domenica 21 dicembre 2025
A Protestantesimo, su Rai3, si parla di Trubar, di Nova Gorica e Gorizia
Buon solstizio!
C'è voluto Galileo Galilei per smontare simili venefiche suggestioni, dimostrando come il Sole non si possa fermare, per il semplice fatto che non è lui a girare intorno alla Terra, ma viceversa. Gli scribi e i farisei cattolici del tempo ritennero che fosse un presuntuoso sacrilego, uno che pensava di saperne più di Dio, il quale, a loro dire, aveva scritto direttamente, attraverso la mano degli scrittori ispirati, il testo biblico. E rischiò di perdere per questo se non letteralmente la testa, almeno la possibilità di continuare a lavorare. I pontefici impiegarono più di 300 anni per arrivare ad accettare gli studi filologici e archeologici, finalizzati a una migliore e corretta comprensione della Bibbia, accettando i generi letterari, le acquisizioni delle varie discipline e l'interpretazione scientifica. Ancora Pio X, all'inizio del XX secolo, metteva in guardia da una "lettura" che mettesse in discussione l'assoluta verità letterale comunicata dall'autorità divina.
Il Sole dunque non si era potuto fermare, anche se poi si è scoperto che anche la nostra Stella gira, non intorno alla Terra, ma intorno al centro della Galassia e la Galassia intorno al centro dell'universo conosciuto e così via. E' un girare vorticosamente, intorno a un centro e anche intorno al centro di sé stessi. Per esempio, il nostro meraviglioso pianeta "corre" nello spazio alla velocità di circa 107.000 km/h e ruota intorno al proprio asse a circa 1700 km/h (all'equatore, ai nostri 45° di latitudine, poco più di 1100 km/h, poco più di un normale aereo di linea). La Luna gira intorno a noi alla ben più bassa velocità di 3400 km/h e intorno a sé stessa se la prende con calma, 17 km/h, molto più lenta di Usain Bolt. Insomma, da qualunque punto si osservi, è tutto un interrotto movimento.
Detto questo sì, oggi pomeriggio alle 16.04 il Sole si ferma. O meglio, ovviamente sembra che si fermi un istante infinitesimale, sufficiente a ricevere il nome di Sol-stizio, Sole in sosta. Arriva fino al punto più basso dell'emisfero nord e immediatamente dopo riprende il suo cammino, procedendo nella drezione opposta e innalzandosi progressivamente sull'orizzonte. Il giorno via via prevale sulla notte e presto il calore ricomincerà a farsi sentire, risvegliando la natura apparentemente addormentata. O almeno, così accadeva fino a quando l'antropocene non ne ha sconvolto i ritmi provocando l'estremamente preoccupante crisi climatica.
E' veramente un momento magico, quello dei solstizi e degli equinozi. Le religioni antiche collocavano in questi snodi temporali le loro più importanti ricorrenze. E non a caso, proprio in questi giorni si celebra il Natale. Nessuno può sapere le data di nascita di Gesù, un illuminato papa Leone (il primo, dagli amici chiamato anche Magno), ha pensato bene di collocarla nel momento in cui i suoi contemporanei "osavano" ancora festeggiare il Sol invictus, il giorno della vittoria della luce sulle tenebre, del gallo sulla tartaruga, per dirla con i mosaici aquileiesi.
Buon solstizio allora, a tutto il mondo. E che il Sole si fermi, non per continuare le guerre, ma per dare il tempo al dialogo, alla trattativa, alla negoziazione di pace. Sempre e ovunque.
venerdì 19 dicembre 2025
La Tradizione del primo Natale si chiama Fraternità
In giro per il Friuli-Venezia Giulia, ho visto ovunque questo manifesto e mi sono chiesto "perché? quali tradizioni dobbiamo difendere? e da chi?" Poi ho letto l'augurio sottostante e davvero, non ho capito che nesso ci sia tra la "difesa delle tradizioni" e il "Santo Natale"...
Io conosco il Natale da quello che c'è scritto nei Vangeli di Matteo e di Luca. E credo che il Vangelo sia e debba essere il fondamento della Tradizione di chi si professa cristiano.Il "Santo" Natale è quello di una madre e di un padre respinti, costretti a un parto nel gelo di un caravanserraglio perché "non c'era posto per loro negli alberghi". E' quello riconosciuto dai poveri del tempo, i pastori che offrono il poco che hanno e i saggi magi che portano doni d'Oriente. Ed è quello che ha indirettamente provocato la strage degli innocenti, uccisi da un Potere civile, militare e religioso, intento solo a salvaguardare i propri squallidi interessi.
Il messaggio evangelico è tutto meno che "patriottico", ha un seme internazionalista e universale, fondato sull'amore, sulla nonviolenza, sul superamento proprio della Tradizione in nome di una nuova dimensione, radicata nel riconoscimento della condivisione globale, senza alcun confine. E' l'annuncio di una comunità di amici, capaci perfino di superare e trasformare il terrore della morte, in una capacità di stare insieme dove, come scrivono gli Atti degli Apostoli, non ci sono poveri perché ciascuno condivide ciò che ha con chi nulla possiede.
Per questo l'attualizzazione e la "difesa" della Tradizione del Natale, l'autentico presepio del 2025 è nella casa dei Cappuccini a Gorizia o nella Piazza dei Popoli davanti alla stazuione ferroviaria di Trieste o nel Centro Balducci di Zugliano, dove vengono accolti i migranti della rotta balcanica, che non trovano posto in alcuna struttura pubblica, perché il Potere non solo non si adopera per alleggerire il loro dolore, ma addirittura ridicolizza i volontari che sopperiscono all'incredibile mancanza di un'assistenza pubblica. E' in chi costruisce dialogo fra le visioni religiose e filosofiche del mondo, cercando soluzioni ai problemi e non un'ulteriore penalizzazione di chi incontra già tante difficoltà. E' di chi, ascoltanto o meno l'annuncio di "pace in terra agli uomini che Dio ama", si indigna per il genocidio dei bambini innocenti che continua a Gaza nel silenzio dei media, nel Sudan e in tante altre parti del mondo, e cerca di portare un contributo concreto alla cessazione di queste orribili tragedie. E' di chi si fa costruttore autentico di pace, ribellandosi all'idea che l'aumento delle armi possa portare giustizia e risolvere i problemi e le controversie, impegnandosi a promuovere il dialogo, la trattativa e il negoziato come unici strumenti degni dell'umana intelligenza per affrontare tutte le questioni, personali, comunitraie e universali.
Mentre le luci nelle città dell'opulento Nord del Mondo sfavillano, mentre le gallerie goriziane si riempiono di suggestioni artistiche, i più poveri sono costretti a pagare i protagonismi dei loro governanti. I viaggiatori alla ricerca di pane e di pace muoiono di freddo nelle piazze dei capoluoghi regionali, gli anziani devono aspettare due anni per trovare un posto accogliente dove trascorrere gli ultimi anni della vita, i malati devono attendere mesi per poter essere visitati. E le energie profuse nella civiltà del "panem et circenses" prosciugano le risorse della terra e sotto gli occhi di tutti gli inverni si trasformano minacciosamente in primavere e le primavere in torride estati.
Insomma, altro che tradizioni melense, espressioni della civitas del consumismo e del turboliberismo, sacrilega strumentalizzazione dell'inizio della rivoluzione cristiana! Il presepio è lo sconvolgente e meraviglioso annuncio di una fraternità possibile e l'albero con i frutti colorati è l'annuncio di una nuova era, equa e solidale, dove nessuno sia più costretto a morire di fame o di guerra, dove ciascuno possa invocare lo stesso Dio in mille diversi modi, dove il meraviglioso sostantivo "Uomo" venga prima di qualunque venefico nazionalismo, razzismo e patriottismo.
martedì 16 dicembre 2025
Il Natale dei Santi Innocenti
C’era aria di festa a Betlemme. Tutti i caravanserragli
erano occupati dalle famiglie che dalla Galilea erano scesi a Gerusalemme per
registrarsi in occasione del censimento voluto da Quirinio. Gli albergatori si
fregavano le mani dalla contentezza, osservando le carovane che giungevano
nella Capitale, fuori dall’ordinaria stagione dei pellegrinaggi.
I pastori portavano i loro prodotti, vendendo ai passanti
latte e gustosi formaggi. C’era una strana luce che creava un’atmosfera magica,
al punto che nessuno si preoccupava del freddo pungente. Gli animali scorrazzavano
liberamente per il villaggio, alla ricerca di mangiatoie dove ricavare qualche
scampolo di fieno. A volte le trovavano occupate dai neonati, dolcemente
collocati sulla paglia, ma non sembravano affatto disturbati, anzi,
mangiucchiando un po’ di qua e un po’ di là, i buoi e gli asini affamati regalavano
qualche alito di calore ai piccoli piangenti.
