sabato 1 novembre 2025

Questa demolizione non s'ha da fare, né oggi né mai!

 

Lo vedete questo significativo frontone? Ebbene, tra breve potrebbe essere ridotto a macerie, insieme all'intero, grande edificio che lo sostiene.

Sulla sinistra (della foto) c'è la "Scientia", simboleggiata dall'albero della conoscenza del bene e del male, sulla destra la "Charitas", con una bella e fruttifera palma. Gli strumenti portati dagli angeli della sapienza e dell'amore sono quelli che caratterizzano il personale, socio sanitario, infermieristico, medico.

E' l'ospedale civile di Via Vittorio Veneto, oggetto di strenua difesa da parte dei Comitati cittadini, dai primi anni '90 del XX secolo in poi. Si volevano evitare il doppio acquisto del San Giovanni di Dio da parte della Regione, il depotenziamento delle strutture sanitarie goriziane, la realizzazione di piani sanitari studiati a tavolino nel nome dell'efficacia aziendale più che del servizio alla persona sofferente. Si voleva evitare anche il sempre più marcato fenomeno della privatizzazione e si intendeva difendere il grande valore e la conquista della sanità pubblica. 

L'idea fondamentale era quella della collaborazione con il vicinissimo ospedale di Šempeter, una proposta che sarebbe stata all'avanguardia a livello internazionale, economicamente sostenibile e anche pionieristica, anticipando di almeno venti anni la proclamazione della Capitale europea della Cultura.

Ebbene, nulla di tutto questo è accaduto, anzi, dopo un periodo di grande incertezza sul destino del vecchio ospedale, ora si è alla vigilia della sua completa demolizione. Si dice, per realizzare un centro - oggi si dice un campus - per gli studenti del territorio, che verrebbero invitati a lasciare il centro cittadino per svolgere le loro attività scolastiche ai margini della città. E' difficile prevedere tempi di distruzione e ancora di più quelli di ricostruzione. Pur incrociando le dita, è più facile pensare all'ormai quasi trentennale vicenda degli ascensori al castello di Gorizia. La vicenda dell'ex "civile" avrà lo stesso destino? Per il momento, quasi di nascosto per evitare proteste, è stata rasa al suolo la chiesetta dall'ex Ospedale psichiatrico, luogo che custodiva molte memorie culturali, sociali e sanitarie della città.

Si è ancora in tempo per fermare le ruspe? Per immaginare un futuro diverso per questo spazio "storico" per i Goriziani? E, prima di tutto, nel clima di GO25, si è pensato qualcosa insieme a Nova Gorica e Šempeter Vrtojba, tenendo conto che la demolizione e la nuova (eventuale) destinazione coinvolge inevitabilmente anche le persone e le strutture che si trovano al di là del muro di recinzione? Ciò vale in termini di salute - i materiali polverizzati potrebbero essere fortemente nocivi alla salute di chi vive nei dintorni; in termini strategici - uno spazio che potrebbe essere veramente pensato e realizzato insieme; in termini paesaggistici - si, perché anche il paesaggio è un bene comune, anzi, uno dei più importanti beni comuni!  

Santi: tutti o nessuno...

 

Pinzolo, Danza macabra

Se intendiamo con la parola "santo" un essere riconosciuto come già iscritto nell'albo dei salvati, non ne esiste alcuno sulla faccia della terra. Ciò vale anche per il suo contrario. Potrebbe aver senso che esistano santi e dannati, se la vita non avesse limiti. Essendo invece evidentemente condizionata da un inizio e da una fine, nessun uomo può raggiungere vertici di bontà o di cattiveria talmente trascendenti le categorie esistenziali da meritare un premio o un castigo eterno. Meglio allora rassegnarsi a una certa "mediocritas", condizionata dagli ambienti e dai contesti in cui si vive, che favoriscono il realizzarsi di modelli di umanità più o meno affascinanti o riprovevoli. E immaginare i "santi", in linea con la chiesa dei primi secoli, semplicemente come "appartenenti" alla comunità dei cristiani o meglio, diremmo oggi, alla famiglia degli umani e più in generale ancora, dei viventi. Allora sì, oggi è la festa di tutti, proprio di tutti i santi, ancora in cammino sulla terra o già passati al di là dell'ostacolo definitivo. E domani, due novembre, si metterà a tema proprio quel muro misterioso, frontiera tra l'al di qua e l'al di là. Ecco di seguito una breve riflessione sul tema, tratta dal settimanale Novi Matajur. (ab)   

