lunedì 3 novembre 2025

4 Novembre: onore al "disertore ignoto"!

 

Il 4 Novembre ricorda una vittoria mutilata. Ciò non perché, come diceva il guerrafondaio D'Annunzio, all'Italia non era stato dato ciò che era stato promesso. Ma perché da quella cosiddetta vittoria non è scaturito altro che ulteriore violenza, devastazione e ogni sorta di male. 

Eppure si celebra ancora la "festa della vittoria e delle forze armate", pur riconoscendo, quasi unanimemente, l'inutilità dell'enorme sacrificio di un'intera generazione di giovani. A essi, e soprattutto alle centinaia di migliaia di civili che hanno perso la vita nella prima guerra mondiale, va il pensiero mesto di questi giorni. Sono stati costretti a raggiungere i ripari precari, a gettarsi all'assalto alla baionetta, a farsi mitragliare sui fili spinati impossibili da tagliare con cesoie arrugginite, a morire con in bocca l'ultima maledizione a una guerra assurda e a chi l'ha voluta. Meritano tutti, indipendentemente dalla divisa, un umano ricordo. Invece non possono che essere condannate le scelte e le decisioni dei politici che hanno trascinato l'Europa e il Mondo nel conflitto, i generali che hanno ideato la crudele, disumana e terribile strategia che ha provocato quella che papa Benedetto XV aveva definito "orrenda carneficina", coloro che hanno trasformato la fine della guerra nell'anticamera della dittatura fascista. 

Ma c'è una figura di soldato che non viene mai onorata. E ciò è molto strano, dal momento che in tempo di pace essa dovrebbe essere in assoluto la più degna di memoria. E' quella di colui che un tempo veniva chiamato con un certo disprezzo "disertore". Oggi quel nome deve essere totalmente rivalutato. Riguarda coloro che hanno deciso di rifiutarsi di combattere, di uscire dalla fossa per uccidere e farsi uccidere, di avviarsi ubbidienti come pecore al macello. Addirittura sono stati tacciati di viltà, proprio essi che pur di non ammazzare altri giovani uguali a loro, preferivano andare incontro a morte certa, fucilati dai carabinieri nelle retrovie del fronte. Non se ne parla molto, ma il loro numero era molto elevato, decine di migliaia di uccisi dal cosiddetto "fuoco amico" di chi doveva ottemperare ai terribili ordini. Di pochi si conosce il nome, un numero considerevole è scomparso dalla storia così, senza una corona, senza il riconoscimento del sacrificio supremo, quello di chi preferisce perdere la propria vita piuttosto che toglierla ad altri esseri umani.

In questo 4 novembre 2025 onoriamo questi "disertori" della prima guerra mondiale, quelli che hanno combattuto contro la morte rifiutandosi di imbracciare le armi. In un momento nel quale sembra che la voce della armi torni a essere riconosciuta come un'opzione possibile nei contesti di crisi internazionale, prendiamo esempio da questi autentici profeti della nonviolenza. Anche se non si ricordano le "madri" che hanno perso in questo modo i loro figli, i loro nomi sono scolpiti nell'alto del cielo degli operatori di pace. Non esiste ancora un monumento "al disertore ignoto", neppure uno dedicato a quelli di cui si conosce il nome. Forse è giunto il momento di costruirlo!

La voce dei Camuni

Oggi, una storia viandante...

Sono un po' nascosti, nella valle dell'Oglio che dal passo del Tonale scende fino al Lago d'Iseo e alla pianura, presso Brescia. Forse per questo non sono tanto conosciuti ed è un vero peccato. L'incontro con i Camuni è estremamente interessante, sia con quelli moderni, simpatici e accoglienti, promotori di un turismo ancora molto lontano dall'essere "over" che con quelli antichi.

Questi non soltanto hanno abitato per millenni la Valcamonica, ma hanno anche raccontato la loro storia attraverso un'arte che non si sa se definire "primitiva" o "ultramoderna". Di loro non si conosceva neppure l'esistenza fino al 1909 (guarda caso, lo stesso anno della scoperta dei mosaici teodoriani di Aquileia). Uno studioso, incappato per caso nel masso di Cemmo - un blocco di pietra precipitato dalla roccia sovrastante qualche decina di migliaia di anni fa, non lontano dalle abitazioni del suggestivo paese di Capo di Ponte - si è accorto delle incisioni. Non che la gente non se ne fosse accorta prima, qualche segno l'avevano visto e chiamato "pitote", in dialetto "rozzo disegno di bambini". Ma sarà solo con l'arrivo di Emanuel Anati nella valle che si arrivò alla ricerca sistematica e all'individuazione di qualcosa come oltre sessantamila graffiti, istoriati sulle pietre levigate dai ghiacciai. Ciò che stupisce, oltre a tutto il resto, è la durata. Si parla di siti frequentati per quattro - cinquemila anni di seguito, caratterizzati da elementi di vita ordinaria intrinsecamente legati a una visione religiosa della vita e del cosmo. Le sopravvivenze di questa religione della natura sono ancor talmente forti in epoca paleocristiana, da suggerire ai responsabili della comunità ecclesiale di sostituire le pietre sacre e le rappresentazioni animatiste con simboliche maggiormente pertinenti la nuova fede. La chiesa di san Siro, dominante questa parte della Valle, sembra abbia origini nel IV secolo e la sua interessante cripta potrebbe aver sostituito uno dei punti di culto degli antichi Camuni.

E' facile vedere le incisioni rupestri, diffuse un po' ovunque, dal Lago d'Iseo in su. Tuttavia il Parco Arhceologico di Naquane offre una sintesi completa dei temi e delle intuizioni di questi nostri antichi progenitori. In particolare è impressionante la roccia levigata dalla quale si intravvede la cima di una delle due montagne sacre, il Pizzo Badile Camuno, la cui ombra si dice tocchi la pietra al mezzogiorno del solstizio invernale. L'altra montagna, quella della notte, è la splendida Concarena. E' evidente come popolazioni vissute fra il VI  e il I millennio a.C. abbiano lasciato diverse testimonianze della loro concezione dell'esistenza e dell'universo, tuttavia nella loro diversità, ritornano dei motivi costanti. Ci sono elementi geometrici più o meno elaborati, come per esempio la cosiddetta "rosa camuna". In alcuni casi si rappresentano i villaggi palafitticoli, in altri addirittura delle vere e proprie carte geografiche che localizzano le diverse abitazioni. La natura è dominante, con un evidente processo di divinizzazione degli elementi legati alla vita. Il cervo è il protagonista principale, il principale oggetto dello caccia, ma anche la presenza del divino nella realtà: mangiando la carne del cervo non soltanto si ha la possibilità di sopravvivere fisicamente, ma si assume anche quella natura divina che caratterizza l'essere umano in quanto tale. Il cervo è la vittima, ma è anche colui che da la forza al cacciatore, la relazione tra i due è di vita e di morte nello stesso tempo. Nessuno è ancora pienamente uomo, se non si è misurato nella gara iniziatica della caccia al cervo. Naturalmente si riconoscono anche gli animali domestici, il cane, il cavallo che traina dei rudimentali carri, le mucche che pascolano tranquille. E' una testimonianza impressionante del passaggio alla pastorizia e all'agricoltura, un continuo immergersi nella vicenda storica attraverso questa specie di affascinanti fumetti. 

Una delle incisioni rappresenta il labirinto, qualcosa che sembra simile al cervello come intrico di linea prospettiche capaci di generare il pensiero. Ma pensando a simili immagini presenti un po' ovunque - come dimenticare quello presente nella Cattedrale di Chartres o lungo i cammini dei pellegrini medievali - non si può intravvedere nel labirinto l'ansia dell'uomo alla ricerca della Verità o la consapevolezza del mistero nel quale siamo immersi e dal quale spesso non sappiamo come uscire? Sono proprio dei rozzi intagliatori di montagna questi Camuni o sono esseri umani molto consapevoli del loro stato, che non rappresentano la realtà per così dire fotograficamente, ma la trasfigurano attraverso la loro sensibilità e profetica filosofia? Queste donne e questi uomini che sembrano danzare a braccia alzate e gambe divaricate in una preghiera rivolta verso il cielo, sono forse specie di ex voto intagliati nella pietra da sacerdoti a ciò delegati in quello che probabilmente era il più importante santuario dell'intero arco alpino, almeno tra il V e il I millennio prima di Cristo.

Ma sono soprattutto il messaggio che ci viene inviato dalla notte dei tempi, un invito caldo a sentirci tutte e tutti parte di questa meravigliosa umanità, a sentirci parte di un'unica famiglia, della quale i camuni sono una parte che ha qualcosa da dirci, da trasmetterci. E' un invito alla pace, alla concordia, alla bellezza di accogliere gli uni la cultura degli altri, a portare avanti il testimone di una bellezza fragile che siamo chiamati a custodire e - perché no? - anche ad amare. 

domenica 2 novembre 2025

Cosa sta accadendo in Slovenia? Kaj se dogaja v Sloveniji?

 

La Slovenia è stata scossa in questi giorni da un sanguinoso fatto di cronaca. Non è soltanto questo il problema, quanto la gigantesca copertura mediatica, la strumentalizzazione politica e le conseguenze sociali che hanno accompagnato l'evento.

Si tratta dell'omicidio di un ristoratore quarantottenne, avvenuto la scorsa settimana a Novo Mesto, in un contesto di discussione sfociata in tragedia.

Fino a qua tremendo, ma non certo straordinario. In realtà da quel momento è iniziata una serie ininterrotta di discussioni, a ogni livello possibile, dal dibattito parlamentare ai talk show televisivi, dalle chiacchiere in bar alle riflessioni nell'ambito delle famiglie.