In una sgangherata casa, affacciata sulla piazza centrale, Rachele
stava per partorire. Tutti si agitavano. Il marito, talmente vecchio da aver
suscitato qualche pettegolezzo, appoggiato al suo bastone correva avanti e
indietro non sapendo evidentemente cosa fare. Gli altri bambini avevano voglia
di giocare e non capivano tutto quel trambusto. L’unica che sembrava tranquilla
era la levatrice. Con gesti guidati dalla lunga esperienza, stava vicina alla
donna, la incoraggiava e le raccontava storie mirabolanti. Tra l’altro, diceva
che, nella vicina stalla, aveva aiutato una certa Miriam a partorire. Era
arrivata con il marito da Nazareth, “anche lui di una certa età” – aveva rimarcato
con un sorriso un po’ malizioso. C’erano un aspetto strano e un altro bello in
quell’esperienza. Strana era l’estrema facilità del parto, anche l’integrità
del corpo, qualcosa che lei, in tanti anni di esperienza, non aveva mai visto.
Bella, ma in questo caso non eccezionale, era la serenità degli sposi, non possedevano
praticamente nulla, ma si sentivano come dei principi. Avevano dato al bambino
un nome importante, Joshua. Affascinata dalla comunicazione simpatica della
levatrice, Rachele pensò con una certa invidia a quella Miriam e così, quasi
senza accorgersene, diede alla luce il figlio e lo depose su una coperta piena bucherellata.
Lo chiamò subito per nome: “Jacob, che tu sia benedetto da Adonaj!”
La levatrice, che si chiamava Salome, si affacciò all’uscio
e subito una scena attrasse la su attenzione. Miriam aveva il bambino in
braccio e Joseph – così si chiamava il compagno di strada – conduceva un asino carico
di vivande, evidentemente procurate dai pastori. Avevano imboccato la strada
del Sud, verso l’Egitto. “Che incoscienza, mettersi in viaggio in questo modo,
con una creatura appena nata. Per di più senza aver fatto il proprio dovere con
il censimento!” – disse, rivolta a Rachele alquanto incuriosita.
La spiegazione di quella repentina partenza non tardò ad
arrivare. “I soldati, i soldati” – si sentiva urlare dappertutto – “cercano il
re di Israele”. Non ci fu quasi il tempo di accorgersene o di chiedersi chi
cavolo fosse questo re di Israele. A Salome, chissà perché, venne in mente il
piccolo Joshua e cercò di reprimere un moto di rabbia. Centinaia di energumeni –
elmo in testa, spade ultimo modello – entravano in tutte le case, puntando
direttamente ai bambini, quelli nati negli ultimi tre nati. Li strappavano
dalle braccia delle madri terrorizzate e, sghignazzando, fendevano l’aria con le
lame affilate. Scorreva sangue dappertutto, le testoline rotolavano negli scarichi
delle case, le braccia venivano scagliate fin sui tetti, le mamme che si
ribellavano venivano trapassate senza pietà. Gli uomini venivano legati gli uni
agli altri e gettati in un deposito di letame, poco fuori dalla porta del paese.
Rachele, sopravvissuta al massacro, guardava e piangeva. Piangeva i suoi figli e non voleva essere consolata.
giovedì 11 dicembre 2025
Goriški camino, il Cammino Goriziano: lunedì alle 18 al Kulturni dom di Gorizia
Il Cammino Goriziano, chiamato anche Goriški Camino e The way of Gorizia, è nato nell'ambito dei piccoli progetti del GECT/EZTS in vista della Capitale europea della Cultura 2025.
E' stato un bellissimo impegno, che ha coinvolto la Società per la conservazuione della Basilica di Aquileia e il Sabntuario francescano di Sveta Gora. I conduttori di quest'ultimo anno e mezzo di lavoro sono stati Mattia Vecchi e Nace Novak, con il coinvolgimento dei responsabili delle due entità e di molte persone che si sono date da fare per aiutare, sostenere, promuovere.
I frutti principali di questa azione condivisa sono tre: la ristrutturazione e sistemazione della Casa "Mir in dobro" a Sveta Gora, ottimo ostello per pellegrini, viandanti e turisti; l'individuazione e segnalazione del percorso, con le quattro tappe da Aquileia a Sagrado, da Sagrado a Mirenski grad, da Mirenski grad a Gorizia, da Gorizia a Nova Gorica e a Sveta Gora; il libro guida, curato da Andrea Bellavite (sì, io!) e Nace Novak, con le splendide foto di Mattia Vecchi.
Solo tra il 2024 e il 2025, sono almeno 1000 le persone che si sono cimentate nei più di 80 chilometri di percorso, la maggior parte sloveni, ma anche italiani e di varie altre provenienze.
Se ne parlerà, abbondantemente, lunedì 15 dicembre, alle 18 presso il Kulturni dom di Gorizia. Gli editori, Martina Kafol di ZTT e Vittorio Anastasia di Ediciclo, insieme agli autori, presenteranno l'opera in rigoroso bilinguismo (con traduzione simultanea). Saranno introdotti dall'ospitante, Igor Komel, direttore della prestigiosa istituzione culturale goriziana.
mercoledì 10 dicembre 2025
Capitale europea dell'Accoglienza?
Camminano per mesi, a volte per anni. Cercano di lasciare terre segnate dalla guerra e dalla fame. Devono attraversare confini, subendo ogni sorta di disagi e a volte anche di persecuzioni. Sono convinti di essere accolti a braccia aperte, nello spazio del Pianeta abitato dalla democrazia e dal rispetto per i diritti dell'uomo. Arrivano al confine tra Italia e Slovenia, di nuovo presidiato "provvisoriamente" da oltre due anni dalle forze dell'ordine. Sono sfiniti, spesso febbricitanti per il freddo e la stanchezza, con i piedi feriti da strade impervie e le spalle segnate dalle percosse.
Giungono a Gorizia, che grazie a Nova Gorica è stata evropska prestolnica kulture 2025. Devono espletare le pratiche per la richiesta d'asilo, ma per entrare negli uffici competenti occorre passare la notte, nel gelo invernale, sotto la pioggia o con un'umidità che ti penetra fin nel profondo delle ossa. Molti volontari cercano coperte, preparano bevande calde, riescono a garantire qualcosa da mangiare. La Caritas cura gli alloggi di fortuna, presso il convento dei Cappuccini e l'oratorio del Duomo Pastor Angelicus. Ma gli spazi non sono sufficientia ospitare tutti. Sono le stesse persone e le stesse istituzioni che assistevano centinaia di migranti nella galleria Bombi, alcuni anni fa, subendo addirittura il dileggio delle istituzioni.
Adesso Galleria Bombi non può ospitare nessuno, perchè sta per essere inaugurato il tunnel delle meraviglie, una bella manciata di milioni di euro per colorare di luci strepitose (e costose, anche e soprattutto per la manutenzione...) il passaggio sotto la collina del castello, devastata da vent'anni da una serie di ascensori mai partiti. E allora? Allora il Comune e le altre istituzioni, preparati da anni di "arrivi", hanno spalancato le porte dei caldi rifugi appositamente predisposti?
No, purtroppo... E ai poveri che non hanno trovato posto negli spazi del volontariato, non resta che utilizzare il simbolo dei simboli, l'opera d'arte multicolore che dovrebbe ricordare ai posteri la grandeur di una Capitale europea della Cultura. Per dirla in tempo di Natale, "non c'era posto per loro negli alberghi. Trovarono alloggio sotto un obelisco di vetro".
domenica 7 dicembre 2025
Il Museo Civico del Tesoro di Grado. Assolutamente da non perdere...
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| Uno sguardo a Barbana, correndo in bici verso Grado |
E' un'esposizione bellissima che consente di ripercorrere in pochi passaggi la gloriosa storia della gente che ha vissuto e vive sull'Isola, dalla protostoria ai giorni nostri.
Ci sono reperti di grande valore, come i reliquiari del legno della croce, le straordinarie capselle palocristiane, le lapidi che raccontano il battesimo nei primi secoli. C'è l'impressionante copia in gesso della straordinaria stauroteca, il trono del Patriarca soffiato dai Veneziani, il cui originale si trova proprio nella Basilica di San Marco.
Si raccontano episodi misteriosi della vicenda gradese, in particolare le sepolture di bambini e ragazzi ritrovate dagli archeologi nel corso degli scavi degli ultimi anni. Alcuni video documentano tali eccezionali scoperte e molto altro. Il visitatore è accompagnato nella comprensione dei vari passaggi da ottime didascalie scientifiche e opportuni schemi narrativi.
