lunedì 6 gennaio 2025

Andrej Tarkovskij, tra speranza e sacrificio

Nell'indimenticabile film "Sacrificio" di Andrej Tarkovskij, la speranza di evitare l'olocausto nucleare è affidata a un bambino che, versando ogni giorno dell'acqua su un ramo secco abbandonato sulla riva del mare, è convinto di farlo rifiorire.

Il protagonista non è lui, bensì un vecchio ossessionato dalla possibile autodistruzione del mondo. Questi, identificando la minaccia nella sua forma di vita ordinaria, un tempo si sarebbe detto borghese, decide di dare fuoco a tutto ciò che rappresentava il suo sistema esistenziale, per proiettarsi negli spazi di una libertà svincolata dalle tenaglie della materia.

Sono passati quasi 40 anni dalla morte del grande regista russo e il suo messaggio è più attuale che mai. Dagli anni '90 del XX secolo si è aggiunto il pianeta virtuale che alla sicurezza fornita dal possesso dei beni materiali ha aggiunto quella resa possibile dalla fuga nella realtà globale consentita da internet, dai personal computer e dai telefonini cellulari. 

Bombardati da mattina a sera da miliardi di informazioni, senza alcuna possibilità di verifica della loro plausibilità, avvolti nel continuo fragore di musiche assordanti, accecati da luci psichedeliche, passiamo buona parte della nostra giornata ad adorare piccoli e grandi schermi. In treno, per strada, in famiglia, ovunque, ci pervengono costantemente parole e immagini che ci raccontano la Verità di quei pochi che ne posseggono i codici. Se usciamo di casa senza lo smartphone ci sentiamo smarriti, non vediamo l'ora di ritrovare il nostro aggancio con l'"al di là", sapere che cosa google ci propone come fatto importante accaduto nell'ultima mezz'ora o vedere quanti "amici" hanno lovvato (che neologismo!!!) la nostra pagina facebook.

Il mondo fisico e spirituale, dal quale i più si sentono sempre maggiormente staccati, continua con il suo immenso carico di poche gioie e di tanti dolori. Anch'essi ogni tanto bucano la virtualsfera dell'apatia, ma a intermittenza, cosicché ci si riesce a piccole dosi ci si riesce ad abituare perfino al mistero della nascita, dell'amore e della morte. E' una vaccinazione morale che impedisce al virus della Realtà di attecchire nelle nostre menti e soprattutto nei nostri cuori, indebolendo ragioni e sentimenti, accompagnandoci verso la triste realtà di morti che camminano, facile preda del Potere di turno. E' il trionfo della Retorica - direbbe il buon Carlo Michelstaedter - il soffocamento della Persuasione.

La forza omologante del Sistema può essere depotenziata proprio dalla Speranza, quella del bimbo alle prese con il ramo secco sulla riva del mare. Ci sono alcune condizioni esistenziali che rappresentano questa apertura d'orizzonte, alcune persone le vivono integralmente e diventano dei segni, dei veri maestri che senza parole indicano un atteggiamento che dovrebbe essere quella di tutti. Sono i senza tetto e i pellegrini. Spesso la situazione degli uni e degli altri è la stessa. Sono coloro che non possono rispondere alle classiche domande che poniamo a chi incontriamo per la prima volta: dove abiti? che lavoro fai? con chi vivi? Essere senza casa, senza una professione dalla quale ricavare il sostentamento, spesso senza un punto di riferimento affettivo stabile. Molti si trovano in queste condizioni per costrizione, altri per scelta. Sono i profughi che abbandonano tutto per cercare altrove sopravvivenza, i viandanti che non sopportano più il tran tran quotidiano, le persone ai margini della società cosiddetta "civile", i carcerati, i rinchiusi nei cpr. 

La possibilità di vincere il degrado del mondo, di fermare la sfera terrestre nel suo rotolare sul piano inclinato della rovina, non sta nell'idealizzare la condizione di chi non ha un tetto sotto il quale dormire, ma nel cogliere da questa enorme massa di persone che vivono nella povertà assoluta l'indicazione di un modo totalmente alternativo di usufruire di ciò che si "possiede". La libertà spirituale dal possesso è la condizione per poter sperare, oltre che la fonte naturale della condivisione interpersonale e della solidarietà sociale.

domenica 5 gennaio 2025

Da Aquileia un messaggio di misericordia e di speranza

 

La basilica di Aquileia (foto M.Vecchi)
Da questa domenica, 5 gennaio, la basilica di Aquileia è chiesa "giubilare". Lo è come San Pietro a Roma, come la Cattedrale di Gorizia e tante altre. 