Il motivo scatenante un tale gigantesco interesse travalica i confini della Repubblica di Slovenia e coinvolge l'utilizzo strumentale e politico del crimine. Il guaio è che il sospettato, consegnato alla giustizia, appartiene alla comunità Rom. Da qui il sollevamento di popolo che, fomentato dai partiti della destra, ha chiesto a gran voce interventi severi e duraturi nei confronti dei membri del gruppo.

All'intervento della piazza ha risposto immediatamente il governo Golob, con una duplice azione che ha sorpreso sia gli oppositori che parte degli alleati della maggioranza di centro e sinistra. Da una parte ha accettato le dimissioni - a distanza di 24 ore! - dei ministri dell'Interno e della Giustizia, dall'altra ha promesso davanti alla folla radunata interventi mirati sul territorio per garantire "la sicurezza". Da questo punto di vista, è stato ventilato un grande rafforzamento di polizia ed esercito, finalizzato a tenere sotto controllo le città.

Forse questi interventi sono stati suggeriti anche dalla necessità di offrire garanzie alla popolazione, in vista delle ormai prossime elezioni politiche del 2026. Tuttavia a molti è sembrato troppo repentino ed eccessivo, sia l'allontanamento di ministri la cui responsabilità, in merito a un episodio avvenuto fuori da ogni contesto politico, sarebbe tutta da dimostrare, sia la prospettiva di rafforzare la presenza delle forze dell'ordine, con il rischio che da un fatto di cronaca ci si indirizzi verso uno stato di polizia.

Il fatto è che simili episodi, soprattutto se legati a liti che sfociano in atti di sopraffazione, non hanno nulla a che fare con questioni di ordine culturale, se non in quanto espressione di ignoranza o di incapacità di controllare i propri istinti. Questa tipologia di violenza non può essere prevenuta con leggi speciali, ma con la lenta e faticosa costruzione di una società aperta, accogliente, tollerante. Si tratta di investire molto nell'ambito dell'assistenza sociale, della presa in cura di situazioni umane complesse, dell'istruzione. Occorre che insieme - istituzioni e cittadini - creino situazioni di reciproca accettazione tra le diverse componenti della società. Illudersi di risolvere le questioni attraverso la repressione e non anzitutto con la prevenzione, significa al contrario incrementare le divisioni costringendo le persone a rinchiudersi nei propri ghetti. Occorre anche stare attenti nell'esaltare come un valore fondamentale e un richiamo ossessivo la dea "Sicurezza". Ciò non perché non sia importante, ma in quanto facilmente utilizzabile, soprattutto dalle destre di tutto il mondo. Esse prima seminano a piene mani insicurezza, poi additano il capro espiatorio di turno non nell'individuo che sbaglia ma accusando e perseguitando "nel mucchio" tutti i componenti delle categorie sociali non pienamente allineate con il loro punto di vista.

Sarà interessante scoprire se l'atteggiamento del presidente Golob e di parte della sua maggioranza avrà un riscontro tra la gente. Il rischio è che si trasformi in un boomerang e che gli elettori di sinistra non lo seguano perché delusi da un eccesso di interventismo, mentre quelli di destra, ritenendo le azioni insufficienti, decidano di sostenere l'originale (l'oppositore number one, Janez Janša) piuttosto che fidarsi di quella che essi ritengono una copia.

P.S.: besedilo lahko preberete tudi v slovenščini, če v okencu "Translate" desno izberete jezik.

sabato 1 novembre 2025

Questa demolizione non s'ha da fare, né oggi né mai!

 

Lo vedete questo significativo frontone? Ebbene, tra breve potrebbe essere ridotto a macerie, insieme all'intero, grande edificio che lo sostiene.

Sulla sinistra (della foto) c'è la "Scientia", simboleggiata dall'albero della conoscenza del bene e del male, sulla destra la "Charitas", con una bella e fruttifera palma. Gli strumenti portati dagli angeli della sapienza e dell'amore sono quelli che caratterizzano il personale, socio sanitario, infermieristico, medico.

E' l'ospedale civile di Via Vittorio Veneto, oggetto di strenua difesa da parte dei Comitati cittadini, dai primi anni '90 del XX secolo in poi. Si volevano evitare il doppio acquisto del San Giovanni di Dio da parte della Regione, il depotenziamento delle strutture sanitarie goriziane, la realizzazione di piani sanitari studiati a tavolino nel nome dell'efficacia aziendale più che del servizio alla persona sofferente. Si voleva evitare anche il sempre più marcato fenomeno della privatizzazione e si intendeva difendere il grande valore e la conquista della sanità pubblica. 

L'idea fondamentale era quella della collaborazione con il vicinissimo ospedale di Šempeter, una proposta che sarebbe stata all'avanguardia a livello internazionale, economicamente sostenibile e anche pionieristica, anticipando di almeno venti anni la proclamazione della Capitale europea della Cultura.

Ebbene, nulla di tutto questo è accaduto, anzi, dopo un periodo di grande incertezza sul destino del vecchio ospedale, ora si è alla vigilia della sua completa demolizione. Si dice, per realizzare un centro - oggi si dice un campus - per gli studenti del territorio, che verrebbero invitati a lasciare il centro cittadino per svolgere le loro attività scolastiche ai margini della città. E' difficile prevedere tempi di distruzione e ancora di più quelli di ricostruzione. Pur incrociando le dita, è più facile pensare all'ormai quasi trentennale vicenda degli ascensori al castello di Gorizia. La vicenda dell'ex "civile" avrà lo stesso destino? Per il momento, quasi di nascosto per evitare proteste, è stata rasa al suolo la chiesetta dall'ex Ospedale psichiatrico, luogo che custodiva molte memorie culturali, sociali e sanitarie della città.

Si è ancora in tempo per fermare le ruspe? Per immaginare un futuro diverso per questo spazio "storico" per i Goriziani? E, prima di tutto, nel clima di GO25, si è pensato qualcosa insieme a Nova Gorica e Šempeter Vrtojba, tenendo conto che la demolizione e la nuova (eventuale) destinazione coinvolge inevitabilmente anche le persone e le strutture che si trovano al di là del muro di recinzione? Ciò vale in termini di salute - i materiali polverizzati potrebbero essere fortemente nocivi alla salute di chi vive nei dintorni; in termini strategici - uno spazio che potrebbe essere veramente pensato e realizzato insieme; in termini paesaggistici - si, perché anche il paesaggio è un bene comune, anzi, uno dei più importanti beni comuni!  

Santi: tutti o nessuno...

 

Pinzolo, Danza macabra

Se intendiamo con la parola "santo" un essere riconosciuto come già iscritto nell'albo dei salvati, non ne esiste alcuno sulla faccia della terra. Ciò vale anche per il suo contrario. Potrebbe aver senso che esistano santi e dannati, se la vita non avesse limiti. Essendo invece evidentemente condizionata da un inizio e da una fine, nessun uomo può raggiungere vertici di bontà o di cattiveria talmente trascendenti le categorie esistenziali da meritare un premio o un castigo eterno. Meglio allora rassegnarsi a una certa "mediocritas", condizionata dagli ambienti e dai contesti in cui si vive, che favoriscono il realizzarsi di modelli di umanità più o meno affascinanti o riprovevoli. E immaginare i "santi", in linea con la chiesa dei primi secoli, semplicemente come "appartenenti" alla comunità dei cristiani o meglio, diremmo oggi, alla famiglia degli umani e più in generale ancora, dei viventi. Allora sì, oggi è la festa di tutti, proprio di tutti i santi, ancora in cammino sulla terra o già passati al di là dell'ostacolo definitivo. E domani, due novembre, si metterà a tema proprio quel muro misterioso, frontiera tra l'al di qua e l'al di là. Ecco di seguito una breve riflessione sul tema, tratta dal settimanale Novi Matajur. (ab)   

Dagli alberi cadono le foglie, le giornate sono sempre meno illuminate dal Sole, si accendono i colori dell’autunno, ultimo sussulto di bellezza prima della pausa invernale. E’ un periodo che ha sempre impressionato l’homo sapiens, che ha dedicato questi giorni a un particolare e malinconico pensiero. Insieme al tramonto della Natura si ricordava il tramonto della vita, si dava forma al desiderio di incontrarsi di nuovo con i morti, si celebravano riti propiziatori di passaggio. Queste usanze erano talmente radicate che papa Bonifacio IV, agli albori del VII secolo, istituì la festa di “Ognissanti” e Gregorio III (metà VIII secolo) la stabilì definitivamente il Primo Novembre. A essa si unì ben presto la Commemorazione del 2 novembre, dedicata a tutti i fedeli defunti. La tradizione precristana continua a vivere sotto diversa forma, ma con identica sostanza: la tristezza per la fine, la consolazione del rito, il desiderio della compagnia di chi ci ha preceduto. In un modo o nell’altro, lo stesso Halloween - non a caso richiamo in inglese americano a “tutti i santi” - porta una ventata di contemporaneità a miti e valori la cui origine è fissata dagli antropologi nella notte dei tempi.

In fondo, tutto ciò porta a una semplice, ma drammatica constatazione. Che cosa accomuna ogni essere umano, anzi ogni vivente? La morte. Da Gil Gamesh che nel primo Fantasy della storia percorre monti e mari per trovare le fonti dell’immortalità ai sillogismi aristotelici, dagli appelli dei padri della chiesa alle suggestioni dell’Oriente, dai Sepolcri del Foscolo alla meditazione sull’essenza dell’essere di Heidegger, dalle danze macabre ai trionfi della morte rinascimentali... è sempre dominante il tema del confine dei confini, della madre di tutte le paure, quella che condiziona tutte le altre. Ogni perdita è un piccolo o grande riflesso della fine della vita, del timore di quell’apparente “ni-ente” che contraddice così clamorosamente la consapevolezza dell’”ente”. Si è di fronte a ciò che non può essere pensato, perché sfugge alle categorie dello spazio e del tempo, le uniche attraverso le quali siamo in grado di rappresentare la realtà. La morte sfugge al controllo della ragione, è una porta verso l’ignoto, o forse una finestra aperta sull’infinito o semplicemente la fine di tutto. Questo spazio di non conoscenza le consente di sfuggire all’invasione della tecnica, alla strumentalizzazione della coscienza, alle pretese incontrollabili del sapere. In un momento nel quale siamo in grado, premendo lievemente su un tasto, di ricevere miliardi di informazioni su qualsiasi remota piega dell’esistente, la morte si para davanti a ciascuno di noi come l’assoluto in-comprensibile, temuta dagli opulenti viaggiatori della postmodernità, desiderata da chi - piegato dalla miseria, dalla sofferenza o dalla disperazione, non trova un motivo sufficiente per continuare a vivere.

