Dugo al cervignanese Zigaina fino a tanti, tanti altri, è un progressivo immergersi nel mistero del limite. E' il confine paesaggistico, quasi si potrebbe dire biblico, tra le separazioni della Genesi, la luce dalle tenebre, la terra dal cielo, le acque dalla terraferma... E' il confine tra gli esseri viventi - animali e vegetali - e il regno minerale, la vita che spunta ovunque e che sfida le rocce apparentemente invincibili. E' il confine tra l'essere umano e la Natura che lo circonda, tra la donna e l'uomo, tra gli umani sottilmente divisi dalla linea della pace e della guerra. Ed è il confine tra la propria interiorità e il mondo esterno, dialogo a volte fecondo, altre volte impossibile, l'io come amico o nemico di tutto ciò che lo circonda. C'è spazio per la filosofia, per la teologia, per la storia, per la psicologia e la psicoanalisi, per l'etica, l'estetica e la logica, in un turbinio di linee, forme e colori. Nell'opportuno rifiuto della tradzionale esposizione cronologica, gli spazi e i tempi si intrecciano e trascinano il visitatore in un turbine di sensazioni ed emozioni che lo proiettano ora al di fuori di sé, nella contemplazione estatica o inquieta dell'arte, ora dentro di sé alla ricerca di corrispondenze e suggestive connessioni.

Non può mancare, anzi è forse dominante in ogni rappresentazione, il confine dei confini, la madre di tutte le frontiere, quello fra la Vita e la Morte. L'unico modo di rappresentare questo passaggio misterioso nella dimensione del non-spazio e del non-tempo è l'esperienza artistica che proietta chi la realizza, ma anche chi ne è entusiasta spettatore, in una nuova realtà, che travalica clamorosamente la fragile frammentarietà di ogni essere vivente. Una simile immersione nella Bellezza non può che suscitare una profonda nostalgia dell'infinito e percepire un sottile e malinconico presagio di eternità.

Davvero, da non perdere!

Diritto internazionale contro legge della giungla

 

La guerra, ogni guerra, porta distruzione e morte. Molti dicono che è sempre esistita e sempre sarà. Ma come può un essere dotato di ragione pensare in modo cinico che sia irreversibile la generazione sistematica di sofferenza, altrui e propria? Come si può ritenere "ragionevole" produrre strumenti sofisticati di sterminio, massacrare e farsi uccidere sull'altare di pochissimi detentori del Potere nel mondo, interessati esclusivamente a incrementare la loro potenza? La guerra è il frutto di un'economia perversa, sia essa la necessità antica di rubare nuovi pascoli a una tribù precedentemente insediata o di gestire le moderne risorse vitali del Pianeta conquistandone i punti nevralgici.

Solo un reale diritto internzionale potrebbe temperare la sensazione di impotenza che si prova davanti alle crisi mondiali. Purtroppo né la Società delle Nazioni, né l'Organizzazione delle Nazioni Unite sono riuscite a convincere gli Stati a cedere parte della loro sovranità a tavoli di accordo sovrastatali. In questo modo, di fatto, la legge vigente è proprio quella della giungla. Vince il più forte, il più debole deve adeguarsi o soccombere. Inoltre non si è ancora del tutto oltrepassata la venefica strumentalizzazione dei concetti di Dio (religione), Patria (nazionalismo) e Famiglia (tribalismo, mafia). Sono prospettive facilmente manipolabili da chi - fregandosene in realtà altamente del loro significato - le utilizza per raggiungere i propri obiettivi, scatenando terrificanti massacri di poveri.

Quello che sta succedendo in questo periodo non è purtroppo nuovo, ma due elementi possono essere evidenziati come tragicamente originali. Il primo è lo sviluppo tecnologico degli armamenti, il che rende oggettivamente diversa una lotta tribale rispetto alla possibile autodistruzione dell'intera umanità. Il secondo è la rivoluzione informatica, con il conseguente utilizzo spregiudicato dell'informazione. Ciò che finora si portava avanti mascherando squallidi egoismi con più o meno (più meno che più) richiami valoriali, oggi si dice e si fa alla luce del Sole. 