Come hanno detto l'Arcivescovo e il Sindaco di Grado durante la cerimonia di inaugurazione, è la possibilità di riappropriarsi, da parte delle cittadine e dei cittadini, di ciò che a essi appartiene. Ed è proprio in questa logica che la realizzazione di un Museo, ben lungi dal voler sostenere anacronistiche identità ormai confinate in un passato remoto, può aiutare ogni abitante di Grado a rafforzare il già importante spirito di accoglienza. La scoperta delle grandi diversità culturali che hanno caratterizzato e in qualche modo intensificato il passato, diventa l'occasione per offrire criteri e potenzialità per vivere con serenità e gioia la grande occasione del vivere in un mondo meravigliosamente vario, multireligioso e pluriculturale. Come ha insegnato la Capitale europea della Cultura, tali differenza, lungi dall'ostacolare la civile e rispettosa convivenza, la fondano sulle basi decisive di una convinta, consapevole e fraterna umanità.
Tutti gli elementi presenti derivano dalle raccolte della Parrocchia Arcipretale di Grado, gelosamente custodite da monsignor Tognon, cui è dedicata l'esposizione e della Soprintendenza ai Beni Culturali.
Venite dunque a visitare il Museo di Grado, possibilmente con l'accompagnamento del competentissimo curatore scientifico, prof. Dario Gaddi, capace di far parlare con intesnistà e profondità ogni pietra e ogni reperto. Venite, anche perché la direzione e gestione del tutto è stata affidata con appalto dal Comune di Grado - proprietario del Museo - alla Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia. Un nome, una garanzia!
Per il momento, il Museo sarà visitabile nel fine settimana 6,7 e 8 dicembre, poi in quello del 13 e 14 dicembre, poi dal 20 dicembre al 6 gennaio 2026, tutti i giorni (escluso il 31 dicembre), con orario 10.30-12.30 e 14.30-17.30.
sabato 6 dicembre 2025
Ignazio e la Libertà: incontro o scontro?
Sant'Ignazio, come Leone Magno davanti ad Attila sul Mincio, sembra brandire il monogramma di Cristo per fermare l'emblema del liberismo postmoderno.
Ma a differenza di quanto accaduto nel V secolo, questa volta la battaglia sembra non avere storia. La statuta della Libertà, avvilita da una ben umile collocazione sulla punta di una giostra da sagra, sovrasta il povero fondatore dei gesuiti.
E' un vero peccato. In fondo, la chiave di risoluzione sarebbe stata abbastanza semplice. Il medioevo avrebbe dovuto farsi da parte, rinunciando a un oggettivismo senza deroghe e a un indisponente assolutismo politico. In uno straordinario incontro tra culture, religioni e filosofie, sarebbe bastato che la modernità, nelle sue versioni post e ultra, avesse accettato di temperare l'ipervalutazione del soggetto.
Non è andata così, vecchio Ignazio, scendi pure del piedistallo. ma non finirà bene se si continua così, cara statua della Libertà. C'è il rischio che qualcuno, prima o poi, tolga la luce alla giostra e che nessuno ti illumini mai più.
Umanità, incontriamoci sul ponte di Solkan e costruiamo una nuova sintesi, prima che finiscano sia l'Oriente che l'Occidente, come pure il Nord e il Sud...
Lucio Ulian: GO2027 - Un nuovo futuro?
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| Slavoj Žižek al Centrepic di Gorici |
venerdì 5 dicembre 2025
Dalla capitale della cultura, il seme di un nuovo modo di sentirsi "Goriziani"
Con una certa sobrietà, si chiude il grande evento, l'anno di Nova Gorica con Gorizia, evropska prestolnica kulture, capitale europea della cultura.
Più che una sintesi del passato prossimo, in molti luoghi si discute sul futuro. Cosa resterà di questa esperienza, come si andrà avanti dal 2026 in poi?
Le aspettative, nei lunghi anni di preparazione, erano enormi. In parte hanno trovato adeguata risposta, in parte, soprattutto dopo lo spettacolare inizio dell'8 febbraio, ha cominciato a serpeggiare una certa, forse inevitabile, delusione.
Ci sono stati tanti meravigliosi momenti, Nova Gorica e Gorizia sono diventate più belle e attrattive, è cresciuto il numero dei turisti e dei visitatori. Ma ci si può limitare a solo questo criterio di valutazione? Certamente no. Quello che è mancato e che dovrebbe essere al primo posto negli auspici e negli impegni per il futuro, è la consapevolezza gioiosa di essere uniti nella diversità, di sentirsi parte di una città in due o di due città congiunte. Ogni "goriziano" (sia esso sloveno, friulano, italiano, pakistano, albanese o macedone) dovrebbe sentirsi parte di un insieme straordinario, nel quale ciascuno è aiutato a donare agli altri la propria specificità.
Perché questo accada, occore rafforzare una struttura più efficace, nel cuore geografico e morale dell'Europa. Occorre pensare a un organismo dotato di poteri amministrativi autonomi, eletto su base democratica, che coinvolga tutti i Comuni del bacino dell'Isonzo Soča, in ambito italiano e sloveno. E' un grande spazio vitale, fortemente caratterizzato da affascinanti differenze, ma anche da una vocazione a percepirsi come unica umanità, sororità e fraternità. Potrebbe essere un segno permanente, per l'Europa e per il Mondo, di come sia possibile che il dolore delle guerre e dei genocidi si possa trasformare in impegno per costruire giustizia, pace ed equità in tutto il Pianeta.
Un Pianeta che è in grande sofferenza richiede un'analisi per quanto possibile globale, senza per questo dimenticare, anzi fondando il locale. La Capitale europea della Cultura, si è detto più volte, dovrebbe essere Capitale europea dell'Accoglienza. Il dolore di migliaia di persone che raggiungono il confine dopo aver attraversato la rotta balcanica, dovrebbe interpellare fortemente i cittadini e soprattutto le rappresentanze politiche. Che cosa si è fatto, come Nova Gorica e Gorizia, per ricevere degnamente non soltanto danarosi turisti o colti ricercatori della tradizione storica, ma anche la schiera dei poveri che bussa alle porte dell'Occidente per trovare rifugio e conforto?
In tutto questo anno "senza confini" non si è riusciti a costruire una scuola unitaria trilingue, a inserire i reciproci insegnamenti di italiano e sloveno nelle rispettive scuole di Nova Gorica e Gorizia, a togliere dal Comune di Gorizia l'ingombrante cittadinanza onoraria a Mussolini, non si è pensato a una rivoluzione toponomastica congiunta, non si è riusciti neppure a convincere il Governo a togliere gli odiosi controlli sul confine, non si sono incontrati che assai raramente - se non mai al di fuori dei momenti ufficiali - i consigli comunali e le rappresentanze politiche della vecchia e nuova Gorica, oltre che del Comune di Šempeter...
Ciò che lascia la Capitale della Cultura è la necessità di ripensare il futuro tutti insieme, in ogni livello della civile convivenza e delle fasce della società.
Proposta: e se, sulla linea delle intuizioni passate e presenti della rivista Isonzo Soča, si costituisse un gruppo culturale, diffuso sia a Nova Gorica che a Gorizia, in grado di costruire le basi di pensiero filosofico, fondanti un programma transfrontaliero condiviso. Se si favorisse in ogni modo la costituzione di tavoli di lavoro condivisi tra gruppi di interesse, categorie sociali e produttive, realtà culturali e aggregative? E infine, se si individuasse anche un simbolo con valenza politica, tra coloro che si riconoscono in una visione umanistica della società da presentare - unito ad altri complementari simboli o anche autonomamente - alle prossime elezioni amministrative di Nova Gorica 2026 e Gorizia 2027?
Cosa ne pensate?
Morti di freddo e di stenti in FVG: dolore, vergogna, indignazione
Mentre il periodo di Natale accende città e paesi di luci e di suoni, quattro persone sono morte di freddo e di stenti in Friuli Venezia Giulia.
Sono migranti, provengono da luoghi del mondo dove infuriano la guerra e la fame. Come Gesù bambino, non trovano posto negli "alberghi" e devono accontentarsi di casolari fatiscenti esposti al vento, alla pioggia e alle intemperie.
Questa situazione va avanti da anni, sottolineata grottescamente da amministratori in-coscienti (o forse molto coscienti) che si vantano di aver "ripulito" piazze, gallerie, parcheggi sotterranei. A volte addirittura arrivano a fomentare l'odio contro questi fratelli, negando il diritto alla loro cultura e spiritualità.
Se i quattro sono quattro - ma ognuno di loro è un essere umano, portatore di emozioni, speranze, attese, sacrifici immani vanificati dalla porta dell'opulenza chiusa in faccia - è perché centinaia di volontari si sono ribellati. Sono loro che ogni notte ricevono i reduci dalla rotta balcanica, li curano amorevolmente, fanno salti mortali per procurare cibo e coperte. Senza di loro i disagi sarebbero ancora più grandi, universali e i caduti di questa guerra a senso unico sarebbero migliaia. E questi angeli di umanità sono costretti a subire lo scherno di chi ha l'autorità per intervenire, individuando scelte, risorse e percorsi che non siano limitati a spostare le persone come se fossero pacchi postali. Quella che ancora qualcuno chiama emergenza - dopo più di un decennio - è, nel migliore dei casi, incapacità di intendere e volere.