Ecco allora l’auspicio, nella più classica delle feste autunnali. Se tutti ci aspetta quella che Francesco chiamava “sorella”, perché non dedicare ogni istante a far sì che ogni vivente possa gustare ogni frammento della sua esistenza, nella gioia della solidarietà e dell’amore?

giovedì 30 ottobre 2025

Don Sergio Ambrosi, un uomo, un prete.

 

Ho tanti ricordi di don Sergio Ambrosi, cominciando da quando frequentavo gli affollatissimi campi scuola dell'Azione Cattolica a Bagni di Lusnizza. Eravamo ragazzi, tra i 9 e i 13 anni, ci accompagnavano ottimi educatori, di poco più vecchi di noi e spesso comparivano i giovani preti. Correvano i primi anni '70 e loro transitavano portando una ventata di gioventù e di allegria.

Di lui si dicevano molte cose belle, tra esse la passione per il calcio. Si diceva che avesse dovuto compiere una difficile scelta tra la continuazione del percorso in Seminario verso il sacerdozio e l'accettazione delle proposte niente meno che della Juventus. E si parlava perfino di un impegno diretto con l'associazione calcistica Audax, del Pastor Angelicus di Gorizia, sotto uno pseudonimo che per un periodo gli avrebbe consentito di prepararsi a diventare prete, senza trascurare del tutto il gioco del pallone.

Ritrovato parecchi anni dopo negli imperscrutabili meandri della vita, abbiamo avuto modo di collaborare spesso. L'ho sempre stimato per il carattere apparentemente riservato che lo rendeva naturalmente incline ad ascoltare le persone e a farsi carico - il più delle volte silenziosamente - dei problemi e delle necessità degli altri. Aveva svolto molti incarichi, quelli più strettamente curiali, come direttore dell'ufficio catechistico nei pionieristici anni del dopo Concilio, come economo diocesano e anche direttore dell'Istituto Contavalle durante l'episcopato di Padre Bommarco; e quelli più marcatamente pastorali, come partecipante alla comunità sacerdotale di sant'Anna, subito dopo la complessa vicenda che aveva portato all'allontanamento di don Alberto De Nadai, come assai amato parroco nel Duomo di Gorizia prima, a Cormons  e poi ancora a Gorizia e via dicendo.

Al di là dei diversi mandati, svolti sempre con grandissimo impegno, ha brillato per la sua onestà. per la dolce autorevolezza e per una vera e propria religione dell'amicizia. Ovunque ha cercato di stare accanto ai più deboli, senza anteporre la sua persona alla missione ricevuta. Non ha mai proclamato sui giornali le proprie imprese, ma ha sempre saputo collocare parole e azioni nei momenti più adeguati. E ha creduto molto al primato delle relazioni interpersonali rispetto alle dottrine dogmatiche. Ciò è accaduto nella costruzione dei ponti di amicizia e cultura fra sloveni e italiani, in particolare attraverso la realizzazione dell'Associazione Concordia et Pax, ma anche - e soprattutto - nelle quotidiane frequentazioni con preti e laici del Goriziano, da una parte e dall'altra di quel confine che senz'altro ha contribuito efficacemente a smantellare.

Per più di cinque anni siamo stati commensali, tra il 1998 e il 2003, nella piccola cucina della Casa del Clero in Corte sant'Ilario. Erano gli anni successivi al Sinodo diocesano, con lui, mons Simčič e gli altri partecipanti, si discuteva quotidianamente di questioni teologiche e pastorali, ma anche con grande passione, di politica internazionale e locale. E lì avevo scoperto meglio la grande umanità di don Sergio, straordinario amante e conoscitore dei segreti della natura, cacciatore dal cuore d'oro, simpaticissimo compagno di sempre interessanti conversazioni. Era una persona che, pur dimostrando una fede profonda e molto radicata nell'esperienza di vita, non nascondeva l'elemento di un dubbio intelligente, che emergeva spesso in un sorriso ironico e a volte un po' misterioso. Era come se volesse custodire gelosamente una dimensione intima, che richiedeva rispetto e anche un po' di ammirazione. Era la sfera interiore, il centro propulsore di tutto, basato sull'intenso e personalissimo colloquio "io-tu", con quel mistero divino al quale aveva affidato la sua esistenza.

Insomma, un vero uomo e anche, proprio per questo, un bravo prete. Grazie don Sergio!

domenica 26 ottobre 2025

Go25 e il dialogo interreligioso

 

Nei prossimi giorni si terrà a Gorizia il festival del dialogo interreligioso, con l'accattivante titolo Terre di pace.

Purtroppo non mi sarà possibile partecipare e mi dispiace davvero, perché è una bella e importante occasione per conoscere, riflettere e crescere nelle buone relazioni.

Se ne parlerà molto, in questo contesto interessa offrire un paio di interrogativi che troveranno sicuramente risposta nell'incontro goriziano.

Il primo riguarda i concetti di religione e di dialogo. La domanda fondamentale, alla quale sicuramente l'Oriente risponde in modo più adeguato rispetto all'Occidente, è relativa alla pretesa unicità di ciascuna religione. Le cosiddette vie "del libro" - ebraismo, cristianesimo, islam - ritengono di essere le uniche depositarie della Verità rivelata da Dio. Ciò vale tuttora, anche per lo stesso cattolicesimo, fino al Concilio Vaticano II convinto del fatto che "extra Ecclesiam nulla salus" e anche successivamente abbastanza restio al confronto paritetico con gli altri percorsi religiosi. La pretesa unicità della propria via religiosa è il maggior ostacolo a un autentico dialogo, il quale per definizione dovrebbe presupporre la parità di condizioni di tutti gli interlocutori.

Certo, c'è la possibilità di aggirare l'ostacolo, cercando "ciò che unisce piuttosto che ciò che divide". In questo caso la relazione tra le diversità può effettivamente risultare una ricchezza, ma non toccando il punto fondamentale, obiettivamente lascia tutti nella propria posizione senza modificare alcunché.

Si può porre anche il problema da un altro punto di vista. Le religioni altro non sono che diverse strade per manifestare - attraverso miti, riti e sistemi valoriali - il rapporto con il medesimo e unico Dio. Questo percorso, che libera il mistero trascendente da speculazioni che non possono altro che essere frutto dell'umana ragione, trasforma tuttavia ogni religione in un sistema politico e culturale di natura esclusivamente umana. A questo punto, diventa veramente difficile esercitare il principio del cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. In relazione a concezioni dogmatiche fondamentalmente lontane dalla vita quotidiana si può anche arrivare a stabilire dei principi comuni, come proposto spesso dal per questo criticatissimo papa Francesco e scritto nell'interessante documento di Abu Dhabi. Se invece si mette a tema la realizzazione politico culturale di ogni religione, è necessario misurarsi su temi estremamente concreti, se non si vuole rimanere confinati in un'insopportabile genericità.

Sarebbe bello che il meeting di Gorizia affrontasse i fondamenti teologici e filosofici di un dialogo tra sistemi di rappresentazione della fede. Ma sarebbe importante anche che fossero messi in discussione gli elementi fondamentali della contemporaneità: il ruolo delle religioni - o meglio in questo caso delle confessioni cristiane - nella guerra tra Russia e Ucraina, la questione religiosa nel genocidio del popolo palestinese, i fondamentalismi cristiano islamico ed ebraico e inoltre, per venire a casa nostra, il dialogo interreligioso in ambiti di significativa convivenza, come per esempio la realtà di Monfalcone.

In questo modo, dalla discussione potrebbe nascere un vero e concreto Manifesto per il futuro, non un semplice elenco di buone intenzioni, delle quali, come si sa, sono piene le fosse.

sabato 25 ottobre 2025

Tra Resistenza e Nonviolenza

Sui muri di Riace
Gran parte delle condizioni che ci caratterizzano sono frutto della fantasia dell’essere umano. Basti pensare agli elementi che costituiscono la nostra cosiddetta identità. Cosa significa essere italiano, sloveno, friulano, ucraino, russo, come pure cristiano, musulmano, buddhista, se non sentirsi appartenente a un contesto culturale, i cui miti, riti e valori morali sono tutti “inventati” dall’uomo?

Che cos’è che ci accomuna naturalmente, in quanto parte non soltanto della famiglia umana, ma anche di quella ben più vasta dei viventi? La risposta è: il dolore.

In battaglia ci si scanna per difendere una bandiera, frammentario e momentaneo emblema di un’appartenenza del tutto fittizia. Ma la ferita provocata dalla baionetta, dal cannone o dalla bomba genera una sofferenza che accomuna vincitori e vinti, assalitori e assaltati, umani, animali e anche vegetali. Il dolore è reale, non inventato dalla fantasia e rende tutti congiunti, vittime e carnefici, colpiti dalle armi o dalle più o meno prevedibili catastrofi della Natura.