Non mi va un personaggio che vive in un Paese distante mille chilometri dal mio? Bene, gli spedisco sulla testa un missile e lo elimino per sempre dalla faccia della terra, insieme a qualche decina di altre persone ignare, vittime di "danni collaterali". Voglio destituire un capo da un Paese autonomo? Bene, lo accuso di ogni sorta di malefatte e decido di scatenare contro di lui una guerra, senza alcuna verifica o "processo" coordinato da un qualsiasi giudice. E chi mi autorizza a intervenire da una parte o dall'altra, ad appropriarmi delle risorse presenti in un Continente o nell'altro, a uccidere premendo un bottone senza doverne rendere conto a nessuno? 

Mi autorizza, come diceva il leone nella famosa favola di Esopo, il fatto che io sia più forte di te e che è già tanto che io mi degni di lasciarti eventualmente in vita. Ecco spiegati i tanti pesi e le tante misure delle guerre attualmente scatenate nel mondo! E cosa ci si può fare? Nell'epoca della globalizzazione e del villaggio globale, solo un passo può salvare l'umanità e anche l'intera realtà vivente sulla Terra. Occorrono persone di pace, poste in grado di raggiungere democraticamente i centri di potere, pronte ad avviare un urgentissimo e decisivo processo di costruzione di una Costituzione e di un sistema di Leggi corrispondenti a una visione sanamente internazionalista. Siamo tutti cittadine e cittadini del Mondo, che ci sia allora un modo per garantire, in termini oggettivi, la realizzazione della giustizia e dei diritti individuali e collettivi in ogni angolo del nostro tormentato ma meraviglioso Pianeta.

Utopia, molti diranno scuotendo la testa. Può anche essere, ma che alternativa ci può essere alla corsa agli armamenti, alla moltiplicazione di conflitti più o meno dilatati, al controllo generalizzato dell'informazione, all'idealizzazione della violenza come possibilità di salvaguardia degli interessi di un manipolo di autentici egotici, seminatori di morte?

lunedì 3 novembre 2025

4 Novembre: onore al "disertore ignoto"!

 

Il 4 Novembre ricorda una vittoria mutilata. Ciò non perché, come diceva il guerrafondaio D'Annunzio, all'Italia non era stato dato ciò che era stato promesso. Ma perché da quella cosiddetta vittoria non è scaturito altro che ulteriore violenza, devastazione e ogni sorta di male. 

Eppure si celebra ancora la "festa della vittoria e delle forze armate", pur riconoscendo, quasi unanimemente, l'inutilità dell'enorme sacrificio di un'intera generazione di giovani. A essi, e soprattutto alle centinaia di migliaia di civili che hanno perso la vita nella prima guerra mondiale, va il pensiero mesto di questi giorni. Sono stati costretti a raggiungere i ripari precari, a gettarsi all'assalto alla baionetta, a farsi mitragliare sui fili spinati impossibili da tagliare con cesoie arrugginite, a morire con in bocca l'ultima maledizione a una guerra assurda e a chi l'ha voluta. Meritano tutti, indipendentemente dalla divisa, un umano ricordo. Invece non possono che essere condannate le scelte e le decisioni dei politici che hanno trascinato l'Europa e il Mondo nel conflitto, i generali che hanno ideato la crudele, disumana e terribile strategia che ha provocato quella che papa Benedetto XV aveva definito "orrenda carneficina", coloro che hanno trasformato la fine della guerra nell'anticamera della dittatura fascista. 

Ma c'è una figura di soldato che non viene mai onorata. E ciò è molto strano, dal momento che in tempo di pace essa dovrebbe essere in assoluto la più degna di memoria. E' quella di colui che un tempo veniva chiamato con un certo disprezzo "disertore". Oggi quel nome deve essere totalmente rivalutato. Riguarda coloro che hanno deciso di rifiutarsi di combattere, di uscire dalla fossa per uccidere e farsi uccidere, di avviarsi ubbidienti come pecore al macello. Addirittura sono stati tacciati di viltà, proprio essi che pur di non ammazzare altri giovani uguali a loro, preferivano andare incontro a morte certa, fucilati dai carabinieri nelle retrovie del fronte. Non se ne parla molto, ma il loro numero era molto elevato, decine di migliaia di uccisi dal cosiddetto "fuoco amico" di chi doveva ottemperare ai terribili ordini. Di pochi si conosce il nome, un numero considerevole è scomparso dalla storia così, senza una corona, senza il riconoscimento del sacrificio supremo, quello di chi preferisce perdere la propria vita piuttosto che toglierla ad altri esseri umani.