La vergogna ci coinvolge tutti, siamo comunque parte di questo sistema che privilegia i ricchi e affossa i poveri. Il dolore delle vittime penetra a fatica tra presepi luccicanti che alcuni vorrebbero imposti dalla legge e alberi multicolori. L'indignazione è grande, ma che fare?
Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti - ci sbatteva in faccia un tempo Fabrizio de Andrè. Sì, perchè l'indignazione non è soltanto un grido assolutamente indispensabile contro chi governa e amministra chiudendo gli occhi davanti a ciò che sta accadendo. E' anch un impegno personale affinché nel proprio piccolo ognuno possa operare per costruire un'umanità davvero senza confini, dove l'essere parte della famiglia umana venga prima e valorizzi la diversità di lingua, cultura e religione.
Altrimenti, anche i droni proiettati nel cielo, i fuochi d'artificio di fine anno, le feste goriziane per la fine della capitale della cultura... se non segneranno lì'inizio della Capitale dell'accoglienza e della pace, svaniranno in un'eco di sottile ipocrisia.
sabato 29 novembre 2025
Žižek all'Epicenter, uno dei punti più elevati dell'Evropska Prestolnica Kulture
Ed è anche uno di quei personaggi dei quali non riusciresti mai a dare una definizione e neppure a inquadrare in uno schema logico e organico. Ciò non dipende dalla mancanza di chiarezza, ma dall'incredibile capacità di comunicare un flusso ininterrotto di inesauribili concetti attraverso un linguaggio coinvolgente e accattivante.
Insomma, cosa ha detto di tanto importante? E' difficile dirlo, si ha come la sensazione di ascoltare un gigante della comunicazione e di non volerlo restringere dentro gli angusti meandri della propria sempre limitata comprensione. Comunque, qualche punto in movimento di uno dei più importanti pensatori del mondo attuale, è possibile individuarlo.
Straordinaria è l'analisi del presente, con una critica intensa alla sinistra planetaria che ha abbandonato i suoi temi fondamentali, regalando lo spazio del populismo alla destra più estrema. Certo, sorprende sentir definire Trump un figlio del Sessantotto, come pure riportare il fascismo in una sfera ben più ampia di quella nella quale la storia moderna lo abbia rinchiuso. Colpisce il rispetto nei confronti dell'esperienza di ogni religione, ma anche la chiarezza nell'indicazione della necessità di un suo superamento. Al di là della simpatica esemplificazione, c'è un'immensa apertura filosofica nella lettura paradossale dell'Inferno dantesco, là dove sempre accade qualcosa di interessante, se paragonato alla noiosità dell'eterno ripetersi della beatitudine del Paradiso. Terribile il richiamo ai luoghi della sofferenza più eclatante del Pianeta, le guerre in Gaza, in Ucraina, in Sudan, in Eritrea, ma anche alle lande sconosciute dove le mafie internazionali avviliscono la stessa idea di homo sapiens. A ogni finestra aperta sul disastro del crepuscolo del capitalismo, corrisponde una permanente domanda: e adesso? Che cosa ci aspetta? Che cosa possiamo fare? Più difficile trovare nelle risposte operative, costruttive di Žižek la stessa lucida coerenza logica con la quale si pone e offre ai suoi uditori gli interrogativi e le analisi. Assai interessante la conclusione, totalmente controcorrente: l'assunzione del coraggio della di-sperazione come necessità e condizione per un'operatività rivoluzionaria. Come dire che la speranza tranquillizza e inibisce, la sua mancanza, lungi dall'essere distruttiva, costringe a uscire allo scoperto e a trasformare l'inerzia in azione. Si procede e si influenza un cambiamento, della portata e dell'orizzonte del quale tuttavia nessuno ha ancora piena consapevolezza. La crisi - scriveva nel 1930 Antonio Gramsci, citato dal filosofo sloveno - consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere. E in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.
Sì, c'è tanto, ma tanto altro. Non resta che ritagliare del tempo per meditare, per pensare e per agire. Perché - questo è un mio personale punto di vista - senza una profonda rivalutazione della filosofia, non potrà accadere nulla di buono nel Mondo!
mercoledì 26 novembre 2025
Epic, una grande cosa!
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| Una delle sale espositive |
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| Kaja Širok (foto Nevio Costanzo) |
Nel giorno dell'inaugurazione è stata senz'altro protagonista la curatrice, Kaja Širok, che ha voluto ringraziare tutte e tutti coloro che hanno collaborato con lei per raggiungere il prestigioso ma anche assai laborioso obiettivo. Ha sottolineato come l'apertura di un simile spazio offra di fatto a tutti gli abitanti del territorio un'occasione irripetibile di conoscenza e di maggior radicamento nella convinzione della grandezza del progetto che li coinvolge. Inoltre chi viene da lontano, può trovare nell'EPIC un'illustrazione sintetica ed efficace del significativo processo che ha condotto una terra insanguinata dai conflitti a immaginarsi come un laboratorio di giustizia e pace in tutto il mondo. Gli spazi espositivi non sono del tutto completati. Il cammino non termina con lo specchio che consente di guardare al passato contemplando il presente, ma prosegue con l'apporto di ogni cittadina e cittadino che possono portare ricordi, simboli, oggetti di vita quotidiana che abbiano rappresentato qualcosa di significativo per le persone e per l'intera comunità. Da notare che il primo di questi oggetti "musealizzati" è una macchina da scrivere Lettera 35, sulla quale è collocato il numero 1 della rivista Isonzo Soča, pubblicato nel lontano 1983: un piccolo omaggio a Dario Stasi, giornalista pioniere della convivenza tra popoli e culture.
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| Gran folla all'inaugurazione |
Anche il contesto dell'inaugurazione è stato significativo. C'era tanta gente e, sia pure in forma numericamente meno eclatante, si è ripetuto il miracolo dell'8 febbraio. Non si sono percepite più distinzioni o barriere, ci si è sentiti uniti in un'autentica festa dell'amicizia e della Cultura (con la C maiuscola). Nei discorsi di Peter Szabo, del sindaco Turel, del Segretario di Stato alla Cultura Marko Rusjan, della direttrice di Zavod Mija Lorbek, della stessa Kaja, si è percepita la soddisfazione di aver raggiunto un traguardo importante, ma da tutti coloro che sono stati presenti si è avuta piena coscienza del fatto che questa inaugurazione non è stata la fine, ma il nuovo inizio di un grande cammino. Hvala vsem, grazie di tutto cuore...
lunedì 24 novembre 2025
Il referendum in Slovenia
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| Il Triglav, da Sveta Gora |
C’è stata un’evidente e inevitabile politicizzazione della campagna, tenuto conto dell’ormai prossima scadenza elettorale che determinerà il rinnovo delle cariche governative, parlamentari e degli enti amministrativi. Il centro destra e la destra hanno approfittato dell’occasione, per infliggere alla presidenza Golob – ovviamente favorevole alla legge da essa stessa caldeggiata – un’oggettiva sconfitta e per realizzare una specie di censimento numerico relativo all’attuale consenso. Tuttavia lo schieramento partitico mai avrebbe potuto raggiungere il successo, senza il sostegno capillare della Chiesa cattolica che in ogni circostanza ha invitato praticanti e non praticanti a porre la crocetta sul NO stampato sulla scheda elettorale. C'è da aggiungere come la tornata referendaria sia stata sostanzialmente sottovalutata da parte del centro sinistra e della sinistra, in parte assenti durante l'intera campagna.
I commenti dei “vincitori” - tra essi molti vescovi, sacerdoti e fedeli cattolici – hanno sottolineato cha la vita è un dono che deve essere tutelato in qualsiasi momento e in ogni contesto, rinviando essenzialmente alle cure palliative l’accompagnamento del malato – in situazione di dolore irreversibile e insostenibile - verso l’ultima fase dell’esistenza.
Di parere opposto i sostenitori della legge, secondo i quali
ogni essere umano – libero e senziente – ha il diritto di decidere di porre
fine alla sua esistenza in modo dignitoso e medicalmente assistito, nel momento
in cui risulti intollerabile il proseguimento del suo cammino di sofferenza.
E' un tema delicato e difficile. Tuttavia, tra le tante possibili, due osservazioni si propongono alla discussione. La prima: non esistono leggi che considerino un reato il suicidio, tanto che i tentativi non riusciti non portano nessuna incriminazione e neppure di conseguenza una pena. Impedire il suicidio medicalmente assistito non significa forse rendere impossibile per legge (a chi non lo può oggettivamente fare), lo stesso atto che in ogni caso la medesima legge non vieta? La seconda: l'affermazione secondo la quale la vita è un dono di Dio e soltanto Dio sarebbe autorizzato a disporne, oltre a generare molte perplessità di ordine teologico, non giustifica l'obbligo ad accogliere tale "dono", nel momento in cui esso non sia bene accetto, tanto più quando l'interessato non si riconosca in una prospettiva di fede cattolica.