Questa constatazione potrebbe essere densa di conseguenze. La prima viene proposta dalle vie dell’Oriente. Se si è tutti collegati, interconnessi e uniti nell’immenso legame che si chiama vita, lo sguardo sull’altro non può che essere quello della com-passione, la compartecipazione attiva alla sofferenza universale. Da ciò deriva anche il fondamento filosofico del Satyagraha, la nonviolenza attiva proposta da Gandhi, l’obbligo etico di non generare altro dolore e di chinarsi amorevolmente su quello già esistente. Ciò potrebbe indebolire la forza dell'indignazione, potrebbe dare ancora maggior spazio alla prevaricazione del prepotente? La nonviolenza non potrebbe addirittura incrementare i progetti perversi dei violenti? Se lo chiedeva anche uno dei più grandi pacifisti del XX secolo, Dietrich Bonhoeffer, che decise di contraddire il suo stesso progetto di vita partecipando all'attentato a Hitler. Sono domande drammatiche. E’ profondamente umano lasciarsi picchiare guardando negli occhi l’offensore che esercitare la propria forza fisica per fargli del male. Ed è vero che l’indignazione per l’ingiustizia possono trasformarsi in azione concreta di risposta all’odio con l’amore e alla vendetta con il perdono. Ma quando è in gioco il destino degli altri, siano essi persona indifesa vilmente attaccata o intera popolazione minacciata di genocidio, è ancora lecito trincerarsi dietro alla nobile causa della nonviolenza? E' sufficiente invocare un boicottaggio quando l'offensore dispone della bomba atomica (se lo chiedeva del resto lo stesso Gandhi nel suo testo Antiche come le montagne)?

Forse una via di risposta può essere individuata nel concetto di memoria. La scelta dell'istante non può prescindere dal grado di ingiustizia e di sopraffazione. La risposta nonviolenta non sta forse nell'utilizzo o meno degli strumenti che possono impedire l'aggravarsi di una catastrofe, bensì nella motivazione che spinge alla Resistenza nei confronti dell'oppressore. L'esempio della Lotta per la Liberazione dal nazifascismo è l'esempio più eclatante, in quanto determinata dalla disponibilità a perdere la propria vita per il bene e la libertà di tutti. In un certo senso, si può affrontare l'avversario violento, razzista, guerrafondaio, mossi da un sentimento di amore nei confronti di ogni oppresso, paradossalmente anche di colui che si combatte, rinchiuso nella tomba di un'ideologia perversa. 

Il nostro territorio di confine ha sperimentato più volte quanto tutto questo sia vero. E’ impossibile condividere il ricordo di tanti eventi accaduti, troppo grande è la sofferenza individuale e collettiva generata dagli eventi che hanno caratterizzato il XX secolo. Nell'ottica della nonviolenza il giudizio storico sulla prevaricazione fascista e nazista rimane, ma è tuttavia possibile conoscere e rispettare il dolore. In questa profonda compartecipazione del dolore, diventa possibile accogliere con rigore razionale la ricerca di oggettività del dato storico e nel contempo l’emozione soggettiva di chi nei conflitti ha perso figli, genitori, fratelli e amici.  Il dato storico orienta senza tentennamenti all'esplicito rifiuto delle azioni di chi ha provocato tanto male (giusto per fare un esempio, la necessaria rimozione della cittadinanza onoraria a Mussolini o il rigetto della richiesta di accoglienza dei reduci della Decima mas in Municipio). Il rispetto per il dolore dell'altro depriva il dato storico e le sue conseguenz3 della componente dell'odio e del desiderio di vendetta. 

Tutto ciò non risolve i problemi e neppure i giudizi sull’evolversi della storia. Il fascismo resta un crimine e non un’opinione, comunque lo si chiami, il genocidio di Gaza grida giustizia al cospetto dell’intera umanità e chi lo consente o addirittura promuove è un criminale. Ma la compartecipazione all’universale dolore umano è soltanto un primo passo, autenticamente rivoluzionario. Davanti ai corpi straziati seminati ovunque da un’enorme violenza, si può invertire la rotta soltanto riconoscendo l’immensa, comune sofferenza. La com-passione da una parte non censura l'ingiustizia, dall'altra non genera la rappresaglia, ma la ricerca dell’accordo e del negoziato, affinché la vita possa prevalere sulla morte.

E’ la basagliana “utopia della realtà”? 

giovedì 23 ottobre 2025

La maggioranza silenziosa del consiglio comunale

Ho seguito attraverso i giornali il destino dell'importante mozione di Rosi Tucci in consiglio comunale a Gorizia. Riguarda il drammatico tema della situazione attuale e del riconoscimento dello Stato di Palestina.

C'è un aspetto che mi ha colpito, già riscontrato in occasione della mancata cancellazione della cittadinanza onoraria a Mussolini. L'articolata e approfondita mozione di Eleonora Sartori ha superato nell'occasione i confini della Regione e dello Stato. Ha raggiunto anche le trasmissioni televisive nazionali, sia per l'incomprensibile "gran rifiuto" che per la risibile giustificazione addotta dal sindaco che ha equiparato una linea con la penna sul nome del dittatore alla distruzione della antiche statue del Buddha da parte dei Talebani. 

Ciò che colpisce è il silenzio assoluto della cosiddetta "maggioranza consigliare". Se si può capire, ma non giustificare, in occasione della questione essenzialmente politica relativa al riconoscimento onorifico conferito cento anni fa al capo del fascismo, non si può né capire né giustificare nell'ultimo caso in questione. Non esiste luogo pubblico o privato, dove il tema della Palestina non sia stato esaminato e discusso, certo con tesi contrapposte, come si conviene a una questione così delicata e difficile. Da parte di tutti, sia pur con toni diversificati, c'è stato ovunque almeno un moto di pietas nei confronti della sofferenza immane della gente che vive nella Striscia di Gaza, come pure delle famiglie delle vittime degli attentati del 7 ottobre, della situazione delle decine di migliaia di ostaggi palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane e della sorte di quelli trattenuti fino a qualche giorno fa nei tunnel di Gaza.

L'unico luogo nel quale la maggior parte dei presenti ha preferito un assordante silenzio è la principale aula della politica cittadina, quella appunto dove si svolge il Consiglio Comunale. C'è chi si chiama fuori, ritenendo che in tale sede si debba trattare esclusivamente ciò che riguarda la città, come se le questioni nazionali, europee e internazionali non riguardino in alcun modo l'"isola felice" ai confini della realtà. E c'è ogni componente della maggioranza, assessori compresi, che non ritiene di dover pronunciare neppure una parola - a favore o contro - rispetto a una vicenda che non coinvolge tanto le posizioni ideologiche dell'uno o dell'altro, ma il livello stesso di consapevolezza di appartenere al genere umano. Dato per scontato che i vari consiglieri abbiano un'idea relativamente a ciò che sta accadendo, perché non esprimerla? Perché non rappresentare quella parte di cittadini che li ha votati, offrendo all'aula il proprio pensiero? Di che cosa hanno paura, se giungono fino a tacere di fronte a ciò di cui sicuramente parlano dal mattino alla sera in famiglia, con i colleghi di lavoro, ovunque? 

E' veramente penoso vedere delle persone adulte che si trincerano dietro al probabile "ordine dall'alto" e si autoimpongono un silenzio carico di tensione, così contradditorio rispetto alle inaugurazioni delle conclamate "opere di pace" che il Comune ha voluto con l'obelisco di piazza della Casa Rossa, le statue di piazza Sant'Antonio e il festival del dialogo interreligioso. Si auspica il dialogo fra le religioni e fra i popoli e nel contempo ci si rifiuta di dialogare tra concittadini addirittura in una sede prestigiosa e democratica come è il Consiglio Comunale. "Meglio parlare di ciò che unisce, senza affrontare ciò che divide". Con questa idea di confronto tra umani, saremmo ancora sugli alberi a cercare di sfuggire agli atletici salti della tigre dai denti a sciabola...

mercoledì 22 ottobre 2025

Isonzo Soča, ecco il numero 121

 

Esce il numero 121 di Isonzo Soča, la rivista fondata e diretta per decenni da Dario Stasi e ora ritornata nelle edicole per trattare temi locali e internazionali.

L'argomento principale di questo nuovo numero è la montagna. Ci sono articoli di grande interesse, con pagine di splendide fotografie. Si parla dei monti come ambito storico, geografico ed essenzialmente culturale, senza trascurare esperienze alpinistiche del passato e del presente. 

Naturalmente si parla anche d'altro, della situazione della Striscia di Gaza e della straordinaria realtà della Flotilla, di Gorizia e di Nova Gorica nell'anno della capitale europea della cultura, di itinerari e percorsi sociali e individuali, di questioni più specificamente goriziane, come la ventilata demolizione dell'Ospedale di Via Vittorio Veneto.

La caratteristica è sempre quella del plurilinguismo, ognuno scrive nella sua lingua e attraverso un QR è possibile leggere le traduzioni in italiano, sloveno, friulano, tedesco e inglese. Da segnalare i tre editoriali, nelle "vecchie" lingue goriziane. Ogni articolo sarà comunque corredato da una breve sintesi nella lingua diversa da quella dell'autore, per avere un'idea degli argomenti trattati. Il tutto sarà spiegato, meglio rispetto alle occasioni precedenti, nella pagina interna di copertina.

La rivista sarà presentata giovedì alle 18 al Trgovski dom (solo consegna), in occasione della conferenza di Kaja Širok e Alessandro Cattunar. Martedì 4 novembre, alle ore 18, presso la Knjgarna Kavarna Maks di Nova Gorica, parleranno anche gli autori degli articoli e con tutti i presenti si proporrà anche l'impostazione del numero successivo. 