In questo 4 novembre 2025 onoriamo questi "disertori" della prima guerra mondiale, quelli che hanno combattuto contro la morte rifiutandosi di imbracciare le armi. In un momento nel quale sembra che la voce della armi torni a essere riconosciuta come un'opzione possibile nei contesti di crisi internazionale, prendiamo esempio da questi autentici profeti della nonviolenza. Anche se non si ricordano le "madri" che hanno perso in questo modo i loro figli, i loro nomi sono scolpiti nell'alto del cielo degli operatori di pace. Non esiste ancora un monumento "al disertore ignoto", neppure uno dedicato a quelli di cui si conosce il nome. Forse è giunto il momento di costruirlo!

La voce dei Camuni

Oggi, una storia viandante...

Sono un po' nascosti, nella valle dell'Oglio che dal passo del Tonale scende fino al Lago d'Iseo e alla pianura, presso Brescia. Forse per questo non sono tanto conosciuti ed è un vero peccato. L'incontro con i Camuni è estremamente interessante, sia con quelli moderni, simpatici e accoglienti, promotori di un turismo ancora molto lontano dall'essere "over" che con quelli antichi.

Questi non soltanto hanno abitato per millenni la Valcamonica, ma hanno anche raccontato la loro storia attraverso un'arte che non si sa se definire "primitiva" o "ultramoderna". Di loro non si conosceva neppure l'esistenza fino al 1909 (guarda caso, lo stesso anno della scoperta dei mosaici teodoriani di Aquileia). Uno studioso, incappato per caso nel masso di Cemmo - un blocco di pietra precipitato dalla roccia sovrastante qualche decina di migliaia di anni fa, non lontano dalle abitazioni del suggestivo paese di Capo di Ponte - si è accorto delle incisioni. Non che la gente non se ne fosse accorta prima, qualche segno l'avevano visto e chiamato "pitote", in dialetto "rozzo disegno di bambini". Ma sarà solo con l'arrivo di Emanuel Anati nella valle che si arrivò alla ricerca sistematica e all'individuazione di qualcosa come oltre sessantamila graffiti, istoriati sulle pietre levigate dai ghiacciai. Ciò che stupisce, oltre a tutto il resto, è la durata. Si parla di siti frequentati per quattro - cinquemila anni di seguito, caratterizzati da elementi di vita ordinaria intrinsecamente legati a una visione religiosa della vita e del cosmo. Le sopravvivenze di questa religione della natura sono ancor talmente forti in epoca paleocristiana, da suggerire ai responsabili della comunità ecclesiale di sostituire le pietre sacre e le rappresentazioni animatiste con simboliche maggiormente pertinenti la nuova fede. La chiesa di san Siro, dominante questa parte della Valle, sembra abbia origini nel IV secolo e la sua interessante cripta potrebbe aver sostituito uno dei punti di culto degli antichi Camuni.

E' facile vedere le incisioni rupestri, diffuse un po' ovunque, dal Lago d'Iseo in su. Tuttavia il Parco Arhceologico di Naquane offre una sintesi completa dei temi e delle intuizioni di questi nostri antichi progenitori. In particolare è impressionante la roccia levigata dalla quale si intravvede la cima di una delle due montagne sacre, il Pizzo Badile Camuno, la cui ombra si dice tocchi la pietra al mezzogiorno del solstizio invernale. L'altra montagna, quella della notte, è la splendida Concarena. E' evidente come popolazioni vissute fra il VI  e il I millennio a.C. abbiano lasciato diverse testimonianze della loro concezione dell'esistenza e dell'universo, tuttavia nella loro diversità, ritornano dei motivi costanti. Ci sono elementi geometrici più o meno elaborati, come per esempio la cosiddetta "rosa camuna". In alcuni casi si rappresentano i villaggi palafitticoli, in altri addirittura delle vere e proprie carte geografiche che localizzano le diverse abitazioni. La natura è dominante, con un evidente processo di divinizzazione degli elementi legati alla vita. Il cervo è il protagonista principale, il principale oggetto dello caccia, ma anche la presenza del divino nella realtà: mangiando la carne del cervo non soltanto si ha la possibilità di sopravvivere fisicamente, ma si assume anche quella natura divina che caratterizza l'essere umano in quanto tale. Il cervo è la vittima, ma è anche colui che da la forza al cacciatore, la relazione tra i due è di vita e di morte nello stesso tempo. Nessuno è ancora pienamente uomo, se non si è misurato nella gara iniziatica della caccia al cervo. Naturalmente si riconoscono anche gli animali domestici, il cane, il cavallo che traina dei rudimentali carri, le mucche che pascolano tranquille. E' una testimonianza impressionante del passaggio alla pastorizia e all'agricoltura, un continuo immergersi nella vicenda storica attraverso questa specie di affascinanti fumetti. 