Sarà perché l'ambiente è di quelli che non lasciano mai indifferenti, sarà per la sobrietà dei gesti, dei canti e delle parole, sarà per l'intensa omelia dell'Arcivescovo, sarà perfino per il freddo che penetrava nelle ossa e per la non proprio massiva partecipazione... Fatto sta che la celebrazione è risultata molto coinvolgente, a tratti anche emozionante. 

Si può essere credenti o meno nella dimensione trascendente del cristianesimo, ma due parole che hanno dominato questo periodo natalizio devono essere prese seriamente in considerazione: speranza e misericordia.

Entrambe possono essere declinate in termini del tutto laici.

La speranza è la virtù di coloro che, constatando e denunciando l'ingiustizia e il male presenti nel mondo, si rimboccano le maniche per portare un contributo efficace a un cambiamento. Non esiste situazione nella quale non sia possibile trasformare la violenza in azione costruttiva, la vendetta in perdono, l'iniquità in profonda giustizia. In fondo, tutto ciò è dimostrato anche dal prossimo inizio della capitale europea della cultura 2025. Tanti sottolineano la domanda "chi l'avrebbe mai detto?" In realtà, lo avrebbe detto chi ci ha creduto fino in fondo e che per quasi ottanta anni, da una parte e dall'altra del vecchio confine, ha richiamato la bellezza della diversità linguistica e culturale, ha varcato senza paure e con piacere il confine, ha costruito relazioni e amicizie, ha lottato per garantire a tutti il diritto di esprimersi nella propria lingue nei luoghi pubblici, ha incentivato il plurilinguismo, ha studiato in modo oggettivo la storia, ha rispettato il dolore dell'altro. In altre parole, che Nova Gorica e Gorizia si sarebbero congiunte, lo hanno detto le donne e gli uomini di speranza che dal 1947 a oggi hanno operato perché tutto questo accadesse.

La misericordia è la capacità di credere che ci sia sempre un'altra possibilità. In questo senso, i gesti simbolici compiuti a Rebibbia e, nel nostro piccolo, davanti alla casa circondariale di via Barzellini, potrebbero essere molto importanti, se esprimessero una forte volontà di accoglienza di coloro che hanno commesso degli sbagli, da parte delle persone che fanno parte delle comunità che tali segni propone. Due realtà sembrano soffocare la vita collettiva e quella individuale. Da una parte l'incapacità di comprendere il senso del termine perdono. Ovunque si invoca la pena, al punto da far dimenticare i tanti tentativi di creare delle alternative e al sistema carcerario, più consone al bene e alla dignità della persona. Chi ha sbagliato, deve pagare! Questa è la legge delle caverne, riproposta nel mondo postmoderno con un sistema di prigionia che ha provocato, solo nello scorso anno, quasi cento suicidi. La società, sempre alla ricerca del colpevole, ha bisogno di un nuovo punto di vista, impregnato appunto di misericordia, la forza di trasformazione che rende possibile trasformare le spade in aratri e le lance in falci.

L'altro versante della questione, più legato alla dimensione individuale, è il senso di colpa. La vera pena da scontare, quando si compie un atto ingiusto o si provoca nell'altro un dolore, è proprio il senso di colpa che attanaglia e rende impossibile l'azione, incrementando l'arroganza e la presunzione oppure sprofondando la persona nella disperazione. La prevenzione del male non passa attraverso l'incentivazione del senso di colpa, al contrario quest'ultimo è la radice di una violenza inaudita contro gli altri e contro sé stessi. La misericordia verso sé stessi non è solo un atto che consente di continuare a vivere, ma è anche un toccasana per la società. L'errore, inquadrato nella pazienza verso sé stessi e verso gli altri, viene depotenziato, svuotato della sua carica distruttiva. Se invece enfatizzato dal senso di colpa, continua a produrre i suoi effetti in un crescendo tragico nel quale l'orgoglio ferito dalla propria debolezza e il senso di potere vilipeso, si trasformano in volontà di offesa che può giungere fino all'omicidio. Il senso di colpa è tipicamente maschilista e patriarcale, la misericordia è profondamente femminile e matriarcale.

Il Giubileo, laico o religioso che sia, è un momento privilegiato nel quale cancellare il senso di colpa con la misericordia e nel quale vincere la tentazione della passività pessimista con la rivoluzionaria speranza in una nuova umanità.

giovedì 2 gennaio 2025

Trilogia della frontiera, obmejna trilogija, il 9 gennaio al Kulturni dom

 

Viva attesa per la triplice presentazione che si terrà giovedì 9 gennaio, alle ore 17.30, presso il Kulturni dom di Gorizia.