Tutti sono invitati a partecipare e naturalmente... a leggere!

martedì 21 ottobre 2025

Parchi Goriziani senza confini

 

L'anno scorso il territorio goriziano è stato gratificato dall'apertura del parco del Rafut, uno straordinario spazio verde sul colle dove c'è anche il santuario della Kostanjevica. Percorrendo i viali, all'ombra di alberi secolari, si può contemplare tra l'altro anche la suggestiva Villa Laščak, presto ristrutturata e riconsegnata alla fruizione dei cittadini. Le iniziative promosse dalla parte di Nova Gorica hanno consentito di conoscere bene questo scorcio finora dimenticato. Tra esse i concerti tra gli alberi hanno regalato momenti di grande arte e intensa emozione. 

Anche nel settore più antico delle Gorizia non si è stati da meno. L'attesa inaugurazione ha consentito ad abitanti e turisti di riappropriarsi di alcuni luoghi dimenticati da decenni e di nuovi originalissimi sguardi sulla città. Quello della Valletta è un capolavoro della natura, con una sapiente piantumazione, delicati vialetti pedonali e soprattutto la visione del Corno/Koren, il vero fiume di Gorici (sempre il duale, per "le due Gorizia"), libero dalle solette d'asfalto che lo imprigionano dal confine di Erjavčeva/San Gabriele fino alla palestra prossima al Kulturni dom. E' una breve, ma significativa passeggiata che consente di contemplare scorci del tutto inattesi e scoprire nel torrente perfino pesci e animaletti dell'acqua, che hanno ritrovato un habitat decente all'interno del quale sopravvivere. Colori, profumi, sapori si mescolano tra loro, in un'atmosfera di serenità metropolitana.

E che dire del parco Coronini? Fino a non molto tempo fa, buona parte di esso era una selva inestricabile, impossibile da affrontare. Anche il viale e la loggia con le statue degli dei dell'Olimpo si potevano visitare raramente e soltanto intuire dietro a una vegetazione che non invogliava a superare la soglia con il bel cancello di ferro. Ricordo i tempi delle scuole superiori, quando dall'antistante palazzo Formentini (Liceo Dante Alighieri) si sbirciava tra le radure e spesso si vedeva l'ultimo Conte camminare pensoso tra gli arbusti. L'ingresso da via Brass è veramente delizioso, inimmaginabile dietro a uno squallido muretto fino a una manciata di mesi fa. Un sentiero consente di risalire la collina, tra pietre carsiche disseminate un po' ovunque. Si raggiungono i caseggiati, con le mostre temporanee che si susseguono l'una all'altra, si può dare uno sguardo alla lapide che ricorda la nascita del grande Julius Kugy e si può concludere il percorso sulla specie di tempietto neoclassico, collocato nel punto più elevato. 

Ci sarebbe molto da dire, ma senza togliere il piacere della scoperta a chi vuole dedicare una passeggiata domenicale a questi gioielli goriziani, resta l'invito a riappropriarsi del Rafut, della Valletta e del Parco Coronini. Sono spazi pubblici, rigorosamente senza confini, usufruibili gratuitamente, approfondiscono il piacere e l'orgoglio di essere Goriziani! Resta solo la raccomandazione alle cittadine e ai cittadini di rispettare questa proprietà che è un bene comune, cioè appartenente a tutti e a ciascuno. E agli amministratori di curare con diligenza questo salotto naturale cittadino, mantenendolo così bello e accogliente anche per chi verrà e potrà usufruirne dopo di noi.

lunedì 20 ottobre 2025

Detective Dante, appassionante noir, ma anche guida alla scoperta di un'inattesa Nova Gorica

 

Ancora una volta la casa editrice goriziana Qudu Libri ha fatto centro! Patrizia Dughero e Simone Cuva si sono nuovamente dimostrati grandi cercatori e scopritori di persone e opere in grado di favorire il grande obiettivo: sentirci tutti parte di un medesimo territorio, proprio perché parliamo diverse lingue e ci possiamo reciprocamente donare le ricchezze delle differenti culture.

Dopo aver pubblicato la traduzione in italiano del libro Medsočje del filosofo Mirt Komel con il titolo Il tiglio spezzato, ha curato anche l'edizione del giallo Detektiv Dante, assai efficacemente tradotto da Michele Obit.

La trama, come ormai è consuetudine quando si parla di Komel, è avvincente e intricata, mescolando tra loro motivi antropologici, sociali, culturali e in questo caso anche molto spirituali.

Come è ovvio, non si può scendere nei particolari. Il lettore, al quale si consiglia caldamente acquisto e lettura, saprà immergersi nell'intricata rete di eventi, sospetti, indizi, conditi con l'acre sapore del sangue delle vittime.

Quello che invece preme segnalare, ormai verso il tramonto della Capitale europea della Cultura, è che questo testo costituisce la più originale e per certi versi interessante guida alla conoscenza della città di Nova Gorica. Si intende, non si tratta di un'indicazione di percorsi più o meno turisticamente attraenti, ma di qualcosa d'altro, di più profondo e si potrebbe dire metafisico.

Nella scrittura di Mirt Komel i luoghi si trasfigurano e da semplici dati di fatto diventano ambiti rivelativi non soltanto di "cosa" è una città, ma soprattutto di "chi" sono i suoi abitanti. Tra le righe si possono anche scoprire i rilievi storici di di un centro urbano che non ha ancora compiuto 80 anni e che dimostra in ogni suo angolo l'interessante susseguirsi di stili architettonici e modelli urbanistici. Guardandola con gli occhi di un "novogoričano" doc, anche gli aspetti apparentemente meno appariscenti assumono un valore sorprendente. Un passo dopo l'altro, il tessuto narrativo coniuga sempre più strettamente le persone agli ambienti, cosicché le une illuminano il senso degli altri, ma anche - chiaramente - viceversa!

Soprattutto c'è da dire che anche al lettore che ritiene di conoscere già bene la "nuova" città, si apriranno spazi completamente nuovi e inattesi, sia con la descrizione di paesaggi ordinariamente ritenuti marginali, sia con la magistrale e appassionata descrizione degli interni. Cosa possono raccontare le periferie industriali, lo squallido retro dei grandi centri commerciali? Ma anche, come vivono le persone dentro gli alti palazzi della cosiddetta "Muraglia Cinese"? Come sono fatti gli appartamenti voluti da Ravnikar nei cosiddetti "Ruski bloki", chiamati così più perché all'inizio si presentavano vestiti di rossi intonaci che per simpatia nei confronti della Russia? Come si svolgono le giornate, quali sono gli sprazzi di luce e di gioia, quale il modo per affrontare il dolore, la solitudine, la divisione?

Ecco, a queste domande Mirt non risponde offrendo ricette o disegnando caricature, ma con l'acume intellettuale del cercatore della Verità, indicando strade possibili per contemplare e per capire, senza esprimere mai giudizi morali inappellabili sulla bontà o cattiveria dell'uno o dell'altro. C'è uno sguardo empatico ed etimologicamente "compassionevole" che permette di sollevare il velo e di ammirare Nova Gorica per quello che è, un crogiolo di ricca umanità, attraversata dal vento della storia e dalle contraddizioni della contemporaneità. Detektiv Dante è una guida ai meandri di un territorio, alla scoperta del dostojevskjano sottosuolo, senza l'intuizione del quale non può e non potrà mai esserci autentica simbiosi tra la parte vecchia e la parte nuova della nostra bella e duale "Gorici".

sabato 18 ottobre 2025

Un grazie sincero...

 

Oggi vi racconto un'esperienza personale, ma prima devo proporre tre importanti premesse.

1. La sanità pubblica è una straordinaria conquista di civiltà, di democrazia e di umanità. Non lasciamocela scippare, per nessun motivo, da chi vuole fare della malattia e della cura un business.

2. L'Ospedale di Gorizia è un'eccellenza, perché chi vi opera, spesso in condizioni e con strumenti insufficienti, eccelle in professionalità, empatia e delicata attenzione all'individuo. Non lasciamo che l'aziendalizzazione porti ad anteporre il profitto alla centralità della persona.

3. La cardiologia di Gorizia è un punto di riferimento imprescindibile per la cura di qualsiasi patologia legata al non perfetto funzionamento del cuore. Non lasciamo che venga cancellata da scelte politiche che penalizzerebbero tutto il territorio. La soluzione è meno complicata di quello che sembra: riprendere la strada della collaborazione fattiva tra gli ospedali di Gorizia e di Šempeter.

Detto questo, ecco i miei "grazie" di questi ultimi giorni.

Primo grazie. L'altro giorno, dopo aver risalito in bici a tutta forza la via don Bosco, ho avuto un giramento di terra e mi sono trovato quasi senza accorgermi per terra, a grattare l'asfalto del marciapiede. Tutte le auto di passaggio si sono fermate e i conducenti hanno abbassato il finestrino per chiedere il mio stato di salute, una signora ha bloccato l'auto con i segnali luminosi e ha chiamato il pronto soccorso per domandare consiglio, un giovane ha parcheggiato il furgone nella via a lato e si è precipitato ad aiutarmi. Non so come poter ringraziare queste persone, è un'iniezione di fiducia sull'alto grado di attenzione e di solidarietà dei miei concittadini goriziani. La conseguenza è stata qualche giornata in ospedale, per accertamenti. Come si suol dire, si spera sempre in niente di grave... 

Il secondo grazie, grande, va a tutti coloro che mi hanno assistito, nella cardiologia dell'ospedale di Gorizia. Ho trovato medici, infermieri e operatori socio sanitari straordinari, che mi hanno dimostrato tanta professionalità e anche cordiale empatia. Il paragone sembrerà strano, ma credo che le mie sensazioni siano simili a quelle di chi è andato in crociera con le grandi navi. Non ci sono mai stato, ma quando sento i racconti di chi ha avuto la possibilità di sperimentarlo, mi convinco che dovrebbe essere più o meno così. Dal momento in cui sali a bordo, non hai più nulla da decidere, tutto ruota intorno alla tua persona e non devi fare altro che lasciarti andare, fidandoti del capitano, degli intrattenitori e dei loro aiutanti. Ciò che conta è la competenza, ma essa è molto valorizzata dalla capacità di riconoscere nell'altro una "persona", prima che un "paziente". Veramente, grazie di cuore, perché un momento un po' delicato si è trasformato per me in un'occasione di crescita umana e sociale. Nel gigante che si fa chiamare azienda, ciò che permette di andare avanti è proprio la dedizione, a volte eroica, di chi alla base svolge il proprio lavoro come una vera e propria, grande missione. E questo è un valore che non deve essere dimenticato.