Non sarebbe più semplice lasciare la libertà di scelta al soggetto, nel quadro di determinate condizioni, senza obbligare nessuno a portare avanti a oltranza una vita da egli stesso ritenuta intollerabile?
lunedì 17 novembre 2025
Una giornata particolare
E' stata una giornata terribile oggi, per il Goriziano e per la Bassa Friulana. Versa totalmente allagata, con lo Judrio che scorreva lungo la strada principale e le viuzze secondarie, tanti altri paesi messi in ginocchio da un'ondata di maltempo che ormai purtroppo non può più definirsi eccezionale.
Ci sarà molto da discutere nelle prossime settimane, affinché ciò che è stato non sia mai più. Si dovrà parlare di argini colabrodo, "garantiti" per secoli dopo le inondazioni precedenti, di allerte della Protezione Civile poco tempestive e azzeccate, di colline che tracollano da un giorno all'altro "senza apparenti previi segni di cedimento" (in realtà quell'altura era già stata protagonista di frane in passato, nel versante verso il fiume e i residenti avevano più volte segnalato la situazione di pericolo idrogeologico, soprattutto dopo recenti opere di disboscamento).
Ma ci sarà anche tanto da ricordare di meraviglioso, la solidarietà unanime, l'impegno competente di Protezione Civile, Vigili del Fuoco, Forze dell'Ordine e istituzioni, cittadine e cittadini mobilitati all'unisono nel portare talmente tanti aiuti, da aver risposto alle necessità immediate nel giro di una manciata di ore.
Per il momento non resta che trepidare per la sorte dell'ultima persona dispersa, esprimere vicinanza a chi è stato colpito dall'alluvione e che da domani dovrà constatare i danni ingenti.
Ma insieme a tanta tristezza, è da guardare con immensa riconoscenza al giovane Quirin. In un mondo votato alla violenza, il suo è stato un infinito gesto di fraternità e di pace. Nessuno ha un amore più grande di chi dona la vita per le sue sorelle e i suoi fratelli nell'umanità. Un eroismo semplice, della porta accanto si potrebbe dire, non cancella il dolore per la perdita e la sensazione di assurdità di una simile morte. Apre comunque uno spiraglio di luce e di speranza sulla possibilità che prima o poi possa instaurarsi la civiltà dell'amore.
domenica 16 novembre 2025
La necessità di una nuova stagione politica
E la sue domande sono più che mai attuali, constatando che ormai ogni elezione non viene vinta dalla sinistra o dalla destra, bensì - e quasi sempre con maggioranza assoluta - dall'astensione.
L'evidente segnale di crisi di questa fase della democrazia liberale, riduce ogni competizione elettorale a una specie di gioco, dove pochissime persone cercano di conquistare posizioni di prestigio. Una volta raggiunto l'obiettivo, i fortunati - nel caso di parlamentari e consiglieri regionali - ricevono stipendi e privilegi da capogiro che li innalzano talmente tanto rispetto alla situazione ordinaria delle famiglie, da far dimenticare in pochi istanti la propria precedente condizione. O anche no, dal momento che una buona parte dei prescelti arriva alla cosiddetta politica attiva avendo già in tasca emolumenti astronomici.
A parte questo, la disaffezione al voto ha radici profonde.
C'è chi, consapevolmente, non si ritiene rappresentato da nessuno dei protagonisti del teatrino e spera che un maggior impegno nella società civile possa contribuire a migliorare la situazione. Si ritiene - spesso a ragione - che un'eroica dedizione al bene e ai beni comuni, possa essere realizzata più fuori che dentro le tradizionali istituzioni della democrazia rappresentativa. Ma anche qua ci si riferisce a una sparuta minoranza di persone, particolarmente sensibile alla crescita complessiva dela società.
La stragrande maggioranza dei cittadini, in realtà, non sembra avere una specifica idea politica. O meglio, l'ideale è quello di "stare in pace", di salvaguardare quello status grazie al quale si può trascorrere una normale esistenza, senza scossoni e soprattutto "in sicurezza". Forse un 20% degli italiani combatte con convinzione per un valore rappresentato dalle attuali cosiddette "destra" e "sinistra". Tutti gli altri - votanti o non votanti - si affidano al caso, i primi facendo finta di credere alle promesse delle campagne elettorali, i secondi affidandosi alla sorte. In nome di questa pretesa "sicurezza", nel ventennio ci si è affidati a chi ha trascinato l'Italia alla dittatura e alla catastrofe, poi si è accettato per quarant'anni l'ingessamento del potere democristiano e ora il tracimante berlusconismo filoatlantico.
"Meglio così che peggio" - sembra affermare, un po' sconsolato, il cittadino che vorrebbe starsene tranquillo, con un discreto lavoro, qualche spicciolo per farsi una vacanza e il desiderio di godersi la famiglia. Mentre lui pensa così, grandi ombre si stendono sul mondo. Sente ancora lontana l'eco dei bombardamenti, non vede il sangue dei genocidi se non nelle effimere immagini della tv, ha paura del radicale cambiamento culturale che sta accadendo sotto i suoi occhi e fa finta di credere che il governo di turno sappia difenderlo.
Come scuotere un simile rammollimento, indotto prima dall'esplosione del fenomeno delle televisioni private, poi anche dall'uso spregiudicato e fondamentalmente incontrollabile delle tecnologie informatiche?
Forse una strada - con risultati non a brevissimo, ma almeno a medio tempo - potrebbe essere quello del recupero di una sorta di "serietà antropologica". Agli ignobili e imbarazzanti balletti della premier, ma anche a quelli della cosiddetta opposizione, occorre sostituire un ritorno delle idee e della cultura, come fondamento di ogni azione sociale e politica. Alle chiusure mentali di chi quando giunge al governo si inchina senza pudore alle mire di Potere dei capetti di un'Unione europea dimentica del manifesto di Ventotene e del padrino che abita la Casa Bianca, è necessario sostituire un efficace, concreto programma. Esso deve essere in grado di mettere al centro degli interessi - in realtà e non a parole - la persona, nel contesto sociale e ambientale in cui vive. E perché ciò si possa realizzare, deve urgentemente ritrovare il proprio posto la grande assente dal dibattito sul Potere, ovvero una Filosofia capace di proporre una nuova sintesi globale, impregnata delle sue acquisizioni raccolte nel cosiddetti Oriente e Occidente, come pure nel Nord e nel Sud del mondo.
In altre parole, mutatis mutandis, si deve recuperare ciò che c'è stato di buono nelle prospettive dell'Ottocento quando, analizzando la crescita del Capitalismo, se ne erano individuati i limiti e i pericoli. L'idea di uguaglianza nella dignità di ogni essere umano, l'internazionalismo contro ogni sovranismo, la prospettiva della fine di tutte le guerre attraverso il superamento delle terribili ingiustizie sociali che attanagliano tuttora il mondo, la libera circolazione delle persone prima di quella delle merci, il dialogo e l'incontro tra le diverse religioni e concezioni della vita, il rispetto per l'ambiente vitale nell'epoca del riscaldamento globale, la politica con la P maiuscola intesa esclusivamente come servizio e non come volano per imporre i propri interessi... Tutto questo, può ancora essere ripreso e riproposto, accompagnato dalla costruzione di un diritto condiviso, garantito dalle grandi linee della nostra bella Costituzione?
La democrazia rappresentativa può ancora essere il terreno sopra il quale costruire questa reale alternativa allo "spettacolo" attuale? E' difficile dare una risposta a questa domanda. Forse si può dire un timido sì. Si tratta di coniugare l'invito alla scelta di partiti e personaggi capaci di interpretare questi grandi obiettivi con l'accoglienza della voce potente che giunge dalle sempre più numerose manifestazioni di base che a livello mondiale stanno invocando la pace, il rispetto dei diritti, la salvaguardia della Natura.
venerdì 14 novembre 2025
Una Sacra Conversazione assai originale
Una speciale Madonna, con Gesù bambino e Giovanni Battista. Dipinta alla fine del XV secolo, è un'immagine piena di dolcezza. Maria, con sguardo malinconico, sembra tenere con qualche difficoltà il figlio che tenta di svincolarsi, forse per scendere e giocare con l'amico, poco più grandicello di lui. Giovanni sembra quasi chiamarlo e lo indica con la mano, così come farà all'inizio della vita pubblica additandolo come l'Agnello di Dio. Per ora sono solo dei bambini e la loro conversazione effonde un senso di gioia, di speranza, un tocco di allegria. La Madre, molto bella e molto semplice, è del tutto diversa dalla creatura angelicata che si incontra normalmente nelle pitture del Rinascimento. C'è una particolare cura nel tratteggio del vestiario, nella sottolineatura delle forme femminili e nei suoi occhi che sembrano presagire qualcosa che ancora ha da accadere. Il bimbo, nella manina che accarezza il collo della mamma, tiene una specie di piuma, forse una palma, un simbolo arcano di un destino di sofferenza e di morte, ma anche di impegno e di risurrezione. E' una scena affascinante, così come avvolta in un alone di mistero. Chi ha dipinto in modo così poco tradizionale? Che messaggio ha voluto trasmettere? E' difficile dare una risposta certa, c'è qualcuno che ha voluto vedere addirittura la mano di Leonardo da Vinci. Ah già, dove si trova? Questo ve lo dirò un'altra volta...
lunedì 10 novembre 2025
Sabato 15 novembre, sull'Iter Goritiense, parole profonde e musica di pace...
