Questi non soltanto hanno abitato per millenni la Valcamonica, ma hanno anche raccontato la loro storia attraverso un'arte che non si sa se definire "primitiva" o "ultramoderna". Di loro non si conosceva neppure l'esistenza fino al 1909 (guarda caso, lo stesso anno della scoperta dei mosaici teodoriani di Aquileia). Uno studioso, incappato per caso nel masso di Cemmo - un blocco di pietra precipitato dalla roccia sovrastante qualche decina di migliaia di anni fa, non lontano dalle abitazioni del suggestivo paese di Capo di Ponte - si è accorto delle incisioni. Non che la gente non se ne fosse accorta prima, qualche segno l'avevano visto e chiamato "pitote", in dialetto "rozzo disegno di bambini". Ma sarà solo con l'arrivo di Emanuel Anati nella valle che si arrivò alla ricerca sistematica e all'individuazione di qualcosa come oltre sessantamila graffiti, istoriati sulle pietre levigate dai ghiacciai. Ciò che stupisce, oltre a tutto il resto, è la durata. Si parla di siti frequentati per quattro - cinquemila anni di seguito, caratterizzati da elementi di vita ordinaria intrinsecamente legati a una visione religiosa della vita e del cosmo. Le sopravvivenze di questa religione della natura sono ancor talmente forti in epoca paleocristiana, da suggerire ai responsabili della comunità ecclesiale di sostituire le pietre sacre e le rappresentazioni animatiste con simboliche maggiormente pertinenti la nuova fede. La chiesa di san Siro, dominante questa parte della Valle, sembra abbia origini nel IV secolo e la sua interessante cripta potrebbe aver sostituito uno dei punti di culto degli antichi Camuni.
E' facile vedere le incisioni rupestri, diffuse un po' ovunque, dal Lago d'Iseo in su. Tuttavia il Parco Arhceologico di Naquane offre una sintesi completa dei temi e delle intuizioni di questi nostri antichi progenitori. In particolare è impressionante la roccia levigata dalla quale si intravvede la cima di una delle due montagne sacre, il Pizzo Badile Camuno, la cui ombra si dice tocchi la pietra al mezzogiorno del solstizio invernale. L'altra montagna, quella della notte, è la splendida Concarena. E' evidente come popolazioni vissute fra il VI e il I millennio a.C. abbiano lasciato diverse testimonianze della loro concezione dell'esistenza e dell'universo, tuttavia nella loro diversità, ritornano dei motivi costanti. Ci sono elementi geometrici più o meno elaborati, come per esempio la cosiddetta "rosa camuna". In alcuni casi si rappresentano i villaggi palafitticoli, in altri addirittura delle vere e proprie carte geografiche che localizzano le diverse abitazioni. La natura è dominante, con un evidente processo di divinizzazione degli elementi legati alla vita. Il cervo è il protagonista principale, il principale oggetto dello caccia, ma anche la presenza del divino nella realtà: mangiando la carne del cervo non soltanto si ha la possibilità di sopravvivere fisicamente, ma si assume anche quella natura divina che caratterizza l'essere umano in quanto tale. Il cervo è la vittima, ma è anche colui che da la forza al cacciatore, la relazione tra i due è di vita e di morte nello stesso tempo. Nessuno è ancora pienamente uomo, se non si è misurato nella gara iniziatica della caccia al cervo. Naturalmente si riconoscono anche gli animali domestici, il cane, il cavallo che traina dei rudimentali carri, le mucche che pascolano tranquille. E' una testimonianza impressionante del passaggio alla pastorizia e all'agricoltura, un continuo immergersi nella vicenda storica attraverso questa specie di affascinanti fumetti.Una delle incisioni rappresenta il labirinto, qualcosa che sembra simile al cervello come intrico di linea prospettiche capaci di generare il pensiero. Ma pensando a simili immagini presenti un po' ovunque - come dimenticare quello presente nella Cattedrale di Chartres o lungo i cammini dei pellegrini medievali - non si può intravvedere nel labirinto l'ansia dell'uomo alla ricerca della Verità o la consapevolezza del mistero nel quale siamo immersi e dal quale spesso non sappiamo come uscire? Sono proprio dei rozzi intagliatori di montagna questi Camuni o sono esseri umani molto consapevoli del loro stato, che non rappresentano la realtà per così dire fotograficamente, ma la trasfigurano attraverso la loro sensibilità e profetica filosofia? Queste donne e questi uomini che sembrano danzare a braccia alzate e gambe divaricate in una preghiera rivolta verso il cielo, sono forse specie di ex voto intagliati nella pietra da sacerdoti a ciò delegati in quello che probabilmente era il più importante santuario dell'intero arco alpino, almeno tra il V e il I millennio prima di Cristo.
Ma sono soprattutto il messaggio che ci viene inviato dalla notte dei tempi, un invito caldo a sentirci tutte e tutti parte di questa meravigliosa umanità, a sentirci parte di un'unica famiglia, della quale i camuni sono una parte che ha qualcosa da dirci, da trasmetterci. E' un invito alla pace, alla concordia, alla bellezza di accogliere gli uni la cultura degli altri, a portare avanti il testimone di una bellezza fragile che siamo chiamati a custodire e - perché no? - anche ad amare.



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