Alla dedizione delle persone, si auspicano corrispondano le scelte politiche a tutti i livelli. Si pensi che un solo aereo B-2 costa oltre 1 miliardo e duecentomilioni di dollari. In pratica, con un solo aereo si potrebbe far funzionare tutta l'ASUGI, l'azienda sanitaria giuliano-isontina, al servizio della salute di oltre 350mila esseri umani! E si pensi che l'Italia, satellite degli USA, dovrebbe raggiungere entro il 2035 investimenti in ambito militare fino al 5% del PIL, pochissimo meno di quanto attualmente si investe in sanità. Non è che forse si potrebbe fermare la corsa agli armamenti che porta solo con sé morte e incrementare la sanità pubblica che serve la vita di tutti, nessuno escluso?

Salviamo il mercato coperto di Gorizia!

C'è un luogo magico a Gorizia. Il rischio è che tra poco venga confinato nello spazio dei ricordi.

E' il mercato coperto, un tempo crocevia di persone alla ricerca di frutta, verdura e fiori. Chi ha i capelli bianchi ricorderà la signora che insieme al figlio vendeva il pesce fritto, le donne che venivano dalla foresta di Tarnova portando intere cassette di jurčki (porcini) e marele (mazze da tamburo), perfino l'ufficiale sanitario che controllava i funghi raccolti dai cittadini, distinguendo quelli buoni da quelli velenosi o avariati...

Delle decine di postazioni, ne sono sopravvissute solo poche, ma tutte e tutti gli operatori fanno a gara per offrire al visitatore non soltanto prodotti di ottima qualità, ma anche un'accoglienza carica di simpatia e di amichevole cordialità. Ancora adesso, nessuno protesta nella fila che si crea per avvicinarsi al banco. Ci si saluta, ci si raccontano gli ultimi avvenimenti, si scambiano informazioni e battute con venditrici e venditori. Ci sono i clienti affezionati e quelli che frequentano di meno, ci sono acquirenti occasionali e - molto spesso - turisti che restano a bocca aperta davanti alla bella architettura e alla modalità di un commercio che pensavano ormai dimenticato in altre epoche. I sorrisi si moltiplicano e c'è una parola per ciascuno, dall'indaffarato professionista all'impaziente pensionato, dalla giovane coppia alla ricerca del prodotto km 0 alla persona un po' più avanti con l'età che trova un po' di sollievo dalla quotidiana solitudine. Il colore e il profumo delle confezioni floreali rallegrano i sensi, mentre anche chi non deve comprare nulla rimane incantato davanti a tanti gusti mescolati tra loro.

E che dire dei locali che punteggiano la parte esterna della struttura? Basta solo passare un sabato mattina per vedere il letterale "assalto" ad alimentari di alta qualità, dolciumi che non si trovano da nessuna altra parte, pane e pasticceria, la rosa di Gorizia, la macelleria, la rosticceria, le confezioni floreali e le sementi. Da una vetrina campeggia la scritta "vino sfuso". Quando si alza la saracinesca, non si incontrano solo ottimi prodotti della vite, ma anche qua, frutta, verdura, perfino a volte il salame, oltre a miele di casa e mille altre leccornie. Soprattutto, accanto a ogni porta, si trova un sorriso, una stretta di mano, una simpatica diceria raccolta da questo e da quello, perché in questo tipo di ambienti ci si va, anche perché si sa un po' tutto di tutti. Non può mancare il venditore di giornali, con il quale è sempre piacevole raccontarsi del passato e del presente, commentando le notizie che campeggiano sulle prime pagine dei quotidiani.

Ebbene, tra i vari "si dice", c'è anche che tutto questo angolo di varia umanità goriziana potrebbe essere chiuso. Ciò potrebbe accadere non soltanto per una necessaria opera di risistemazione e restauro, della quale peraltro per il momento nessuno ha sentito parlare di date e di tipologia di interventi. Si sa che non vengono rinnovate le licenze, là dove qualche venditore o venditrice va in pensione. Si vocifera che siano già arrivate alcune ingiunzioni di sfratto ai negozi che si affacciano su Corso Verdi e via Boccaccio. Si sa e si vede chiaramente che la maggior parte delle bancarelle sono state lasciate vuote. Si sa tutto questo, ma il destino di un luogo così importante sembra che nessuno sappia realmente quale sia. C'è chi parla di un centro commerciale, chi dell'acquisto da parte di società straniere, chi di tante altre ipotesi più o meno fantasiose e suggestive. Insomma, tutto questo per dire che un po' di chiarezza non farebbe male.

Se davvero venisse meno il mercato, Gorizia perderebbe un altro pezzo molto importante della sua storia passata, ma soprattutto del suo presente. Verrebbe meno uno di quei presidi sociali che rendono caratteristica e autenticamente umana una città. Sarebbe un grande peccato, un ennesimo cedimento alla progressivamente vincente cultura dell'isolamento e dell'esclusivo profitto. Con un grazie di cuore a chi ancora eroicamente resiste sul fronte di un'economia basata sui rapporti amichevoli e sul sorriso sincero, si auspica che chi deve decidere decida. Per migliorare, per adeguare, per riscaldare, per favorire, ma mai per cancellare o per soggiacere alla logica dell'arricchimento e della spersonalizzazione.

lunedì 13 ottobre 2025

Gaza: gioia per il cessate il fuoco, preoccupazioni e speranze per il futuro

 

Oggi è un giorno di quelli nei quali si emette un sospiro di sollievo. 

Certo, è un respiro profondo, al netto della sicumera dei bombardatori che si trasformano in pompieri e, dopo aver avvallato decine di migliaia di cadaveri, pretenderebbero perfino di ricevere il premio Nobel! Non manca nemmeno una delle preoccupazioni e dei timori sollevati dal cosiddetto "piano di pace Trump". 

Tuttavia sono motivo di grande gioia le odierne buone notizie: la cessazione delle operazioni genocide in Gaza, la liberazione degli ostaggi israeliani sopravvissuti e quella contestuale di una parte delle migliaia di ostaggi palestinesi prigionieri in Israele, il fragile avvio di un dialogo finalizzato a trasformare la tregua in pace vera.

Certo, la parola entusiasmo in questa fase è senz'altro  prematura e i passi che attendono la Terra Santa sono ancora enormi. Tutto dipenderà soprattutto da alcune variabili, inestricabilmente legate al destino politico delle componenti israeliana e palestinese.

Da una parte infatti, condizione previa per una pace giusta e duratura è il riconoscimento dello Stato di Palestina e dei diritti inalienabili alla vita, alla libertà e all'autodeterminazione del  popolo palestinese. Accanto a questa immediata constatazione c'è l'altra, legata allo sfruttamento sistematico dei territori abitati dai palestinesi, sistematicamente perseguitati, umiliati, annichiliti dalla prepotenza dei coloni. Il blocco degli insediamenti dei coloni israeliani, sostenuti finora quasi sempre dalla forza militare, è un'altra conditio sine qua non, nodo certamente non facile da sciogliere per qualunque governo voglia restare in carica a Gerusalemme. Occorrerebbe inoltre uscire dalla logica perversa degli interessi economici che portano a strategie ciniche e a carneficine inaccettabili. E' dimostrato il sostegno di Netanyahu ad Hamas, finalizzato a destabilizzare la Striscia di Gaza e a indebolire l'autorità palestinese. Così come dietro al sorriso soddisfatto di Trump, tutti sanno che ci sono tante prospettive di guadagno, tra l'altro esplicitamente preannunciate dallo stesso presidente USA. In questo senso, anche il rifiuto di liberare Margan Barghouthi, da tanti definito il "Nelson Mandela palestinese" in quanto possibile mediatore e negoziatore tra le parti, non è certo un buon segnale.

Rimane poi una forte componente psicologica. Quanto avranno inciso le operazioni militari che hanno seminato morte nelle famiglie, tra i giornalisti, gli operatori sanitari e tutte le componenti della società Gazawi? Quale rientro "in pace" per centinaia di migliaia di esseri umani che si trovano davanti a montagne di macerie, là dove prima esistevano le loro case? Quale prospettiva di superamento dell'odio per i familiari delle vittime degli attentati del 7 ottobre? Quale disponibilità al dialogo da parte di chi da ottanta anni è stato progressivamente defraudato di tutto, anche della speranza di poter vivere nella pace?

Insomma, ci sono tantissime domande che attendono risposte importanti, dettate dall'equità e dalla necessità di ritrovare un senso al concetto di "umanità". In ogni caso, al di là dei festeggiamenti ufficiali, è bello condividere il sincero riso gioioso dei bimbi di Gaza. Sono loro al vertice dei nostri pensieri, finalmente liberi dall'incubo di essere da un momento all'altro massacrati dalle bombe e dalle mitragliatrici dell'esercito israeliano. L'auspicio è che lo siano per sempre.

giovedì 9 ottobre 2025

La Bellezza che accoglie: un grande convegno nella Basilica di Aquileia


Sabato 11 ottobre, la Basilica di Aquileia sarà il contesto di uno straordinario convegno. Di seguito il comunicato stampa della Fondazione Società per la Conservazione della Basilica:

Un’intera giornata di lavori, con incontri, tavole rotonde e testimonianze, ma anche solidarietà e musica, il tutto accessibile e inclusivo.