Una delle incisioni rappresenta il labirinto, qualcosa che sembra simile al cervello come intrico di linea prospettiche capaci di generare il pensiero. Ma pensando a simili immagini presenti un po' ovunque - come dimenticare quello presente nella Cattedrale di Chartres o lungo i cammini dei pellegrini medievali - non si può intravvedere nel labirinto l'ansia dell'uomo alla ricerca della Verità o la consapevolezza del mistero nel quale siamo immersi e dal quale spesso non sappiamo come uscire? Sono proprio dei rozzi intagliatori di montagna questi Camuni o sono esseri umani molto consapevoli del loro stato, che non rappresentano la realtà per così dire fotograficamente, ma la trasfigurano attraverso la loro sensibilità e profetica filosofia? Queste donne e questi uomini che sembrano danzare a braccia alzate e gambe divaricate in una preghiera rivolta verso il cielo, sono forse specie di ex voto intagliati nella pietra da sacerdoti a ciò delegati in quello che probabilmente era il più importante santuario dell'intero arco alpino, almeno tra il V e il I millennio prima di Cristo.

Ma sono soprattutto il messaggio che ci viene inviato dalla notte dei tempi, un invito caldo a sentirci tutte e tutti parte di questa meravigliosa umanità, a sentirci parte di un'unica famiglia, della quale i camuni sono una parte che ha qualcosa da dirci, da trasmetterci. E' un invito alla pace, alla concordia, alla bellezza di accogliere gli uni la cultura degli altri, a portare avanti il testimone di una bellezza fragile che siamo chiamati a custodire e - perché no? - anche ad amare. 

domenica 2 novembre 2025

Cosa sta accadendo in Slovenia? Kaj se dogaja v Sloveniji?

 

La Slovenia è stata scossa in questi giorni da un sanguinoso fatto di cronaca. Non è soltanto questo il problema, quanto la gigantesca copertura mediatica, la strumentalizzazione politica e le conseguenze sociali che hanno accompagnato l'evento.

Si tratta dell'omicidio di un ristoratore quarantottenne, avvenuto la scorsa settimana a Novo Mesto, in un contesto di discussione sfociata in tragedia.

Fino a qua tremendo, ma non certo straordinario. In realtà da quel momento è iniziata una serie ininterrotta di discussioni, a ogni livello possibile, dal dibattito parlamentare ai talk show televisivi, dalle chiacchiere in bar alle riflessioni nell'ambito delle famiglie.

Il motivo scatenante un tale gigantesco interesse travalica i confini della Repubblica di Slovenia e coinvolge l'utilizzo strumentale e politico del crimine. Il guaio è che il sospettato, consegnato alla giustizia, appartiene alla comunità Rom. Da qui il sollevamento di popolo che, fomentato dai partiti della destra, ha chiesto a gran voce interventi severi e duraturi nei confronti dei membri del gruppo.

All'intervento della piazza ha risposto immediatamente il governo Golob, con una duplice azione che ha sorpreso sia gli oppositori che parte degli alleati della maggioranza di centro e sinistra. Da una parte ha accettato le dimissioni - a distanza di 24 ore! - dei ministri dell'Interno e della Giustizia, dall'altra ha promesso davanti alla folla radunata interventi mirati sul territorio per garantire "la sicurezza". Da questo punto di vista, è stato ventilato un grande rafforzamento di polizia ed esercito, finalizzato a tenere sotto controllo le città.

Forse questi interventi sono stati suggeriti anche dalla necessità di offrire garanzie alla popolazione, in vista delle ormai prossime elezioni politiche del 2026. Tuttavia a molti è sembrato troppo repentino ed eccessivo, sia l'allontanamento di ministri la cui responsabilità, in merito a un episodio avvenuto fuori da ogni contesto politico, sarebbe tutta da dimostrare, sia la prospettiva di rafforzare la presenza delle forze dell'ordine, con il rischio che da un fatto di cronaca ci si indirizzi verso uno stato di polizia.