Sarà una giornata molto bella, per chi potrà partecipare, quella di sabato15 novembre. E' prevista una camminata collettiva, percorrendo a ritroso una parte della prima tappa dell'Iter Goritiense (Goriški Camino o Cammino Goriziano).
Sarà una festa di amicizia tra persone che parlano lingue e vivono diverse culture, aiutati e sostenuti dalla musica che sarà protagonista in tre momenti.
Saranno con noi alcuni straordinari musicisti, tra i più noti rispettivamente in Slovenia e in Friuli Venezia Giulia. Il duo Katarina Juvančič e Dejan Lapanja eseguirà musiche e canti popolari, dalle tradizioni della Slovenia e di diversi Paesi del mondo. Il gruppo "Gorze" - composto da Gabriella Gabrielli, Pierluigi Bumbaca, Roberto Nonini, Diego Todesco e Maurizio Veraldi - proporrà il proprio repertorio di brani musicali improntati alla conoscenza e valorizzazione delle diverse culture popolari. Naturalmente ci saranno anche dei brani eseguiti insieme, nella più artistica delle collaborazioni nell'ambito delle iniziative legate alla Capitale europea della Cultura 2025. Il tema complessivo delle parole e della musica è naturalmente quello della pace nella giustizia.
L'iniziativa si svolge in continuità con la costruzione dello stupendo percorso, da Aquileia a Sveta Gora, reso possibile dai progetti approvati e finanziati da GECT/EZTS, nell'ottica di GO2025. A guidare i camminatori saranno i responsabili della SoCoBA (Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia) e del Santuario di Sveta Gora, insieme agli incaricati di progetto Nace Novak e Mattia Vecchi.
Il cammino sarà di circa 12 chilometri (tre ore, senza contare le soste). Il ritrovo è alle ore 8.30 davanti alla chiesa di San Canzian d'Isonzo. Insieme all'introduzione musicale, è prevista anche una breve illustrazione dell'importantissimo sito archeologico e della storia dei santi Canziani. La sosta successiva è prevista a san Lorenzo di Fiumicello, dove si ricorderà l'esperienza e si chiederà giustizia e verità per Giulio Regeni. Si potrà inoltre visitare l'antica Pieve, sempre accompagnati da dolci e coinvolgenti melodie. L'arrivo è previsto ad Aquileia, con il momento conclusivo e la possibilità di visitare, guidati, il battistero cromaziano. Il tutto dovrebbe concludersi al massimo alle 14 e ci sarà a disposizione una corriera per poter riportare i viandanti, da Aquileia al punto di partenza a San Canzian.
Ah già, sento già la domanda dei miei 25 lettori: per esserci, cosa devo fare? e quanto costa il tutto? Non costa niente, ma occorre prenotarsi, ahimé entro mercoledì 12 novembre, con il format reperibile al link https://www.basilicadiaquileia.it/it/15916/parole-e-musica-in-cammino-lungo-l-iter-goritiense
Arrivederci a sabato, allora...
sabato 8 novembre 2025
Il cardinale Tagle a Gorizia
Il personaggio, interrogato da dieci giovani appartenenti al Polo Liceale di Gorizia e alla scuola del Collegio del Mondo Unito, ha tenuto con il fiato sospeso l'assemblea che ha affollato in tutti gli ordini di posti il Centro Culturale Lojze Bratuž.
Gran comunicatore, simpatico, intenso e profondo, ha saputo infondere una ventata di ottimismo, nel cuore di tutti i presenti. Ha anche invitato a pensare alle sofferenze immani del mondo attuale, individuando nella giustizia, nel rispetto, nella verità e nell'amore le parole chiave sulle quali - a suo parere - è possibile costruire un mondo di pace. Molto interessanti anche le risposte ai numerosi interrogativi riguardanti il dialogo tra le religioni, là dove con arguzia ha raccontato la sua esperienza familiare ed ecclesiale in un ambiente per natura improntato all'incontro e al confronto fra le religioni.
Detto questo, mi sembra necessario aggiungere qualche riflessione, anche alla luce del sorriso di convinta condivisione che è apparso sulla bocca di molti, guardando due vescovi applaudire con entusiasmo non solo i bravissimi ragazzi che l'hanno proposto, ma anche il testo di una canzone che proclama la fine delle religioni e la possibilità di armonizzare tutte le differenze esistenti ovunque.
Prima del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica, ancora di fatto ancorata all'antico motto "Extra Ecclesiam nulla salus", negava la possibilità di una salvezza eterna a coloro che, pur ignorandone la necessità, non avevano ricevuto il Battesimo. La teologia medievale aveva perfino inventato il limbo, come luogo di malinconica dimora dei bambini e delle brave persone che si erano comportate bene ma non erano state battezzate. Il Concilio, concluso esattamente 60 anni fa, non nega ma tempera notevolmente questa visione, in parte nella Costituzione Lumen Gentium e soprattutto nella Dichiarazione Nostra Aetate, dove si guarda con un atteggiamento simpatetico all'esistenza delle diverse religioni. Il dibattito postconciliare segue due strade, incarnate in due diverse (inconciliabili?) posizioni.
Da una parte c'è la via propugnata da Giovanni Paolo II e ribadita da papa Ratzinger. Il primo invitava solennemente ogni abitante del mondo ad "aprire, anzi spalancare le porte a Cristo", il secondo ribadiva l'unicità della Salvezza in Cristo, in particolare nel documento Dominus Jesus e in generale nel suo pontificato. Pur non negando la necessità di un dialogo costruttivo tra le diverse religioni, insisteva non solo sulla specificità e superiorità della teologia cristiana, ma anche sulla necessità di riconoscere come fondante la prima sistematizzazione filosofica generata dall'incontro dei primi interpreti cristiani con la filosofia greca.
Dall'altra c'è stata la rivoluzione di Bergoglio. La sua dichiarazione seconda la quale ogni religione è a pari titolo una via per riconoscersi fratelli e innalzarsi verso Dio, pronunciata durante un viaggio nelle Filippine, segna un punto di rottura e di non ritorno. Il documento di Abu Dhabi, sottoscritto dai rappresentanti di molte vie religiose del Pianeta, segna una svolta clamorosa, anche ufficiale, nell'atteggiamento della guida della cattolicità. Questa sera il cardinale Tagle - evidentemente sulla stessa linea di Francesco - lo ha ribadito con inusitata chiarezza: le religioni altro non sono che l'istituzionalizzazione dell'esperienza della fede. La conseguenza è che, come tali, differiscono per la capacità di inserirsi nei diversi contesti, ma non nella loro essenza di risposta ai cruciali interrogativi che albergano nel cuore dell'uomo. Se ne è fatta, e tanta, di strada in pochissimi anni!
Papa Leone XIV non sembra essere pienamente a suo agio in questo orizzonte di rapida trasformazione, appare ogni giorno di più come un elemento di mediazione, schiacciato fra la tensione progressista e quella tradizionalista. Il suo frequente richiamo alla figura del Cristo e l'attenzione alle conseguenze morali dell'appartenenza cristiana sembrano avvicinarlo all'identitarismo Woytiliano, moderando fortemente le personali ed estemporanee performance di papa Francesco che sembrava sul punto di mettere in discussione perfino il catastrofico dogma del Vaticano I riguardante l'infallibilità del Vescovo di Roma, quando parla "ex cathedra Petri". In un certo senso, si può dire che la missione affidata a Prevost sembra quella di ricondurre le pecore nell'ovile - sia quelle "di sinistra" che quelle "di destra" - offrendo motivi di confronto, dialogo e possibilmente riconciliazione.
Resta da capire se non sia ormai troppo tardi e se le due visioni del cristianesimo non siano talmente antitetiche da portare inevitabilmente a una divisione. Entrambe mosse dall'evidente constatazione della generale defezione dei battezzati non solo dal quasi totalmente sconosciuto insegnamento della Chiesa, ma anche dalla partecipazione alla vita comunitaria e sacramentale, tendono a rinsaldare le proprie fila, radicalizzando le proprie posizioni piuttosto che accettare vie di trattativa.