La Basilica Patriarcale di Aquileia, patrimonio UNESCO dal 1998, apre le sue porte, sabato 11 ottobre, al convegno internazionale “La Bellezza che Accoglie: arte, spiritualità e condivisione”, un forum sui temi di accessibilità e inclusione nel settore della cultura e dell’accoglienza.

Il convegno, che si svolge sotto l’Alto Patrocinio del Parlamento europeo, con il patrocinio del Ministero per le Disabilità e del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede, è un passo fondamentale del progetto “Basilica per Tutti”, realizzato grazie al contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e nato con il preciso obiettivo di rendere completamente accessibile la Basilica di Aquileia, e di studiare buone pratiche facilmente replicabili in altri siti culturali e siti UNESCO.

Di rilievo i nomi dei relatori al convegno, sia appartenenti al mondo religioso come suor Veronica Donatello dell’Ufficio CEI per la Pastorale delle persone con disabilità, e don Andrea Ciucci della Pontificia Accademia per la Vita, che di quello civile, come Gabriella Cetorelli dell’UNESCO, il direttore de L’Abilità ONLUS Carlo Riva, la presidente di Diritti Diretti Marta Russo e David Kozuh del Goriski Muzej di Nova Gorica.

Il forum sarà anche occasione di incontro di chi si trova costantemente a contatto con la disabilità sul territorio regionale, come l’associazione del Cantiere dei Desideri, La Nostra Famiglia e tante altre.

Proprio tre realtà regionali sono state coinvolte nell’organizzazione del convegno. Le cooperative sociali HattivaLab e Arte&Libro realizzeranno alcuni gadget dell’evento, consegnati ai relatori e ai partecipanti, mentre il pranzo sarà curato e realizzato da Diversamente Bistrò, attività commerciale creata a Udine e gestita da ragazzi con disabilità seguiti da ANFFAS, l’Associazione Nazionale Famiglie di persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo.

“La Basilica Patriarcale di Aquileia è patrimonio dell’Umanità, ed è quindi nostro dovere far sì che l’umanità intera possa goderne e beneficiarne”, spiega Andrea Bellavite, direttore della Fondazione Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia. “Tutta la nostra attività, quotidiana e non, tende a questo obiettivo: essere pronti per accogliere chiunque, perché chiunque deve poter godere della bellezza, indipendentemente dalla propria abilità o meno, dalla religione, dal genere e da qualsiasi altra caratteristica.”

“Il convegno La Bellezza che Accoglie nasce direttamente dall’esperienza con Basilica per Tutti”, sottolinea Anna Maria Viganò, referente di Basilica per Tutti per la Fondazione So.Co.B.A. “Questi anni di progetto ci hanno permesso di creare una rete virtuosa di professionisti, e di studiare buone pratiche su accessibilità e inclusione che ora vogliamo diffondere sul territorio. Con questo spirito nasce l’evento dell’11 ottobre, che vuole mettere in contatto le realtà regionali con gli esperti del settore che abbiamo incontrato in questi anni e che ci hanno permesso di crescere”.

La giornata dell’11 ottobre inizierà con il saluto del Ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, dell’Arcivescovo di Gorizia Mons. Carlo Roberto Maria Redaelli oltre che delle autorità locali.

Poi sarà il turno del convegno vero e proprio, moderato dal direttore di So.Co.B.A. Andrea Bellavite. Seguiranno le testimonianze di chi si trova a convivere, lavorare e avere a che fare con la disabilità, propria o di chi gli sta vicino. Nel pomeriggio, dopo il pranzo sociale, lo stesso Andrea Bellavite guiderà i partecipanti a scoprire i segreti della Basilica di Aquileia, patrimonio UNESCO dal 1998. Infine, alle 18.45, la giornata si chiuderà con un concerto accessibile, inclusivo e aperto a tutti, ultimo appuntamento della trentasettesima stagione dei Concerti in Basilica, organizzata dalla stessa So.Co.B.A.

Davanti ai mosaici di 1700 anni si esibirà Alina Konarska Schmidt, cantante non vedente dalla nascita, accompagnata dal pianoforte da Aleksander Zielinski.

“La rassegna musicale dei Concerti in Basilica in questi anni ci ha permesso di portare nella Basilica di Aquileia grandi nomi della musica classica, affiancandoli spesso a produzioni regionali e realtà giovanili”, spiega Sara Zamparo, referente della stagione concertistica per la Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia. “Quest’anno la chiusura sarà affidata ad un concerto accessibile ed inclusivo: inclusivo perché sul particolare palco della Basilica ci sarà un’artista non vedente, accessibile invece perché metteremo in campo tutte le tecnologie e gli strumenti che abbiamo sperimentato in questi anni, come sottotitoli, traduzione in LIS, audiodescrizione, monitor e riprese per una fruizione facilitata e anche i palloncini, che permettono ai non udenti di percepire le vibrazioni della musica. Uno strumento tanto semplice quanto utile”.

Il progetto di Basilica per Tutti, sostenuto dalla Regione Friuli Venezia Giulia, ha già permesso alla Basilica di dotarsi di un percorso di visita completamente accessibile per le persone con difficoltà motorie, ma anche di strumenti per facilitare la visita attiva a non vedenti e persone con disabilità intellettive.

L’obiettivo del progetto è infatti la creazione di buone pratiche per far sì che la Basilica Patriarcale, patrimonio dell’Umanità, sia realmente aperta all’umanità intera.

lunedì 6 ottobre 2025

Le manifestazioni di questi giorni, milioni di piccoli grandi segni di speranza

 

Questa immagine rappresenta un angelo davanti alla porta socchiusa di una tomba. Si trova nel cimitero acattolico di Napoli, oggi trasformato in suggestivo parco pubblico, poco più di un chilometro dalla stazione di piazza Garibaldi. Anche l'angelo sembra incuriosito da cosa ci sia al di là o forse vuole spalancare le ante, per far uscire chi si trova imprigionato. Mah...

...mah, proprio mah è ciò che viene da dire in questo momento. C'è un genocidio in corso, Netanyahu e i suoi seguaci stanno radendo al suolo la Striscia di Gaza. Decine di migliaia di persone, soprattutto bambini, hanno perso la vita e molte di più sono rimaste ferite irreparabilmente. Nessuno può entrare nella zona, quasi trecento giornalisti liberi e indipendenti sono stati uccisi, così come altrettanti operatori sanitari rimasti intrappolati tra le macerie di ospedali e dispensari. La gente sta morendo di fame e le file che aspettano il loro turno per recuperare qualche grammo di farina vengono mitragliate senza pietà. Migliaia di palestinesi sono rinchiusi nelle carceri israeliane, in condizioni difficili da immaginare, se si pensa al destino riservato ai navigatori della Flotilla, personalità anche molto note, in teoria tutelate dai rispettivi Stati sedicenti amici di Israele. Gli osservatori e attivisti della Flotta vengono arrestati in acque internazionali, in violazione di qualsiasi principio di legalità, maltrattati, torturati e molti di essi detenuti. E a Gaza si continua a morire, le città sono diventate cumuli di rottami incandescenti e le campagne sono state trasformate in deserto.

Come accettare tutto ciò (e molto, ma molto altro)? Come non stracciarsi le vesti dal dolore per ciò che sta accadendo? E cosa si potrebbe fare?

Milioni di persone in Europa hanno capito che la pressione dell'opinione pubblica può raggiungere qualche risultato concreto. Una simile mobilitazione popolare non si vedeva dai tempi della sciagurata guerra contro l'Iraq, nel 2003. Non a caso, una delle protagoniste della grande avventura della Flotilla è stata Greta Thunberg, negli anni passati capace di mettere in movimento i giovani di ogni continente, richiamandoli a una grande lotta per sensibilizzare il mondo sui cambiamenti climatici. Con la sua forza interiore e la sua innata saggezza, ha testimoniato - pagando anche molto di persona - l'importanza del tentativo di spezzare l'ingiusta catena del blocco navale che paralizza la vita della Striscia di Gaza. 

Chi non ha capito è la gente che desidera lo status quo, che non vuole essere turbata nella propria incosciente tranquillità, che proprio per questo non vuole assumersi responsabilità. Che pena! E' un po' come vedere certi vecchietti nei bar di paese, i quali, dopo aver smesso l'ultima briscola, si siedono e criticano tutto e tutti, pronti ad azzittirsi nel momento in cui vedono passare uno dei loro argomenti di conversazione. Molti di essi non vanno neppure a votare - ormai sembra un miracolo quando un'elezione coinvolge più del 50% degli aventi diritto. Gli altri si fidano delle parole illusorie di chi da una parte promette sicurezza, dall'altra incrementa in tutti i modi possibili lo scontro sociale.

Sì, veramente non si riesce a capire questa destra in Italia. Sembra fare di tutto per innalzare il livello dello scontro: l'assoluta ignavia di fronte a ciò che sta accadendo, l'asservimento acritico agli USA, la polizia in assetto di guerra, addirittura l'invito al Mossad per controllare chi manifesterà contro la partita Italia-Israele a Udine, forse - non ci sarebbe da meravigliarsi - anche i disordini durante le manifestazioni. E' un copione già scritto in altre occasioni, quando i "facinorosi" non sono mai stati identificati - vedi G8 di Genova - e hanno acceso le micce che hanno scatenato la violenza della polizia.

I dati delle elezioni in Calabria fanno riflettere: neppure il 44% dei votanti, una vittoria di Pirro per la destra governativa, un disastro per il campo largo del centro sinistra. Mentre fiumi di persone, soprattutto giovani, gridano il loro desiderio di una società più giusta, la risposta della politica tradizionale è stupefacente, sembra proprio che non ci si accorga di nulla.