Il fatto è che simili episodi, soprattutto se legati a liti che sfociano in atti di sopraffazione, non hanno nulla a che fare con questioni di ordine culturale, se non in quanto espressione di ignoranza o di incapacità di controllare i propri istinti. Questa tipologia di violenza non può essere prevenuta con leggi speciali, ma con la lenta e faticosa costruzione di una società aperta, accogliente, tollerante. Si tratta di investire molto nell'ambito dell'assistenza sociale, della presa in cura di situazioni umane complesse, dell'istruzione. Occorre che insieme - istituzioni e cittadini - creino situazioni di reciproca accettazione tra le diverse componenti della società. Illudersi di risolvere le questioni attraverso la repressione e non anzitutto con la prevenzione, significa al contrario incrementare le divisioni costringendo le persone a rinchiudersi nei propri ghetti. Occorre anche stare attenti nell'esaltare come un valore fondamentale e un richiamo ossessivo la dea "Sicurezza". Ciò non perché non sia importante, ma in quanto facilmente utilizzabile, soprattutto dalle destre di tutto il mondo. Esse prima seminano a piene mani insicurezza, poi additano il capro espiatorio di turno non nell'individuo che sbaglia ma accusando e perseguitando "nel mucchio" tutti i componenti delle categorie sociali non pienamente allineate con il loro punto di vista.

Sarà interessante scoprire se l'atteggiamento del presidente Golob e di parte della sua maggioranza avrà un riscontro tra la gente. Il rischio è che si trasformi in un boomerang e che gli elettori di sinistra non lo seguano perché delusi da un eccesso di interventismo, mentre quelli di destra, ritenendo le azioni insufficienti, decidano di sostenere l'originale (l'oppositore number one, Janez Janša) piuttosto che fidarsi di quella che essi ritengono una copia.

P.S.: besedilo lahko preberete tudi v slovenščini, če v okencu "Translate" desno izberete jezik.

sabato 1 novembre 2025

Questa demolizione non s'ha da fare, né oggi né mai!

 

Lo vedete questo significativo frontone? Ebbene, tra breve potrebbe essere ridotto a macerie, insieme all'intero, grande edificio che lo sostiene.

Sulla sinistra (della foto) c'è la "Scientia", simboleggiata dall'albero della conoscenza del bene e del male, sulla destra la "Charitas", con una bella e fruttifera palma. Gli strumenti portati dagli angeli della sapienza e dell'amore sono quelli che caratterizzano il personale, socio sanitario, infermieristico, medico.

E' l'ospedale civile di Via Vittorio Veneto, oggetto di strenua difesa da parte dei Comitati cittadini, dai primi anni '90 del XX secolo in poi. Si volevano evitare il doppio acquisto del San Giovanni di Dio da parte della Regione, il depotenziamento delle strutture sanitarie goriziane, la realizzazione di piani sanitari studiati a tavolino nel nome dell'efficacia aziendale più che del servizio alla persona sofferente. Si voleva evitare anche il sempre più marcato fenomeno della privatizzazione e si intendeva difendere il grande valore e la conquista della sanità pubblica. 

L'idea fondamentale era quella della collaborazione con il vicinissimo ospedale di Šempeter, una proposta che sarebbe stata all'avanguardia a livello internazionale, economicamente sostenibile e anche pionieristica, anticipando di almeno venti anni la proclamazione della Capitale europea della Cultura.

Ebbene, nulla di tutto questo è accaduto, anzi, dopo un periodo di grande incertezza sul destino del vecchio ospedale, ora si è alla vigilia della sua completa demolizione. Si dice, per realizzare un centro - oggi si dice un campus - per gli studenti del territorio, che verrebbero invitati a lasciare il centro cittadino per svolgere le loro attività scolastiche ai margini della città. E' difficile prevedere tempi di distruzione e ancora di più quelli di ricostruzione. Pur incrociando le dita, è più facile pensare all'ormai quasi trentennale vicenda degli ascensori al castello di Gorizia. La vicenda dell'ex "civile" avrà lo stesso destino? Per il momento, quasi di nascosto per evitare proteste, è stata rasa al suolo la chiesetta dall'ex Ospedale psichiatrico, luogo che custodiva molte memorie culturali, sociali e sanitarie della città.

