sabato 8 novembre 2025

Il cardinale Tagle a Gorizia

 

Questo post è chilometrico e me ne scuso, ma l'assemblea proposta dalla chiesa diocesana di Gorizia è stata troppo interessante per non raccogliere da essa problemi, pensieri e prospettive. Buona lettura! (ab) 

E' stato molto avvincente l'incontro con il cardinale filippino Tagle, uno dei più gettonati papabili in occasione dell'ultimo conclave.

Il personaggio, interrogato da dieci giovani appartenenti al Polo Liceale di Gorizia e alla scuola del Collegio del Mondo Unito, ha tenuto con il fiato sospeso l'assemblea che ha affollato in tutti gli ordini di posti il Centro Culturale Lojze Bratuž.

Gran comunicatore, simpatico, intenso e profondo, ha saputo infondere una ventata di ottimismo, nel cuore di tutti i presenti. Ha anche invitato a pensare alle sofferenze immani del mondo attuale, individuando nella giustizia, nel rispetto, nella verità e nell'amore le parole chiave sulle quali - a suo parere - è possibile costruire un mondo di pace. Molto interessanti anche le risposte ai numerosi interrogativi riguardanti il dialogo tra le religioni, là dove con arguzia ha raccontato la sua esperienza familiare ed ecclesiale in un ambiente per natura improntato all'incontro e al confronto fra le religioni.

Detto questo, mi sembra necessario aggiungere qualche riflessione, anche alla luce del sorriso di convinta condivisione che è apparso sulla bocca di molti, guardando due vescovi applaudire con entusiasmo non solo i bravissimi ragazzi che l'hanno proposto, ma anche il testo di una canzone che proclama la fine delle religioni e la possibilità di armonizzare tutte le differenze esistenti ovunque.

Prima del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica, ancora di fatto ancorata all'antico motto "Extra Ecclesiam nulla salus", negava la possibilità di una salvezza eterna a coloro che, pur ignorandone la necessità, non avevano ricevuto il Battesimo. La teologia medievale aveva perfino inventato il limbo, come luogo di malinconica dimora dei bambini e delle brave persone che si erano comportate bene ma non erano state battezzate. Il Concilio, concluso esattamente 60 anni fa, non nega ma tempera notevolmente questa visione, in parte nella Costituzione Lumen Gentium e soprattutto nella Dichiarazione Nostra Aetate, dove si guarda con un atteggiamento simpatetico all'esistenza delle diverse religioni. Il dibattito postconciliare segue due strade, incarnate in due diverse (inconciliabili?) posizioni.

Da una parte c'è la via propugnata da Giovanni Paolo II e ribadita da papa Ratzinger. Il primo invitava solennemente ogni abitante del mondo ad "aprire, anzi spalancare le porte a Cristo", il secondo ribadiva l'unicità della Salvezza in Cristo, in particolare nel documento Dominus Jesus e in generale nel suo pontificato. Pur non negando la necessità di un dialogo costruttivo tra le diverse religioni, insisteva non solo sulla specificità e superiorità della teologia cristiana, ma anche sulla necessità di riconoscere come fondante la prima sistematizzazione filosofica generata dall'incontro dei primi interpreti cristiani con la filosofia greca.

Dall'altra c'è stata la rivoluzione di Bergoglio. La sua dichiarazione seconda la quale ogni religione è a pari titolo una via per riconoscersi fratelli e innalzarsi verso Dio, pronunciata durante un viaggio nelle Filippine, segna un punto di rottura e di non ritorno. Il documento di Abu Dhabi, sottoscritto dai rappresentanti di molte vie religiose del Pianeta, segna una svolta clamorosa, anche ufficiale, nell'atteggiamento della guida della cattolicità. Questa sera il cardinale Tagle - evidentemente sulla stessa linea di Francesco - lo ha ribadito con inusitata chiarezza: le religioni altro non sono che l'istituzionalizzazione dell'esperienza della fede. La conseguenza è che, come tali, differiscono per la capacità di inserirsi nei diversi contesti, ma non nella loro essenza di risposta ai cruciali interrogativi che albergano nel cuore dell'uomo. Se ne è fatta, e tanta, di strada in pochissimi anni!