Le vicende di Gaza segnano uno spartiacque storico, anche se non tutti se ne stanno rendendo conto. Comunque vada a finire, nulla sarà come prima, il destino della Palestina si intreccia come non mai con il destino dell'intero Pianeta. Finalmente ci sono i segni di un altro mondo possibile, la base sta riprendendo coraggio. Una fase di democrazia partecipata e assembleare sembra necessaria per sanare il malessere congenito di una rappresentatività sempre più striminzita e meno convincente. La "marcia su Gaza" della prima e delle nuove Flotille potrà essere repressa, anche nel sangue, ma il messaggio da essa derivato interpella e interpellerà ogni giorno di più la mente e il cuore di ogni essere umano. Si tratta di scegliere da che parte stare, ma non con un partito o con l'altro, ma con una nuova concezione della parola umanità. 

sabato 4 ottobre 2025

La tragedia degli Einstein al Focardo. Un libro da leggere!

 

No, mi dispiace, ma dovete assolutamente leggerlo, è appena uscita l'edizione italiana dopo quella inglese. Si trova in qualsiasi libreria.

E' la cronaca di una strage, voluta dai soldati tedeschi, forse Wermacht, forse SS, che hanno ucciso senza pietà Nina Mazzetti e le sue figlie, Luce e Cici Einstein, figlie di Robert, cugino di Albert, cresciuto insieme a lui a Pavia e a Isola della Scala, dove i due "padri", fratelli Einstein, hanno costruito gli impianti per portar la luce elettrica nelle "basse" milanese e veronese,

Ciò che c'è di nuovo è la competenza e la bravura di Thomas Harding, molto noto in Italia per aver scritto il "Comandante di Aushwitz", un'incredibile biografia dalla quale è stato tratto un celebre film che ha incantato i botteghini nel corso dell'anno 2024.

Con la stessa capacità di scrivere, come uno straordinario romanzo e con la stessa strabiliante documentazione - cinque anni di intensissimo lavoro! - Thomas ricostruisce uno degli episodi più misteriosi della parte conclusiva della seconda guerra mondiale. Si tratta dell'assassinio, nella tenuta fiorentina del Focardo, di Nina Mazzetti e delle sue due figlie di 16 e 26 anni, Nina e Cici Einstein, colpevoli del solo fatto di essere rispettivamente moglie e figlie di un ebreo. E si tratta anche di tutto ciò che è accaduto prima, nella visitatissima villa e di ciò che è accaduto dopo, fino al suicidio di Robert Einstein, il 13 luglio 1945.

Le ultime testimoni diretti e oculari di questi eventi erano le gemelle Lorenza e Paola Mazzetti, praticamente adottate dagli zii Robert Einstein e Nina Mazzetti, morte nel 2022 e nel 2023, oltre a Anna Maria Boldrini, figlia di Vincenzo e Ada Mazzetti, anch'essa sorella di Nina e figlie del pastore valdese prima di Bergamo, poi di Napoli Lorenzo Mazzetti. Nessuno prima d'ora ha raccontato in questo modo la storia dell'eccidio nazista del Focardo. Anna Maria Boldrini era mia madre, ci ha lasciato a 98 anni lo scorso 16 marzo 2025.

Veramente, con tutto il cuore, vi consiglio di comprarlo e di leggerlo!

mercoledì 1 ottobre 2025

Coraggiosa Flotilla, il momento della verità...

 

Che ansia! E non si dovrebbe lasciarsi prendere dall'ansia, perché essa fa parte del disegno di chi vuole destabilizzare il mondo per asservirlo, in nome della dea "sicurezza". Ma è difficile che le emozioni non siano coinvolte in ciò che sta accadendo in queste ore.

Il cosiddetto piano Trump, costruito dagli Stati Uniti con Israele senza nemmeno interpellare la controparte, attende (assai improbabile) adesione da parte di Hamas. La Striscia di Gaza è tra l'incudine di un'imminente distruzione totale - alla faccia di chi finora ha esitato a denunciare il genocidio per ciò che effettivamente è! - e il martello di un accordo capestro che pone le condizioni dell'eventuale tregua nelle esclusive mani del guerrafondaio Netanyahu e del bullo di Washington. Il guaio è che tale cosiddetto "piano di pace", per il quale Trump pretenderebbe addirittura il premio Nobel, è considerato ragionevole da Ursula von der Leyen, dalla maggior parte dei governi europei, tra i quali ovviamente in prima fila il sempre più prono esecutivo Meloni. Purtroppo ne parla in termini positivi perfino papa Prevost, le cui peraltro scarse e generiche dichiarazioni di circostanza risultano sempre più imbarazzanti. Possibile che non ci sia qualche altra soluzione, che non sia l'umiliazione totale di un intero popolo che da ottanta anni reclama almeno il diritto di esistere?

Nel frattempo la cara Flotilla è entrata nella "zona rossa" e ci si attende da un momento all'altro l'intervento della marina militare e dell'aviazione israeliana. La nave appoggio faticosamente inviata da Crosetto ha comunicato che non avrebbe varcato la soglia delle 150 miglia nautiche di distanza da Gaza e molto nobilmente ha invertito la rotta, lasciando del tutto soli i coraggiosi naviganti. Sì, perché al di là dell'opinione che ciascuno può avere sull'opportunità dell'impresa, come non considerare dei "coraggiosi" questi marinai? Essi fanno ciò che avrebbero dovuto fare i governi del Mondo: affrontano a braccia alzate, senza alcuna arma di difesa, il rischio di morire travolti da uno degli eserciti più potenti del mondo, al solo scopo di aprire un corridoio umanitario in un blocco navale illegale, per aiutare la popolazione della Striscia di Gaza ridotta alle soglie della morte per fame.

Come finirà questa storia? Che cosa accadrà nelle prossime ore? Ci sarà un soprassalto di ragionevolezza e le barche riusciranno a passare indenni? E se invece non fosse così, come verrebbero fermate? Con le armi, con il rischio che ci siano morti e feriti o con un arresto generalizzato e il rimpatrio forzato degli attivisti, magari realizzato con dolorosi mezzi coercitivi? E nei Paesi degli operatori di pace, quali reazioni si potrebbero verificare? Fino a che punto l'opinione pubblica si spaccherebbe a metà, tra sostenitori e denigratori della Flotilla? Il proposto "blocchiamo tutto" quanto e da chi sarebbe effettivamente realizzato? Siamo alla vigilia dell'atteso da anni e mai avvenuto innalzamento dello scontro sociale e civile in Italia e negli altri Paesi europei?

Occorre tenere i nervi a posto, è senz'altro un momento di lotta per la giustizia, la verità e la pace, ma anche di scelta convinta del metodo della nonviolenza attiva, proprio quella propugnata dalla Flotilla. Forse, dall'epoca della marcia del sale guidata da Gandhi, questa è la prima azione di pace globale, avviata senza le armi verso una terra quotidianamente bombardata in una guerra a senso unico. Comunque vada a finire, sarà una vittoria. La (ovviamente auspicabile) rimozione del blocco navale o la repressione dell'iniziativa sarebbero entrambe il segno dell'obiettivo raggiunto: mettere in discussione una delle più importanti espressioni del Potere economico e militare planetario, non con i missili e neppure con gli attentati, ma con le braccia inermi protese soltanto a portare conforto a chi vive nel terrore e nella fame.

Maratone elettorali all'italiana

 

In Slovenia si vota tutto - amministrazioni locali e parlamento nazionale - una volta ogni quattro anni. Fa eccezione il presidente della Repubblica che resta in carica per cinque anni. In questo modo la campagna elettorale si svolge solo negli ultimi mesi prima dell'apertura delle urne e il dibattito, nell'esercizio dei diversi mandati, resta nella dimensione dell'ordinario.

In Italia invece si vota sempre e ogni situazione è buona per celebrare con note trionfalistiche le vittorie e per irridere con toni grotteschi le sconfitte. E' il caso di questo autunno, nel quale, oltre alle già transitate Valle d'Aosta e Marche, saranno chiamate al voto - in domeniche/lunedì rigorosamente scaglionate così da tenere sempre desta l'attenzione - la Toscana, la Calabria, il Veneto e la Puglia, regioni piuttosto importanti dal punto di vista dei numeri.

Alla moltiplicazione degli elezioni non sembra corrispondere altrettanto entusiasmo negli elettori. Ormai è un successo se si supera il 50% delle presenze. La disaffezione è preoccupante e non solo come segnale di mancanza di fiducia nella democrazia. Sembra sempre più difficile convincere il cittadino a compiere delle scelte, quando gli eletti raramente corrispondono alle promesse e soprattutto non rappresentano quasi mai gli ideali etici e politici comunque presenti nella società italiana. 

E così ogni elezione diventa una specie di rodeo, nel quale gli uni e gli altri preparano l'evento con roboanti "vinceremo" seguiti da altrettanto roboanti sguaiate urla di trionfo o da improbabili scuse per nascondere le delusioni. 

In realtà, l'impressione è che tutto resti quasi invariato e che ogni tornata regionale non sia altro che un'occasione per rafforzare o indebolire l'azione del governo nazionale di turno. Nella fattispecie, non occorre essere immensi politologi per prevedere che Marche e Calabria restino al centro destra, Toscana, Campania e Puglia vadano al centro sinistra. L'unica Regione dove il dopo Zaia potrebbe riservare qualche sorpresa è il Veneto, grazie soprattutto alla confusione che regna nella coalizione da dieci anni.

Tutto ciò per dire che né i "Vinceremo!" né i "Nonostante tutto ci è andata bene", possono scaldare un elettorato sempre più maturo che vorrebbe invece un confronto serio e profondo sulla visione del mondo, sui problemi e sulla loro concreta possibile risoluzione a ogni livello. In altre parole, sulla capacità di coniugare gli assoluti dell'Etica con le inevitabili contingenze della Politica.