Si è ancora in tempo per fermare le ruspe? Per immaginare un futuro diverso per questo spazio "storico" per i Goriziani? E, prima di tutto, nel clima di GO25, si è pensato qualcosa insieme a Nova Gorica e Šempeter Vrtojba, tenendo conto che la demolizione e la nuova (eventuale) destinazione coinvolge inevitabilmente anche le persone e le strutture che si trovano al di là del muro di recinzione? Ciò vale in termini di salute - i materiali polverizzati potrebbero essere fortemente nocivi alla salute di chi vive nei dintorni; in termini strategici - uno spazio che potrebbe essere veramente pensato e realizzato insieme; in termini paesaggistici - si, perché anche il paesaggio è un bene comune, anzi, uno dei più importanti beni comuni!  

Santi: tutti o nessuno...

 

Pinzolo, Danza macabra

Se intendiamo con la parola "santo" un essere riconosciuto come già iscritto nell'albo dei salvati, non ne esiste alcuno sulla faccia della terra. Ciò vale anche per il suo contrario. Potrebbe aver senso che esistano santi e dannati, se la vita non avesse limiti. Essendo invece evidentemente condizionata da un inizio e da una fine, nessun uomo può raggiungere vertici di bontà o di cattiveria talmente trascendenti le categorie esistenziali da meritare un premio o un castigo eterno. Meglio allora rassegnarsi a una certa "mediocritas", condizionata dagli ambienti e dai contesti in cui si vive, che favoriscono il realizzarsi di modelli di umanità più o meno affascinanti o riprovevoli. E immaginare i "santi", in linea con la chiesa dei primi secoli, semplicemente come "appartenenti" alla comunità dei cristiani o meglio, diremmo oggi, alla famiglia degli umani e più in generale ancora, dei viventi. Allora sì, oggi è la festa di tutti, proprio di tutti i santi, ancora in cammino sulla terra o già passati al di là dell'ostacolo definitivo. E domani, due novembre, si metterà a tema proprio quel muro misterioso, frontiera tra l'al di qua e l'al di là. Ecco di seguito una breve riflessione sul tema, tratta dal settimanale Novi Matajur. (ab)   

Dagli alberi cadono le foglie, le giornate sono sempre meno illuminate dal Sole, si accendono i colori dell’autunno, ultimo sussulto di bellezza prima della pausa invernale. E’ un periodo che ha sempre impressionato l’homo sapiens, che ha dedicato questi giorni a un particolare e malinconico pensiero. Insieme al tramonto della Natura si ricordava il tramonto della vita, si dava forma al desiderio di incontrarsi di nuovo con i morti, si celebravano riti propiziatori di passaggio. Queste usanze erano talmente radicate che papa Bonifacio IV, agli albori del VII secolo, istituì la festa di “Ognissanti” e Gregorio III (metà VIII secolo) la stabilì definitivamente il Primo Novembre. A essa si unì ben presto la Commemorazione del 2 novembre, dedicata a tutti i fedeli defunti. La tradizione precristana continua a vivere sotto diversa forma, ma con identica sostanza: la tristezza per la fine, la consolazione del rito, il desiderio della compagnia di chi ci ha preceduto. In un modo o nell’altro, lo stesso Halloween - non a caso richiamo in inglese americano a “tutti i santi” - porta una ventata di contemporaneità a miti e valori la cui origine è fissata dagli antropologi nella notte dei tempi.