Saranno presenti Giustina Selvelli, autrice di "Capire il confine", Alessandro Cattunar, della "Storia di una linea bianca" e Andrea Bellavite, autore della guida pubblicata da Ediciclo in italiano con il titolo "Gorizia Nova Gorica, due città in una" e da ZTT in sloveno con "Gorica Nova Gorica povezani mesti". Introdurrà l'incontro la storica Anna Di Gianantonio e interverranno Anna Cecchini ed Eleonora Sartori, oltre a molti altri.

Ciascuno dei libri è stato già più volte presentato, anche nell'ambito dell'ottima rassegna "il libro delle 18.03".

Ora i tre testi, molto diversi come contenuto e approccio metodologico, ma molto simili dal punto di vista ideale e filosofico, per iniziativa di Anna Cecchini vengono rivisitati insieme, consentendo un interessante dialogo, nel quale
plausibilmente ogni intervento completerà e arricchirà quello degli altri.

Ci sarà ovviamente anche molto spazio per chi vorrà intervenire, perché le "città congiunte" non appartengono (soltanto) ai politici o ai tecnici, ma a ogni cittadina e cittadino che vi abita, momentaneamente o definitivamente.

E' un contributo interessante e significativo, anche in vista dell'ormai prossima scadenza dell'8 febbraio quando finalmente, dopo tanta aspettativa, inizierà il percorso della Capitale europea della Cultura. In modi diversi infatti Selvelli Cattunar e Bellavite richiamano la dimensione popolare e coinvolgente dell'esperienza goriziana, in particolare anche se non esclusivamente nel Novecento. La Capitale culturale d'Europa non è tale per i suoi peraltro cospicui monumenti storici o per le meravigliose potenzialità naturali, ma per la capacità degli abitanti di dimostrare quanto sia bello e costruttivo vivere in una terra caratterizzata dalla diversità linguistica e culturale.

Sarà bello ascoltare persone che parlano da tanti diversi punti di osservazione e inviare un messaggio interessante e importante all'intera comunità del "Goriziano". Veramente, da non perdere!

Auguri matematici

 

Nessuno può prevedere come sarà l’anno nuovo. Tuttavia, dal punto di vista matematico si può già essere sicuri: il 2025 è certamente straordinario. Corrisponde infatti a 452; è il primo anno “quadrato” dopo il 1936, il prossimo sarà il 2116; è il prodotto di 92 x 52; è la somma di 402 + 202 + 52; infine è la somma dei cubi dei numeri da 1 a 9 (13+23+33+43+53+63+73+83+93). Provare per credere! In ogni caso, a chi legge auguro infiniti auguri che, elevati al quadrato o al cubo, restano sempre infiniti… 

mercoledì 1 gennaio 2025

...e l'anno che viene. Un'esperienza lungo il bellissimo Iter Goritiense

 

E' stata una bella esperienza di Capodanno.

13 persone, provenienti da Italia Slovenia e Inghilterra, hanno percorso la seconda parte dell'Iter Goritiense (o Goriški camino o Cammino goriziano, come dir si voglia).

Il punto di incontro è stato il monumento alla pace di Cerje, dove immediatamente è iniziata la bellezza di un incontro tra persone con lingue, storie, culture, esperienze molto diverse fra loro, ma con in comune il desiderio di camminare insieme, in amicizia e fraternità.

La natura ci ha messo del suo, le giornate del 30 e del 31 dicembre sono state tra le più belle e limpide dell'anno, cosicché i passi sono stati accompagnati dallo sguardo verso la piana di Gorizia e Nova Gorica, i "monti goriziani" e le Alpi Giulie lontane, con lo splendore della neve a raccontare le vette del Triglav, del Krn e del massiccio gruppo del Kanin.

L'itinerario è magnifico. La dorsale del Fajt/Trstelj ha consentito di ricordare la seconda tematica, quella delle ferite che la prima guerra mondiale e poi il fascismo e il nazismo hanno tracciato sul tessuto vivo di popoli che fino a quel momento hanno convissuto in una relativa pace, favorita anche dal clima culturale e spirituale che aveva le sue radici nella gloriosa storia del Patriarcato di Aquileia.

Dal suggestivo colle di Mirenski grad, dopo un'indispensabile visita agli affreschi di Tone Kralj nella chiesa di Maria, i viandanti hanno raggiunto il cimitero di Miren, approfondendo l'assurda storia di tombe attraversate dal filo spinato di un confine tracciato nel 1947 e rettificato soltanto nel 1974. I campi di Vrtojba hanno poi accolto tutti, con il passaggio accanto al museo della torretta confinaria, gestito dal Goriški muzej e da molti considerato il "più piccolo centro espositivo d'Europa". Dalla piazza di Šempeter alla sede di tappa, l'ostello di via Seminario in Gorizia, è stata una lunga meditazione sulla rinascita del progetto di città che oggi vengono additate all'Europa come capitale della Cultura. Il parco Basaglia ha consentito di pensare alla figura del grande Franco Basaglia e all'abbattimento dei muri e alla cancellazione dell'istituzione negata che era il manicomio, il centro storico ha consentito di entrare nel vissuto di una terra nella quel ogni angolo consente di scoprire la mescolanza, la drammaticità, ma anche il fascino dell'incontro tra le diversità.