Per questo motivo, l'impressione è che si vada ormai verso la fine della Chiesa Cattolica. Da una parte il vescovo di Roma sembra più che mai indebolito nella sua autorevolezza e autorità, facendo così venire meno quel punto di riferimento unitario che era stato la forza del Potere della Chiesa imperiale lungo tutto il Medioevo e generando numerosi nuovi interrogativi. I cosiddetti tradizionalisti - come peraltro già visto nella Basilica di san Pietro pochi giorni fa - riproporranno una visione letteralista e fondamentalista della Tradizione, ricentrando l'unicità della salvezza in Cristo e rigettando qualsiasi compromesso con il "mondo", inteso nel senso del regno del permissivismo, del relativismo e della disperazione? I progressisti andranno verso una dissoluzione dell'unità cattolica, accompagnando i fedeli in una lettura spirituale, ma anche politica, della situazione del mondo? Proporranno il superamento delle terribili ingiustizie che annichiliscono i popoli, attraverso una testimonianza di fedele e amorevole vicinanza alle persone provate dalla sofferenza e sostenendo - almeno fino a un certo punto - i moti di ribellione e di rivoluzione finalizzati a realizzare la Liberazione dell'uomo da ogni schiavitù?
Da una parte si riproporrà la Chiesa trionfante in un contesto totalmente anacronistico, di progressivo disfacimento degli ancora numerosi centri di potere finanziario e politico, facile preda della strumentalizzazione da parte dei sovranismi neofascisti sostenitori di un'inesistente cittadella insepungabile dell'Occidente? Dall'altra si riproporrà il cristianesimo del "lievito" nascosto che fermenta la pasta dal di dentro, senza necessariamente mettersi in mostra? Da una parte ci sarà il proselitismo nei confronti dei pochi che ancora saranno interessati, dall'altra ci sarà una decisiva enfatizzazione del dialogo paritario in un mondo tornato a essere totalmente pluralista, fino al punto da oltrepassare definitivamente la pretesa dell'unicità del Cristo quale via e verità per raggiungere la vita?
In un caso o nell'altro, la Chiesa cattolica come configurata per oltre 1700 anni, dall'editto di Tessalonica (Teodosio, 380 d.C.) fino ai giorni nostri, sembra destinata, ben presto, a non esistere più. Continuerà invece sicuramente a esistere - e probabilmente di nuovo a prosperare - un cristianesimo pluriforme, più intimamente legato alla soggettività e meno alla comunità, al fascino dell'insegnamento evangelico, fondamento di scelte personali da esso derivate, anche sul piano culturale e sociale. Esso sarà intensamente radicato nell'esperienza originaria e fondante della compagnia del Maestro con i suoi discepoli, ma anche - come nel tempo delle origini - attento e rispettoso nei confronti dell'infinità di diversi linguaggi che caratterizzano il nostro momento. A livello comunitario sarà più attratto dall'impegno dell'accoglienza di ogni essere umano come "fratello", indipendentemente dai suoi "credo" o dalle ideologie, meno direttamente preoccupato delle conseguenze dell'annuncio di Cristo nelle dinamiche etiche e politiche di ogni tempo.
I confini nell'arte, a Villa Manin
Il filo che unisce tanto fascino è, come evidente dal titolo della mostra, il "confine", trattato sotto diversi punti di vista, ben introdotti dalle delicate didascalie e - per chi preferisce l'audioguida - dalle parole del curatore Marco Goldin.
Da Gauguin a Van Gogh, da Turner a Rothko, da Cezanne a Monet, dal goriziano Dugo al cervignanese Zigaina fino a tanti, tanti altri, è un progressivo immergersi nel mistero del limite. E' il confine paesaggistico, quasi si potrebbe dire biblico, tra le separazioni della Genesi, la luce dalle tenebre, la terra dal cielo, le acque dalla terraferma... E' il confine tra gli esseri viventi - animali e vegetali - e il regno minerale, la vita che spunta ovunque e che sfida le rocce apparentemente invincibili. E' il confine tra l'essere umano e la Natura che lo circonda, tra la donna e l'uomo, tra gli umani sottilmente divisi dalla linea della pace e della guerra. Ed è il confine tra la propria interiorità e il mondo esterno, dialogo a volte fecondo, altre volte impossibile, l'io come amico o nemico di tutto ciò che lo circonda. C'è spazio per la filosofia, per la teologia, per la storia, per la psicologia e la psicoanalisi, per l'etica, l'estetica e la logica, in un turbinio di linee, forme e colori. Nell'opportuno rifiuto della tradzionale esposizione cronologica, gli spazi e i tempi si intrecciano e trascinano il visitatore in un turbine di sensazioni ed emozioni che lo proiettano ora al di fuori di sé, nella contemplazione estatica o inquieta dell'arte, ora dentro di sé alla ricerca di corrispondenze e suggestive connessioni.
Non può mancare, anzi è forse dominante in ogni rappresentazione, il confine dei confini, la madre di tutte le frontiere, quello fra la Vita e la Morte. L'unico modo di rappresentare questo passaggio misterioso nella dimensione del non-spazio e del non-tempo è l'esperienza artistica che proietta chi la realizza, ma anche chi ne è entusiasta spettatore, in una nuova realtà, che travalica clamorosamente la fragile frammentarietà di ogni essere vivente. Una simile immersione nella Bellezza non può che suscitare una profonda nostalgia dell'infinito e percepire un sottile e malinconico presagio di eternità.
Davvero, da non perdere!
Diritto internazionale contro legge della giungla
La guerra, ogni guerra, porta distruzione e morte. Molti dicono che è sempre esistita e sempre sarà. Ma come può un essere dotato di ragione pensare in modo cinico che sia irreversibile la generazione sistematica di sofferenza, altrui e propria? Come si può ritenere "ragionevole" produrre strumenti sofisticati di sterminio, massacrare e farsi uccidere sull'altare di pochissimi detentori del Potere nel mondo, interessati esclusivamente a incrementare la loro potenza? La guerra è il frutto di un'economia perversa, sia essa la necessità antica di rubare nuovi pascoli a una tribù precedentemente insediata o di gestire le moderne risorse vitali del Pianeta conquistandone i punti nevralgici.
Solo un reale diritto internzionale potrebbe temperare la sensazione di impotenza che si prova davanti alle crisi mondiali. Purtroppo né la Società delle Nazioni, né l'Organizzazione delle Nazioni Unite sono riuscite a convincere gli Stati a cedere parte della loro sovranità a tavoli di accordo sovrastatali. In questo modo, di fatto, la legge vigente è proprio quella della giungla. Vince il più forte, il più debole deve adeguarsi o soccombere. Inoltre non si è ancora del tutto oltrepassata la venefica strumentalizzazione dei concetti di Dio (religione), Patria (nazionalismo) e Famiglia (tribalismo, mafia). Sono prospettive facilmente manipolabili da chi - fregandosene in realtà altamente del loro significato - le utilizza per raggiungere i propri obiettivi, scatenando terrificanti massacri di poveri.
Quello che sta succedendo in questo periodo non è purtroppo nuovo, ma due elementi possono essere evidenziati come tragicamente originali. Il primo è lo sviluppo tecnologico degli armamenti, il che rende oggettivamente diversa una lotta tribale rispetto alla possibile autodistruzione dell'intera umanità. Il secondo è la rivoluzione informatica, con il conseguente utilizzo spregiudicato dell'informazione. Ciò che finora si portava avanti mascherando squallidi egoismi con più o meno (più meno che più) richiami valoriali, oggi si dice e si fa alla luce del Sole.
Non mi va un personaggio che vive in un Paese distante mille chilometri dal mio? Bene, gli spedisco sulla testa un missile e lo elimino per sempre dalla faccia della terra, insieme a qualche decina di altre persone ignare, vittime di "danni collaterali". Voglio destituire un capo da un Paese autonomo? Bene, lo accuso di ogni sorta di malefatte e decido di scatenare contro di lui una guerra, senza alcuna verifica o "processo" coordinato da un qualsiasi giudice. E chi mi autorizza a intervenire da una parte o dall'altra, ad appropriarmi delle risorse presenti in un Continente o nell'altro, a uccidere premendo un bottone senza doverne rendere conto a nessuno?
Mi autorizza, come diceva il leone nella famosa favola di Esopo, il fatto che io sia più forte di te e che è già tanto che io mi degni di lasciarti eventualmente in vita. Ecco spiegati i tanti pesi e le tante misure delle guerre attualmente scatenate nel mondo! E cosa ci si può fare? Nell'epoca della globalizzazione e del villaggio globale, solo un passo può salvare l'umanità e anche l'intera realtà vivente sulla Terra. Occorrono persone di pace, poste in grado di raggiungere democraticamente i centri di potere, pronte ad avviare un urgentissimo e decisivo processo di costruzione di una Costituzione e di un sistema di Leggi corrispondenti a una visione sanamente internazionalista. Siamo tutti cittadine e cittadini del Mondo, che ci sia allora un modo per garantire, in termini oggettivi, la realizzazione della giustizia e dei diritti individuali e collettivi in ogni angolo del nostro tormentato ma meraviglioso Pianeta.