In fondo, tutto ciò porta a una semplice, ma drammatica constatazione. Che cosa accomuna ogni essere umano, anzi ogni vivente? La morte. Da Gil Gamesh che nel primo Fantasy della storia percorre monti e mari per trovare le fonti dell’immortalità ai sillogismi aristotelici, dagli appelli dei padri della chiesa alle suggestioni dell’Oriente, dai Sepolcri del Foscolo alla meditazione sull’essenza dell’essere di Heidegger, dalle danze macabre ai trionfi della morte rinascimentali... è sempre dominante il tema del confine dei confini, della madre di tutte le paure, quella che condiziona tutte le altre. Ogni perdita è un piccolo o grande riflesso della fine della vita, del timore di quell’apparente “ni-ente” che contraddice così clamorosamente la consapevolezza dell’”ente”. Si è di fronte a ciò che non può essere pensato, perché sfugge alle categorie dello spazio e del tempo, le uniche attraverso le quali siamo in grado di rappresentare la realtà. La morte sfugge al controllo della ragione, è una porta verso l’ignoto, o forse una finestra aperta sull’infinito o semplicemente la fine di tutto. Questo spazio di non conoscenza le consente di sfuggire all’invasione della tecnica, alla strumentalizzazione della coscienza, alle pretese incontrollabili del sapere. In un momento nel quale siamo in grado, premendo lievemente su un tasto, di ricevere miliardi di informazioni su qualsiasi remota piega dell’esistente, la morte si para davanti a ciascuno di noi come l’assoluto in-comprensibile, temuta dagli opulenti viaggiatori della postmodernità, desiderata da chi - piegato dalla miseria, dalla sofferenza o dalla disperazione, non trova un motivo sufficiente per continuare a vivere.

Ecco allora l’auspicio, nella più classica delle feste autunnali. Se tutti ci aspetta quella che Francesco chiamava “sorella”, perché non dedicare ogni istante a far sì che ogni vivente possa gustare ogni frammento della sua esistenza, nella gioia della solidarietà e dell’amore?

giovedì 30 ottobre 2025

Don Sergio Ambrosi, un uomo, un prete.

 

Ho tanti ricordi di don Sergio Ambrosi, cominciando da quando frequentavo gli affollatissimi campi scuola dell'Azione Cattolica a Bagni di Lusnizza. Eravamo ragazzi, tra i 9 e i 13 anni, ci accompagnavano ottimi educatori, di poco più vecchi di noi e spesso comparivano i giovani preti. Correvano i primi anni '70 e loro transitavano portando una ventata di gioventù e di allegria.

Di lui si dicevano molte cose belle, tra esse la passione per il calcio. Si diceva che avesse dovuto compiere una difficile scelta tra la continuazione del percorso in Seminario verso il sacerdozio e l'accettazione delle proposte niente meno che della Juventus. E si parlava perfino di un impegno diretto con l'associazione calcistica Audax, del Pastor Angelicus di Gorizia, sotto uno pseudonimo che per un periodo gli avrebbe consentito di prepararsi a diventare prete, senza trascurare del tutto il gioco del pallone.

Ritrovato parecchi anni dopo negli imperscrutabili meandri della vita, abbiamo avuto modo di collaborare spesso. L'ho sempre stimato per il carattere apparentemente riservato che lo rendeva naturalmente incline ad ascoltare le persone e a farsi carico - il più delle volte silenziosamente - dei problemi e delle necessità degli altri. Aveva svolto molti incarichi, quelli più strettamente curiali, come direttore dell'ufficio catechistico nei pionieristici anni del dopo Concilio, come economo diocesano e anche direttore dell'Istituto Contavalle durante l'episcopato di Padre Bommarco; e quelli più marcatamente pastorali, come partecipante alla comunità sacerdotale di sant'Anna, subito dopo la complessa vicenda che aveva portato all'allontanamento di don Alberto De Nadai, come assai amato parroco nel Duomo di Gorizia prima, a Cormons  e poi ancora a Gorizia e via dicendo.

Al di là dei diversi mandati, svolti sempre con grandissimo impegno, ha brillato per la sua onestà. per la dolce autorevolezza e per una vera e propria religione dell'amicizia. Ovunque ha cercato di stare accanto ai più deboli, senza anteporre la sua persona alla missione ricevuta. Non ha mai proclamato sui giornali le proprie imprese, ma ha sempre saputo collocare parole e azioni nei momenti più adeguati. E ha creduto molto al primato delle relazioni interpersonali rispetto alle dottrine dogmatiche. Ciò è accaduto nella costruzione dei ponti di amicizia e cultura fra sloveni e italiani, in particolare attraverso la realizzazione dell'Associazione Concordia et Pax, ma anche - e soprattutto - nelle quotidiane frequentazioni con preti e laici del Goriziano, da una parte e dall'altra di quel confine che senz'altro ha contribuito efficacemente a smantellare.