Graditissima è stata l'ospitalità nei locali di via Seminario 13, un tempo Seminario teologico, poi casa di riposo per sacerdoti anziani o malati e ora luogo di squisita accoglienza per pellegrini e viandanti, giovani e adulti, impegnati sulle cie dei cammini territoriali, nell'anno del Giubileo della Speranza e della Capitale europea della Cultura.

Nell'ultimo giorno dell'anno si è attraversata tutta Nova Gorica, cominciando dal meraviglioso Parco Rafut, salendo a Kostanjevica per poi soffermarsi nel cuore della città. Presso la Knijgarna Kavarna Maks si è stati sorpresi dalla gentilezza delle persone presenti. Hanno offerto a tutti caffé, the e ottimi dolciumi. C'è stato anche il tempo per godersi la vista di un luogo che sta favorendo in ogni modo l'intreccio fra le culture, offrendo anche una selezione libraria in più lingue di primo ordine.

Architetture e urbanistica del XX secolo, insieme a monumenti interessanti e a personaggi che hanno costruito la storia del territorio, si sono affastellati nella mente e nel cuore dei camminatori. Si è rivelata almeno in parte la verità della scelta di una capitale culturale non determinata dalla specificità dei peraltro assai interessanti particolari, ma dal protagonismo delle persone, gli abitanti chiamati a essere e sentirsi parte non più di una sola, ma di due città profondamente congiunte fra loro.

C'è stato il tempo per contemplare l'Isonzo Soča, attraversando la nuova passerella ciclopedonale nei pressi del Kajak club, costeggiando il fiume e riattraversandolo sopra il ponte costruito sulla base del Trattato di Osimo, del quale nel '25 si ricordano i 50 anni dalla sottoscrizione. Naturalmente, per chi non conosceva la zona, non poteva mancare un'espressione di stupore davanti al ponte ferroviario di Solkan, quello con la luce 'arco di pietra più grande del mondo.

Presso la parrocchiale di Santo Stefano inizia il ripido sentiero che supera circa 600 metri di dislivello che separano la frazione dalla cima di Sveta gora, nome sloveno che sta per Monte Santo. E' un luogo di dolorose memorie belliche, evidenti anche qua nelle ferite inferte dalla bombarde alla montagna. Ma è anche punto di riferimento spirituale e culturale, grazie alla vivace e avvincente presenza del rettore, pater Bogdan Knavs. La sua accoglienza è stata straordinaria. Nella sala grande del Santuario si è tenuta una grande cena per tutti gli ospiti, alla fine della quale tutti i presenti hanno condiviso le loro storie ed esperienze di vita. Anche pater Bogdan ha raccontato la sua ammirazione per coloro che hanno versato il loro sangue per la libertà e la giustizia, come pure per la difesa del diritto di parlare la propria lingua e di sentirsi parte di uno specifico mondo culturale. La sua benedizione, al termine del pasto, è stata accolta con commozione come segno di vicinanza divina per alcuni e per altri del dono di una nuova, profonda amicizia.

Anche l'ospitalità nella casa "Mir in dobro", sistemata anche grazie al progetto di collaborazione transfrontaliera tra la Basilica di Aquileia e il santuario di Sveta gora, è stata eccezionale. Si è trascorso il momento della mezzanotte con allegria ma anche con consapevolezza, certi di aver ricevuto, con questo "cammino di speranza" non soltanto conforto, ma anche a percezione della responsabilità di portare in tutti i meandri del nuovo anno nascente il senso di gioia e di speranza che si è respirato in questi giorni di salutare fatica condivisa.  

La conclusione, nelle prime ore del nuovo anno. non poteva che essere sotto l'agile statua di san Francesco, nell'estremità orientale della cresta del Monte. Lì ci è fatta memoria delle troppe guerre che insanguinano il pianeta e della sofferenza di chi bussa alla porta del mondo ricco, senza trovare ospitalità e accoglienza. La vicinanza e l'esempio di san Francesco accompagneranno il ricordo dei partecipanti per tutto questo anno 2025, da molto tempo ormai atteso, sperato e anche un po' temuto. Che dire, se non "grazie" per questi due giorni, circa trenta chilometri e poco più di 50 ore di serena e assai costruttiva convivenza?