Utopia, molti diranno scuotendo la testa. Può anche essere, ma che alternativa ci può essere alla corsa agli armamenti, alla moltiplicazione di conflitti più o meno dilatati, al controllo generalizzato dell'informazione, all'idealizzazione della violenza come possibilità di salvaguardia degli interessi di un manipolo di autentici egotici, seminatori di morte?
lunedì 3 novembre 2025
4 Novembre: onore al "disertore ignoto"!
Il 4 Novembre ricorda una vittoria mutilata. Ciò non perché, come diceva il guerrafondaio D'Annunzio, all'Italia non era stato dato ciò che era stato promesso. Ma perché da quella cosiddetta vittoria non è scaturito altro che ulteriore violenza, devastazione e ogni sorta di male.
Eppure si celebra ancora la "festa della vittoria e delle forze armate", pur riconoscendo, quasi unanimemente, l'inutilità dell'enorme sacrificio di un'intera generazione di giovani. A essi, e soprattutto alle centinaia di migliaia di civili che hanno perso la vita nella prima guerra mondiale, va il pensiero mesto di questi giorni. Sono stati costretti a raggiungere i ripari precari, a gettarsi all'assalto alla baionetta, a farsi mitragliare sui fili spinati impossibili da tagliare con cesoie arrugginite, a morire con in bocca l'ultima maledizione a una guerra assurda e a chi l'ha voluta. Meritano tutti, indipendentemente dalla divisa, un umano ricordo. Invece non possono che essere condannate le scelte e le decisioni dei politici che hanno trascinato l'Europa e il Mondo nel conflitto, i generali che hanno ideato la crudele, disumana e terribile strategia che ha provocato quella che papa Benedetto XV aveva definito "orrenda carneficina", coloro che hanno trasformato la fine della guerra nell'anticamera della dittatura fascista.
Ma c'è una figura di soldato che non viene mai onorata. E ciò è molto strano, dal momento che in tempo di pace essa dovrebbe essere in assoluto la più degna di memoria. E' quella di colui che un tempo veniva chiamato con un certo disprezzo "disertore". Oggi quel nome deve essere totalmente rivalutato. Riguarda coloro che hanno deciso di rifiutarsi di combattere, di uscire dalla fossa per uccidere e farsi uccidere, di avviarsi ubbidienti come pecore al macello. Addirittura sono stati tacciati di viltà, proprio essi che pur di non ammazzare altri giovani uguali a loro, preferivano andare incontro a morte certa, fucilati dai carabinieri nelle retrovie del fronte. Non se ne parla molto, ma il loro numero era molto elevato, decine di migliaia di uccisi dal cosiddetto "fuoco amico" di chi doveva ottemperare ai terribili ordini. Di pochi si conosce il nome, un numero considerevole è scomparso dalla storia così, senza una corona, senza il riconoscimento del sacrificio supremo, quello di chi preferisce perdere la propria vita piuttosto che toglierla ad altri esseri umani.
In questo 4 novembre 2025 onoriamo questi "disertori" della prima guerra mondiale, quelli che hanno combattuto contro la morte rifiutandosi di imbracciare le armi. In un momento nel quale sembra che la voce della armi torni a essere riconosciuta come un'opzione possibile nei contesti di crisi internazionale, prendiamo esempio da questi autentici profeti della nonviolenza. Anche se non si ricordano le "madri" che hanno perso in questo modo i loro figli, i loro nomi sono scolpiti nell'alto del cielo degli operatori di pace. Non esiste ancora un monumento "al disertore ignoto", neppure uno dedicato a quelli di cui si conosce il nome. Forse è giunto il momento di costruirlo!
La voce dei Camuni
Questi non soltanto hanno abitato per millenni la Valcamonica, ma hanno anche raccontato la loro storia attraverso un'arte che non si sa se definire "primitiva" o "ultramoderna". Di loro non si conosceva neppure l'esistenza fino al 1909 (guarda caso, lo stesso anno della scoperta dei mosaici teodoriani di Aquileia). Uno studioso, incappato per caso nel masso di Cemmo - un blocco di pietra precipitato dalla roccia sovrastante qualche decina di migliaia di anni fa, non lontano dalle abitazioni del suggestivo paese di Capo di Ponte - si è accorto delle incisioni. Non che la gente non se ne fosse accorta prima, qualche segno l'avevano visto e chiamato "pitote", in dialetto "rozzo disegno di bambini". Ma sarà solo con l'arrivo di Emanuel Anati nella valle che si arrivò alla ricerca sistematica e all'individuazione di qualcosa come oltre sessantamila graffiti, istoriati sulle pietre levigate dai ghiacciai. Ciò che stupisce, oltre a tutto il resto, è la durata. Si parla di siti frequentati per quattro - cinquemila anni di seguito, caratterizzati da elementi di vita ordinaria intrinsecamente legati a una visione religiosa della vita e del cosmo. Le sopravvivenze di questa religione della natura sono ancor talmente forti in epoca paleocristiana, da suggerire ai responsabili della comunità ecclesiale di sostituire le pietre sacre e le rappresentazioni animatiste con simboliche maggiormente pertinenti la nuova fede. La chiesa di san Siro, dominante questa parte della Valle, sembra abbia origini nel IV secolo e la sua interessante cripta potrebbe aver sostituito uno dei punti di culto degli antichi Camuni.
E' facile vedere le incisioni rupestri, diffuse un po' ovunque, dal Lago d'Iseo in su. Tuttavia il Parco Arhceologico di Naquane offre una sintesi completa dei temi e delle intuizioni di questi nostri antichi progenitori. In particolare è impressionante la roccia levigata dalla quale si intravvede la cima di una delle due montagne sacre, il Pizzo Badile Camuno, la cui ombra si dice tocchi la pietra al mezzogiorno del solstizio invernale. L'altra montagna, quella della notte, è la splendida Concarena. E' evidente come popolazioni vissute fra il VI e il I millennio a.C. abbiano lasciato diverse testimonianze della loro concezione dell'esistenza e dell'universo, tuttavia nella loro diversità, ritornano dei motivi costanti. Ci sono elementi geometrici più o meno elaborati, come per esempio la cosiddetta "rosa camuna". In alcuni casi si rappresentano i villaggi palafitticoli, in altri addirittura delle vere e proprie carte geografiche che localizzano le diverse abitazioni. La natura è dominante, con un evidente processo di divinizzazione degli elementi legati alla vita. Il cervo è il protagonista principale, il principale oggetto dello caccia, ma anche la presenza del divino nella realtà: mangiando la carne del cervo non soltanto si ha la possibilità di sopravvivere fisicamente, ma si assume anche quella natura divina che caratterizza l'essere umano in quanto tale. Il cervo è la vittima, ma è anche colui che da la forza al cacciatore, la relazione tra i due è di vita e di morte nello stesso tempo. Nessuno è ancora pienamente uomo, se non si è misurato nella gara iniziatica della caccia al cervo. Naturalmente si riconoscono anche gli animali domestici, il cane, il cavallo che traina dei rudimentali carri, le mucche che pascolano tranquille. E' una testimonianza impressionante del passaggio alla pastorizia e all'agricoltura, un continuo immergersi nella vicenda storica attraverso questa specie di affascinanti fumetti.Una delle incisioni rappresenta il labirinto, qualcosa che sembra simile al cervello come intrico di linea prospettiche capaci di generare il pensiero. Ma pensando a simili immagini presenti un po' ovunque - come dimenticare quello presente nella Cattedrale di Chartres o lungo i cammini dei pellegrini medievali - non si può intravvedere nel labirinto l'ansia dell'uomo alla ricerca della Verità o la consapevolezza del mistero nel quale siamo immersi e dal quale spesso non sappiamo come uscire? Sono proprio dei rozzi intagliatori di montagna questi Camuni o sono esseri umani molto consapevoli del loro stato, che non rappresentano la realtà per così dire fotograficamente, ma la trasfigurano attraverso la loro sensibilità e profetica filosofia? Queste donne e questi uomini che sembrano danzare a braccia alzate e gambe divaricate in una preghiera rivolta verso il cielo, sono forse specie di ex voto intagliati nella pietra da sacerdoti a ciò delegati in quello che probabilmente era il più importante santuario dell'intero arco alpino, almeno tra il V e il I millennio prima di Cristo.
Ma sono soprattutto il messaggio che ci viene inviato dalla notte dei tempi, un invito caldo a sentirci tutte e tutti parte di questa meravigliosa umanità, a sentirci parte di un'unica famiglia, della quale i camuni sono una parte che ha qualcosa da dirci, da trasmetterci. E' un invito alla pace, alla concordia, alla bellezza di accogliere gli uni la cultura degli altri, a portare avanti il testimone di una bellezza fragile che siamo chiamati a custodire e - perché no? - anche ad amare.










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