Papa Leone XIV non sembra essere pienamente a suo agio in questo orizzonte di rapida trasformazione, appare ogni giorno di più come un elemento di mediazione, schiacciato fra la tensione progressista e quella tradizionalista. Il suo frequente richiamo alla figura del Cristo e l'attenzione alle conseguenze morali dell'appartenenza cristiana sembrano avvicinarlo all'identitarismo Woytiliano, moderando fortemente le personali ed estemporanee performance di papa Francesco che sembrava sul punto di mettere in discussione perfino il catastrofico dogma del Vaticano I riguardante l'infallibilità del Vescovo di Roma, quando parla "ex cathedra Petri". In un certo senso, si può dire che la missione affidata a Prevost sembra quella di ricondurre le pecore nell'ovile - sia quelle "di sinistra" che quelle "di destra" - offrendo motivi di confronto, dialogo e possibilmente riconciliazione.

Resta da capire se non sia ormai troppo tardi e se le due visioni del cristianesimo non siano talmente antitetiche da portare inevitabilmente a una divisione. Entrambe mosse dall'evidente constatazione della generale defezione dei battezzati non solo dal quasi totalmente sconosciuto insegnamento della Chiesa, ma anche dalla partecipazione alla vita comunitaria e sacramentale, tendono a rinsaldare le proprie fila, radicalizzando le proprie posizioni piuttosto che accettare vie di trattativa.

Per questo motivo, l'impressione è che si vada ormai verso la fine della Chiesa Cattolica. Da una parte il vescovo di Roma sembra più che mai indebolito nella sua autorevolezza e autorità, facendo così venire meno quel punto di riferimento unitario che era stato la forza del Potere della Chiesa imperiale lungo tutto il Medioevo e generando numerosi nuovi interrogativi. I cosiddetti tradizionalisti - come peraltro già visto nella Basilica di san Pietro pochi giorni fa - riproporranno una visione letteralista e fondamentalista della Tradizione, ricentrando l'unicità della salvezza in Cristo e rigettando qualsiasi compromesso con il "mondo", inteso nel senso del regno del permissivismo, del relativismo e della disperazione? I progressisti andranno verso una dissoluzione dell'unità cattolica, accompagnando i fedeli in una lettura spirituale, ma anche politica, della situazione del mondo? Proporranno il superamento delle terribili ingiustizie che annichiliscono i popoli, attraverso una testimonianza di fedele e amorevole vicinanza alle persone provate dalla sofferenza e sostenendo - almeno fino a un certo punto - i moti di ribellione e di rivoluzione finalizzati a realizzare la Liberazione dell'uomo da ogni schiavitù?

Da una parte si riproporrà la Chiesa trionfante in un contesto totalmente anacronistico, di progressivo disfacimento degli ancora numerosi centri di potere finanziario e politico, facile preda della strumentalizzazione da parte dei sovranismi neofascisti sostenitori di un'inesistente cittadella insepungabile dell'Occidente? Dall'altra si riproporrà il cristianesimo del "lievito" nascosto che fermenta la pasta dal di dentro, senza necessariamente mettersi in mostra? Da una parte ci sarà il proselitismo nei confronti dei pochi che ancora saranno interessati, dall'altra ci sarà una decisiva enfatizzazione del dialogo paritario in un mondo tornato a essere totalmente pluralista, fino al punto da oltrepassare definitivamente la pretesa dell'unicità del Cristo quale via e verità per raggiungere la vita?

In un caso o nell'altro, la Chiesa cattolica come configurata per oltre 1700 anni, dall'editto di Tessalonica (Teodosio, 380 d.C.) fino ai giorni nostri, sembra destinata, ben presto, a non esistere più. Continuerà invece sicuramente a esistere - e probabilmente di nuovo a prosperare - un cristianesimo pluriforme, più intimamente legato alla soggettività e meno alla comunità, al fascino dell'insegnamento evangelico, fondamento di scelte personali da esso derivate, anche sul piano culturale e sociale. Esso sarà intensamente radicato nell'esperienza originaria e fondante della compagnia del Maestro con i suoi discepoli, ma anche - come nel tempo delle origini - attento e rispettoso nei confronti dell'infinità di diversi linguaggi che caratterizzano il nostro momento. A livello comunitario sarà più attratto dall'impegno dell'accoglienza di ogni essere umano come "fratello", indipendentemente dai suoi "credo" o dalle ideologie, meno direttamente preoccupato delle conseguenze dell'annuncio di Cristo nelle dinamiche etiche e politiche di ogni tempo.

Nessun commento:

Posta un commento