Dagli alberi cadono le foglie, le giornate sono sempre meno illuminate dal Sole, si accendono i colori dell’autunno, ultimo sussulto di bellezza prima della pausa invernale. E’ un periodo che ha sempre impressionato l’homo sapiens, che ha dedicato questi giorni a un particolare e malinconico pensiero. Insieme al tramonto della Natura si ricordava il tramonto della vita, si dava forma al desiderio di incontrarsi di nuovo con i morti, si celebravano riti propiziatori di passaggio. Queste usanze erano talmente radicate che papa Bonifacio IV, agli albori del VII secolo, istituì la festa di “Ognissanti” e Gregorio III (metà VIII secolo) la stabilì definitivamente il Primo Novembre. A essa si unì ben presto la Commemorazione del 2 novembre, dedicata a tutti i fedeli defunti. La tradizione precristana continua a vivere sotto diversa forma, ma con identica sostanza: la tristezza per la fine, la consolazione del rito, il desiderio della compagnia di chi ci ha preceduto. In un modo o nell’altro, lo stesso Halloween - non a caso richiamo in inglese americano a “tutti i santi” - porta una ventata di contemporaneità a miti e valori la cui origine è fissata dagli antropologi nella notte dei tempi.

In fondo, tutto ciò porta a una semplice, ma drammatica constatazione. Che cosa accomuna ogni essere umano, anzi ogni vivente? La morte. Da Gil Gamesh che nel primo Fantasy della storia percorre monti e mari per trovare le fonti dell’immortalità ai sillogismi aristotelici, dagli appelli dei padri della chiesa alle suggestioni dell’Oriente, dai Sepolcri del Foscolo alla meditazione sull’essenza dell’essere di Heidegger, dalle danze macabre ai trionfi della morte rinascimentali... è sempre dominante il tema del confine dei confini, della madre di tutte le paure, quella che condiziona tutte le altre. Ogni perdita è un piccolo o grande riflesso della fine della vita, del timore di quell’apparente “ni-ente” che contraddice così clamorosamente la consapevolezza dell’”ente”. Si è di fronte a ciò che non può essere pensato, perché sfugge alle categorie dello spazio e del tempo, le uniche attraverso le quali siamo in grado di rappresentare la realtà. La morte sfugge al controllo della ragione, è una porta verso l’ignoto, o forse una finestra aperta sull’infinito o semplicemente la fine di tutto. Questo spazio di non conoscenza le consente di sfuggire all’invasione della tecnica, alla strumentalizzazione della coscienza, alle pretese incontrollabili del sapere. In un momento nel quale siamo in grado, premendo lievemente su un tasto, di ricevere miliardi di informazioni su qualsiasi remota piega dell’esistente, la morte si para davanti a ciascuno di noi come l’assoluto in-comprensibile, temuta dagli opulenti viaggiatori della postmodernità, desiderata da chi - piegato dalla miseria, dalla sofferenza o dalla disperazione, non trova un motivo sufficiente per continuare a vivere.

Ecco allora l’auspicio, nella più classica delle feste autunnali. Se tutti ci aspetta quella che Francesco chiamava “sorella”, perché non dedicare ogni istante a far sì che ogni vivente possa gustare ogni frammento della sua esistenza, nella gioia della solidarietà e dell’amore?