Per più di cinque anni siamo stati commensali, tra il 1998 e il 2003, nella piccola cucina della Casa del Clero in Corte sant'Ilario. Erano gli anni successivi al Sinodo diocesano, con lui, mons Simčič e gli altri partecipanti, si discuteva quotidianamente di questioni teologiche e pastorali, ma anche con grande passione, di politica internazionale e locale. E lì avevo scoperto meglio la grande umanità di don Sergio, straordinario amante e conoscitore dei segreti della natura, cacciatore dal cuore d'oro, simpaticissimo compagno di sempre interessanti conversazioni. Era una persona che, pur dimostrando una fede profonda e molto radicata nell'esperienza di vita, non nascondeva l'elemento di un dubbio intelligente, che emergeva spesso in un sorriso ironico e a volte un po' misterioso. Era come se volesse custodire gelosamente una dimensione intima, che richiedeva rispetto e anche un po' di ammirazione. Era la sfera interiore, il centro propulsore di tutto, basato sull'intenso e personalissimo colloquio "io-tu", con quel mistero divino al quale aveva affidato la sua esistenza.

Insomma, un vero uomo e anche, proprio per questo, un bravo prete. Grazie don Sergio!

domenica 26 ottobre 2025

Go25 e il dialogo interreligioso

 

Nei prossimi giorni si terrà a Gorizia il festival del dialogo interreligioso, con l'accattivante titolo Terre di pace.

Purtroppo non mi sarà possibile partecipare e mi dispiace davvero, perché è una bella e importante occasione per conoscere, riflettere e crescere nelle buone relazioni.

Se ne parlerà molto, in questo contesto interessa offrire un paio di interrogativi che troveranno sicuramente risposta nell'incontro goriziano.

Il primo riguarda i concetti di religione e di dialogo. La domanda fondamentale, alla quale sicuramente l'Oriente risponde in modo più adeguato rispetto all'Occidente, è relativa alla pretesa unicità di ciascuna religione. Le cosiddette vie "del libro" - ebraismo, cristianesimo, islam - ritengono di essere le uniche depositarie della Verità rivelata da Dio. Ciò vale tuttora, anche per lo stesso cattolicesimo, fino al Concilio Vaticano II convinto del fatto che "extra Ecclesiam nulla salus" e anche successivamente abbastanza restio al confronto paritetico con gli altri percorsi religiosi. La pretesa unicità della propria via religiosa è il maggior ostacolo a un autentico dialogo, il quale per definizione dovrebbe presupporre la parità di condizioni di tutti gli interlocutori.

Certo, c'è la possibilità di aggirare l'ostacolo, cercando "ciò che unisce piuttosto che ciò che divide". In questo caso la relazione tra le diversità può effettivamente risultare una ricchezza, ma non toccando il punto fondamentale, obiettivamente lascia tutti nella propria posizione senza modificare alcunché.

Si può porre anche il problema da un altro punto di vista. Le religioni altro non sono che diverse strade per manifestare - attraverso miti, riti e sistemi valoriali - il rapporto con il medesimo e unico Dio. Questo percorso, che libera il mistero trascendente da speculazioni che non possono altro che essere frutto dell'umana ragione, trasforma tuttavia ogni religione in un sistema politico e culturale di natura esclusivamente umana. A questo punto, diventa veramente difficile esercitare il principio del cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. In relazione a concezioni dogmatiche fondamentalmente lontane dalla vita quotidiana si può anche arrivare a stabilire dei principi comuni, come proposto spesso dal per questo criticatissimo papa Francesco e scritto nell'interessante documento di Abu Dhabi. Se invece si mette a tema la realizzazione politico culturale di ogni religione, è necessario misurarsi su temi estremamente concreti, se non si vuole rimanere confinati in un'insopportabile genericità.

Sarebbe bello che il meeting di Gorizia affrontasse i fondamenti teologici e filosofici di un dialogo tra sistemi di rappresentazione della fede. Ma sarebbe importante anche che fossero messi in discussione gli elementi fondamentali della contemporaneità: il ruolo delle religioni - o meglio in questo caso delle confessioni cristiane - nella guerra tra Russia e Ucraina, la questione religiosa nel genocidio del popolo palestinese, i fondamentalismi cristiano islamico ed ebraico e inoltre, per venire a casa nostra, il dialogo interreligioso in ambiti di significativa convivenza, come per esempio la realtà di Monfalcone.

In questo modo, dalla discussione potrebbe nascere un vero e concreto Manifesto per il futuro, non un semplice elenco di buone intenzioni, delle quali, come si sa, sono piene le fosse.